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Alterra-L’alleanza dei tre di Maxime Chattam

Nessuno si era accorto del suo arrivo, e di colpo è sopra tutta la città: una spaventosa, gelida tempesta. Quando il quattordicenne Matt la vede incombere, vorrebbe avvisare i genitori, capire che cosa succede, se c’è un reale pericolo. Ma è già troppo tardi: viene colpito da un fulmine e perde conoscenza.

Quando si risveglia, è solo. La madre e il padre sono scomparsi, volatilizzati i vicini di casa, vuote le strade· Cosa è successo?

Insieme all’amico Tobias, Matt cerca disperatamente di trovare qualcuno ancora in vita, in questa New York muta e fredda che sembra non dare speranze. Eppure, i due non sono soli: strane presenze dagli occhi di ghiaccio ne seguono i movimenti, bizzarre creature mutanti li spiano. Ai due ragazzi non resta che fuggire dalla città. Li attende un mondo selvaggio, nel quale la natura ha ripreso totalmente il sopravvento. Riescono a trovare riparo su un’isola a ovest, presso una comunità di bambini, i “Pan”. Il loro rifugio è però tutt’altro che sicuro: perché ad Alterra, gli unici adulti sopravvissuti sono diventati ormai cacciatori di bambini·

Maxime Chattam, considerato l’enfant prodige del thriller francese, a soli trent’anni vanta numerosi titoli di successo. Con la trilogia Alterra, si è rapidamente affermato anche nel campo della narrativa per ragazzi, riscuotendo il consenso di pubblico e critica. In Francia i primi due titoli si sono posizionati ai vertici delle classifiche, e il terzo è attualmente presente nella lista dei bestseller.
La saga di Alterra, ambientata in un mondo distopico in cui gli unici sopravvissuti dotati di caratteristiche “umane”, dopo una violentissima tempesta, sono i bambini, è un’intensa riflessione intorno alla perdita dell’innocenza che ha venduto in Francia più di 200.000 copie.

IL TEMPO DEL CUORE di Quirino Pilosi – I racconti dei corsi on line-

IL TEMPO DEL CUORE

di Quirino Pilosi

Corso Scrittura Adulti – Primo Livello

Vaart aveva il fiato grosso una volta in cima alla collina. La salita fu ripida e faticosa, ma era la via più sicura per arrivare all’appuntamento senza essere visto. Sorrise alla vista del maestoso albero di ciliegio che svettava dinanzi a lui. Ogni volta rimaneva abbagliato dalla sua bellezza. Quel possente albero sbucava dal terreno fiero e orgoglioso. Una miriade di rami perpendicolari al tronco, si curvavano verso l’alto sfociando in una maestosa chioma di petali colorati, che danzavano alla leggera brezza che accarezzava il mondo, in quella piacevole giornata di primavera.

Sorrise.

Era lì per una sola ragione… Neesa. Da quando l’aveva incontrata, aveva capito che i loro cuori dovevano correre uniti.

Era nervoso, come ogni volta che doveva incontrarla. Non la vedeva da cinque giorni.

Ripensò a quando la vide per la prima volta, mentre chiacchierava in una locanda ai confini di Teora. Non ricordava perché avesse accompagnato il vecchio Morn da quelle parti, l’unica cosa che ricordava era il suo splendido viso, gli scintillanti capelli dorati che accarezzavano sinuosi la splendida schiena, mentre era impegnata in una conversazione con Leandra, la proprietaria della locanda. Quel giorno non ebbe il coraggio di parlarle. E nemmeno la volta successiva, e nemmeno quella dopo ancora. Non sapeva davvero cosa dirle, fino a che Leandra, forte del suo possente intuito, fece in modo che si conoscessero. Scoprì che si chiamava Neesa, abitava a Teora ed era la nipote di Leandra stessa. Ancora pochi giorni e sarebbe tornata nella sua città. Ora tutto divenne più facile, e fu una meravigliosa sorpresa per Vaart, scoprire che il loro rapporto si costruiva volta dopo volta da solo.

Ripensò a quando tre settimane prima, proprio sotto quel ciliegio le aveva dichiarato le sue intenzioni, e ricordò che fu una gioia immensa scoprire che anche lei ricambiava i suoi sentimenti.

Ripensò a tutto questo, e sorrise così tanto da sembrare che il suo cuore non fosse abbastanza grande da riuscire a contenere tutta quella gioia.

I suoi pensieri vennero interrotti da un rumore acuto di passi. Poi improvvisamente la vide. Scese il leggero viottolo che circondava l’enorme ciliegio ed eccola là, bellissima, avvolta in un vestito lungo di seta sottile, azzurro come il cielo, che danzava insieme al suo corpo snello e sinuoso in un armonia splendida.

Si salutarono calorosamente. Era difficile dire chi era più felice dei due.

“Credevo che non venissi più” disse Vaart.

Neesa sorrise, come solo lei riusciva a fare. Le chiare lentiggini donavano il giusto colore al suo meraviglioso viso.

“Un appuntamento è un appuntamento” disse Neesa sfoderando quel sorriso magnetico al quale Vaart non sapeva resistere.“Ma dimmi di te, cosa hai fatto in questi giorni? Ti sono mancata?” disse poi maliziosamente, mordendosi il labbro inferiore.

“Oramai non so che fare, quando non ci vediamo” disse Vaart avvicinandosi dolcemente, così da poter sentire il dolce profumo del suo corpo. Il cuore gli batteva a mille allora, ogni volta che la sentiva così vicina. Era una sensazione stupenda.

Vaart la baciò delicatamente. Erano giorni che non sentiva il sapore delle sue labbra, e capì che anche Neesa ne aveva altrettanto bisogno. Un’incredibile energia gli scorreva lungo tutto il corpo ogni volta che la sentiva sua, e capì che ogni singolo giorno di attesa per vivere quel momento, ne era valsa la pena.

“Ho corso il rischio di non poter venire. Ci sono molte guardie in giro oggi” disse Neesa, il tono improvvisamente serio.

“Vorrei che ci fosse una soluzione a tutto questo. Vorrei gridare al mondo intero quello che provo senza rischiare una condanna a morte”

Neesa appoggiò la sua fronte a quella di Vaart.

“Lo vorrei anch’io”

“Un giorno sarà così. Te lo prometto”

Neesa si sedette con la schiena appoggiata al tronco dell’albero. “Non fare promesse che non puoi mantenere. Tuo padre non mi accetterà mai. Io vengo da Teora, per lui sono una sua nemica. Non puoi cambiare questo”

Vaart non riusciva davvero a darle torto. Suo padre, il re Urth, signore di Targun, era da sempre nemico di Teora, la città natale di Neesa. Era un astio però che apparteneva solo a suo padre, e che Vaart non aveva mai condiviso. Scoprire che appartenevano a due mondi così distanti, fu un duro colpo per entrambi, ma alla fine ciò che provavano era talmente grande da arrivare a credere che niente al mondo aveva il diritto di separarli. Non era giusto che loro dovevano pagare le conseguenze di un astio che altri s’impegnavano ad alimentare. Tuttavia, se volevano vedersi, dovevano farlo di nascosto, decidere con cautela i giorni per non dare nell’occhio, e non potevano trattenersi oltre un certo limite, poiché i cancelli delle loro città chiudevano al calar della sera. In quel tempo di conflitto, quello era il loro rifugio sicuro, fuori dal mondo.

Neesa distese le labbra in un sorriso amaro. Vaart le accarezzò una guancia delicatamente, e una piccola lacrima uscì dagli occhi di Neesa.

“Tutto questo non finirà. Non permetterò che accada”

Neesa si avvicinò al viso di Vaart.

“Tu sogni a occhi aperti, ma va bene così” disse e lo baciò teneramente.

Il tempo sembrò volare via troppo velocemente, e il cielo azzurro si stava lentamente tingendo di nero.

“Ci sarà una festa, tra una settimana, in un piccolo villaggio. Forse posso farti entrare in città senza essere visto. Così potremo stare un po’ più di tempo insieme”

“Dimmi tutto”, la risposta di Vaart non si fece attendere. Coglieva al volo ogni occasione che aveva per stare con lei. Neesa non ebbe il tempo di spiegargli tutti i dettagli, poiché l’ora si fece tarda e dovettero tornare alle rispettive città prima della chiusura dei cancelli. Ma fecero un buco nella corteccia dell’albero, sottile quel tanto che bastava per infilare un pezzo di carta.

“Ti lascerò un messaggio qui dentro, per i dettagli del piano. Se non ci riuscirò te lo comunicherò ugualmente”

“So che ce la farai”.

Si salutarono e ognuno tornò alla sua città.

Mentre correva per i prati non sentiva la stanchezza dalla corsa, poiché ogni muscolo del suo corpo pompava energia alla massima potenza. Arrivò in città appena prima della chiusura.

Entrò dal portone secondario, così da poter passare a salutare il suo vecchio amico Morn. Era un fedele amico e saggio consigliere per Vaart da quando era un bambino. Si fidava di lui. Un tempo era stato il fabbro del palazzo, ma oramai esercitava la sua professione nella sua fucina, per occupare il tempo. Lo trovò che stava mettendo a posto i ferri del mestiere.

“Toh. Chi non muore si rivede. Dove te ne vai in giro a quest’ora?” chiese il vecchio Morn con il suo solito tono burbero. Era un uomo basso, tarchiato, e portava una folta barba incolta. I capelli erano raccolti in una coda di cavallo che gli ricadeva lungo la schiena. Era un uomo dalla tempra dura e sincera. Come se ne vedevano pochi ormai.

“Magari un giorno mi fermo e te lo racconto” disse con un sorriso sghembo mentre giocherellava con un martello.

“Fosse quasi ora che ti facessi un po’ vivo” disse Morn mentre toglieva il martello dalle mani di Vaart per rimetterlo al proprio posto. “E’ un mese a questa parte che non hai tempo per fare niente”. Poi lo guardò con fare interrogativo. “Chi è?”

Vaart s’irrigidì improvvisamente, e questo diede la conferma al vecchio Morn di aver colto nel senno.

“Non capisco di cosa parli” disse Vaart di nuovo sicuro di sé.

“Testa calda che non sei altro. Hai capito molto bene invece. Il re non c’è, e subito ne approfitti”

“Il re pensa solo alle guerre. Complicando la vita del suo popolo. Potrebbe rendere tutto più semplice, ma è così testardo”

Morn lo squadrò con sguardo severo. “Sta attento a ciò che professi”

“Mi hai insegnato a non temere nessuno, nemmeno mio padre” disse Vaart con la sua solita spavalderia.

“Ma ti ho anche insegnato a non sottovalutare le persone. Il re è un uomo pericoloso, molto più di quanto immagini” disse con tono severo.

“Adesso è meglio che vada”

“Con una promessa. Voglio vederti in questa stanza quanto prima, e voglio sapere cosa stai combinando. Intesi?”

“Intesi”

Quella sera delle pesanti nuvole si addensarono all’orizzonte. La pioggia iniziò a cadere copiosa a tarda notte. Vaart era ancora sveglio, ripensando alla giornata passata insieme alla sua bella Neesa. Ancora una settimana, ed avrebbe assaporato di nuovo il dolce profumo del suo corpo. Ma doveva organizzare la sua uscita. Questa volta non si trattava di una scampagnata, bensì di entrare a Teora. Era proibito per un abitante di Targun andare in una città nemica. Neesa apparteneva ad un mondo che il padre odiava. Si chiese cosa sarebbe successo il giorno in cui tutto sarebbe venuto alla luce del sole. Si chiese chi avrebbe scelto. In cuor suo sapeva già la risposta.

La mattina seguente la pioggia aveva smesso di cadere, ma il cielo era coperto da una spessa coltre di nubi grigie. Nolger, il suo insegnante d’armi lo attendeva come tutte le mattine per i suoi allenamenti con la spada. Era un uomo alto, massiccio, il temperamento di chi ha assaporato la crudeltà di una battaglia. Quella notte Vaart aveva dormito poco, ma aveva tanta energia in corpo, e voleva concederle il giusto sfogo in un duello.

“Cominciamo?!” disse brandendo la sua spada.

“Sarebbe quasi ora” disse Nolger. Iniziarono il duello, l’abilità di Vaart in combattimento migliorava repentinamente, seppur aveva ancora molta strada da fare.

“Non spingere troppo con la gamba quando fai questo movimento. Tieni sempre alta la difesa in questo caso”.

Nolger spaziava nel dargli consigli di vario genere per migliorare la sua tecnica. A Vaart non stava molto simpatico, forse perché era il braccio destro di suo padre. Ma doveva ammettere che era un combattente eccezionale, in un eventuale battaglia non avrebbe voluto scontrarsi con lui. E visto che quegli allenamenti erano un imposizione del re, come tante altre cose a Targun, si sforzava di imparare più cose che poteva. Alcune gocce di pioggia incominciarono a cadere, ma gli allenamenti continuarono comunque, perché una battaglia, non veniva rinviata in caso di pioggia.

Ad interrompere i loro allenamenti, fu un leggero ma deciso battere di mani. Vaart non si era accorto dello spettatore d’eccezione. Suo padre, il re Urth si stava avvicinando al luogo dello scontro. Era un uomo dalla mole possente, di aspetto rude ma deciso. Indossava ancora il lungo mantello da viaggio, sormontato dalla cotta di maglia.

“Il degno erede di tuo padre. Diventerai un gran guerriero un giorno”

Vaart vedeva suo padre poche volte, quando combatteva, o quando voleva insegnargli una strategia di guerra. Per il resto ignorava come occupasse il suo tempo. Immaginò ad inventarsi qualche strategia di guerra.

“Non sapevo che fossi tornato”

“Sono arrivato all’alba, appena in tempo per questo meraviglioso spettacolo. Tieni, ho un regalo per te”

Il re Urth, gli consegnò un pugnale dalla lama lunga circa venti centimetri, dentata dalla metà fino alla punta, con una leggera curvatura. Il manico era ornato di segmenti d’oro e d’argento finemente intrecciati.

“L’ho fatto forgiare per te, da quando Nolger mi ha detto che hai un particolare talento per gli scontri ravvicinati. D’ora in poi questa sarà la tua arma contro i tuoi nemici. Un giorno diventerai migliore di tuo padre. Non avremo rivali, costruiremo un esercito tale da spazzare chiunque in tutto il continente. Sto rafforzando il nostro esercito in numero, e cercando le giuste alleanze. Manca poco figlio mio. E Teora, sarà la prima a cadere sotto il nostro dominio”

“Vuoi attaccare Teora?” Vaart senti le vene che gli pulsavano ferocemente. Muovere una guerra contro quella città, significava mettere Neesa in pericolo.

“Si” proclamò in tono fiero. “Così avrò la mia vendetta, e manterrò una promessa fatta. Diventerò il signore di queste terre. E tu sarai al mio fianco in questo dominio”

“Io non voglio combattere per seminare morte padre. Non è quello che mi hanno insegnato”

“Bah. Da dove vengono queste sciocchezze. Dal quel vecchio pazzo del fabbro, non è così?. Se avessi saputo prima quali stupidaggini ti stava inculcando, lo avrei allontanato da te”

“Non voglio macchiare la mia spada di sangue innocente. Era il desiderio di mia madre”

Il re s’irrigidì improvvisamente, ma poi tornò sereno.

“Ma non sarà così per sempre. Quando si arrenderanno, vivranno felici. Lavoreranno, si sposeranno, avranno dei figli bastardi con le loro amanti, tutto ciò che vogliono, sotto il dominio di Targun. Cambierai idea, quando ti mostrerò la mia visione”

La visione di un pazzo, pensò tra sé.

“E se io non fossi d’accordo?”

Il re, si stava allontanando, quando si fermò improvvisamente. La pioggia iniziò ad aumentare d’intensità.

“Questo non avverrà” disse in tono asciutto senza voltarsi.

“Come fai ad esserne sicuro”

“In un modo o nell’altro, tu sarai al mio fianco”, disse il re, e senza aggiungere altro se ne andò.

“Continuiamo, non abbiamo ancora finito” disse Nolger.

Il pensiero di Neesa in balia dei soldati di Targun fece crescere una tale rabbia nel cuore di Vaart, che anche sotto la pioggia oramai incessante, continuò i suoi allenamenti, spendendo le sue energie al massimo, e per la prima volta riuscì a tenere testa persino a Nolger.

Mancavano solo tre giorni al suo incontro con Neesa, ma sembravano un’eternità. Quella sera non voleva stare a palazzo, così decise di scendere dal vecchio Morn. Aveva proprio bisogno di parlare con qualcuno. Quando arrivò, trovò la porta chiusa. Bussò per vedere se fosse all’interno, ma non rispose nessuno. Poi sentì dei passi che si affaccendavano per casa, e alla fine la porta si spalancò e apparve Morn. Fu un gran piacere per Vaart vedere quel volto amico.

“Che hai, sembra che tu abbia visto un fantasma” disse Morn mentre lo invitava ad entrare.

“Non è da te chiuderti a chiave in casa. Che stavi combinando?” chiese Vaart incuriosito da quello strano atteggiamento.

“Ne dovrà passare di acqua sotto i ponti prima che io debba dare conto a qualcuno di quello che combino in casa mia. Ti va qualcosa da bere?”

“Qualcosa di forte” disse Vaart.

Morn prese una bottiglia di Brandy da uno scaffale, con due bicchieri. Si sedette al tavolo dove stava Vaart e riempì un bicchiere, mentre l’altro lo colmò d’acqua e lo porse a Vaart.

“Spero che sia abbastanza forte?!” disse con un ghigno ironico. “Allora, mi vuoi dire cosa ti è successo. Sei bianco come un cencio”

“Non so da che parte cominciare”

“Inizia dal principio. Se sei qua è perché hai voglia di parlare. Non avrai fatto mica un viaggio a vuoto?”

“Ti ricordi qualche giorno fa, quando mi hai chiesto cosa stavo combinando…”

Vaart gli raccontò la sua storia. La conoscenza di Neesa, ciò che provava per lei, la loro difficile situazione, fino alla discussione di quella mattina con il re. Morn ascoltava con molta attenzione il suo racconto, e il suo volto s’incupì non poco, mano a mano che la storia prendeva corpo.

“Ragazzo mio, ti stai addentrando in una storia molto più grande di te. Sei sicuro che ne vale la pena?”

“Ci sono già dentro. Non so cosa stia succedendo. Mio padre sembra che abbia perso la ragione. Se muoverà un attacco contro Teora, seguire lui, significherà rinunciare a Neesa. E questo non voglio farlo”

Il vecchio Morn fissò il suo bicchiere di Brandy con lo sguardo perso in pensieri lontani.

“A quanto pare, sta giungendo il tempo”

“Che vuoi dire?”

“Il re sta togliendo molti contadini dalle loro case per reclutarli nel suo esercito. Sono mesi che va avanti così, ma ora sembra che voglia accelerare le operazioni”

“Perché proprio adesso, cosa è cambiato?”

“Non lo so. Forse si sente sempre più vicino al suo obiettivo. Ma chiunque si rifiuta di eseguire il suo volere, viene imprigionato nelle celle sotterrane, e torturato fino alla morte”

Il vecchio Morn, prese dal fondo di un cassetto, due fogli stropicciati, ripiegati più volte su se stessi, e li aprì. Vi erano scritti centinaia di nomi, che riempivano i fogli in ambedue le facciate. Alcuni dei nomi era cancellati.

“Questa è una lista di tutte le persone che sono state imprigionate. La aggiorno continuamente. Questi segnati, sono le persone che non ce l’hanno fatta”

Vaart rabbrividì nel vedere che almeno la metà di quella lista era cancellata.

“Tu come fai a esserne certo?”

“Perché li ho visti con i miei occhi. Ho conosciuto una a una queste persone, ma la cosa peggiore, e che questa lista contiene anche nomi di bambini”

Vaart non riuscì a credere a ciò che sentiva. “Bambini?”

“Tuo padre è un uomo pericoloso, te l’ho già detto. Ci sono tante cose che tu non sai, ragazzo mio, ma che forse è giunto il momento che tu conosca. Ho sempre sperato che tu non fossi come lui, e forse le mie preghiere sono state esaudite”

Morn sembrava indeciso se proseguire o meno nel suo racconto.

“Se c’è qualcosa che devi dirmi, per l’amor del cielo dimmela”

“Cambierà ogni cosa Vaart. Non so se spetta a me compiere questo passo”

“Ho il diritto di conoscere la verità, Morn. È la mia vita, io devo sapere. Soprattutto adesso”

“E sia” disse Morn sbattendo i pugni sul tavolo. “Se gli eventi devono prendere il loro corso, che il cambiamento inizi oggi. In questa stanza” Disse in tono perentorio. Prese il bicchiere di Brandy, lo guardò per alcuni istanti, poi in sol sorso ne bevve il contenuto e lo poggiò sul tavolo. Quindi iniziò il sua racconto.

“Devi sapere che un tempo Targun e Teora, erano una sola città. Era lunga diverse leghe, circondata da una muraglia enorme che ne delineava il portamento e la potenza. Essa veniva governata da un sovrintendente, ed un consiglio, che ne doveva controllare il corretto operato. Ma quando si acquista tanto potere, si finisce col volerne dell’altro. Ma il sovrintendente non era dello stesso parere, non voleva dichiarare guerra agli stati confinanti, per un potere che non riteneva necessario. “Non porterò alla morte migliaia di nostri soldati per inseguire un ideale che non condivido. La nostra città è forte, ha mura possenti, ed è la capitale di uno stato che non promuove guerra, ma libertà. Se qualcuno ci attaccherà noi ci difenderemo, e potete giocarvi il vostro onore che lo respingeremo. Ma non saremo noi a dichiarare guerra”. Con queste parole, il sovrintendente liquidò il consiglio, che però non era dello stesso avviso. Così con una serie di strategie politiche poco chiare, capitanate dal ministro Martus, nonché fratello del sovrintendente, riuscirono a far aumentare il potere del consiglio, che a sua volta elesse a suo comando il ministro Martus.

Riuscirono ad arrivare ad una pubblica elezione che doveva decidere il nuovo sovrintendente.

La sera prima dell’elezione però, Martus subì un attentato, ma riuscì comunque a scappare. Quando arrivò a casa, ferito gravemente, mandò a chiamare il suo primogenito, Urth. Era solo un bambino di dieci anni all’epoca, che non conosceva ancora il lato oscuro del mondo. Ricordo ancora vividamente gli eventi di quella notte, poiché ebbi la coincidenza di ascoltare quella conversazione. “Padre, che vi è successo?” disse il piccolo Urth non appena vide il padre sanguinate.

“Tuo zio, il sovrintendente, è malvagio, è stato lui a farmi questo. Porterà questa città alla rovina, con il suo modo di fare. Voglio che questa sera tu mi faccia una promessa. Promettimi che porterai a termine ciò che io ho iniziato, debella dal trono la sua famiglia, diventa tu il re di questa città, e guidala alla conquista di altre terre prima che siano gli altri a conquistare noi. Me lo prometti figliolo, farai ciò che ti chiedo..”

“Ma padre io non capisco…”

Il padre afferrò con forza il braccio del figlio… “Promettimelo! Un giorno capirai”

“Ve lo prometto padre”

Quella sera il padre Martus morì.

Successivamente scoprii che Martus aveva ragione. Fu il sovrintendente ad organizzare l’omicidio. Le votazioni erano corrotte, e Martus sarebbe salito certamente al potere, portando la città allo scontro con altri stati.. Con quel gesto, per quanto meschino, salvò la sua città dalla paura della guerra, portandola a vivere altri decenni di pace e prosperità. Per questo non ci furono mai abbastanza prove per accusarlo, e rimase saldo al comando di Teora.

Il piccolo Urth, crebbe. Diventò un uomo, e più cresceva più la promessa che fece a suo padre diventò per lui una missione, che non deviava in verità di molto dal suo essere. Aveva ereditato la brama di potere del padre. Non riuscì ad acquisire l’intero potere, ma riuscì a estirparne una parte dalle mani del cugino, che nel frattempo era subentrato al trono, così da riuscire almeno a dividere la città. Una parte, prese il nome di Targun. Ora non era più una maestosa e rigogliosa città, ma due stati circondati da uno stesso muro. Si sposò ed ebbe un erede. Tu. E le nuove generazioni crescevano con la convinzione che una città fosse la rivale di un’altra.”

Morn esitò un attimo, come a voler dosare le parole nel modo giusto, poi riprese a parlare

“Tua madre, povera donna, non morì di causa naturale come hai sempre creduto. Fu lui la causa della sua morte. Una volta la sorprese mentre cercava di farti comprendere come stavano veramente le cose. Sebbene fossi solo un bambino all’epoca, la imprigionò e la fece picchiare a sangue, fino a che il suo povero corpo non ce la fece più. Ma forse, riuscì nel suo intento, se oggi sei qui di fronte a me. Questa è la vera storia”

Vaart non si era accorto che stringeva forte il bicchiere che aveva tra le mani. Il viso era rigato di lacrime, che riusciva a stento a trattenere. Non voleva piangere. Ma come poteva non farlo. Il suo cuore si riempì di odio, rabbia, repulsione verso un uomo che non meritava più niente. Aveva ragione Morn. Ora qualcosa era cambiato.

“Se hai voglia di sfogarti, fallo. Ti sentirai meglio”

“Non ho tempo di sfogarmi. Che cosa dobbiamo fare”

”Assolutamente niente. Non farmi pentire della mia scelta”

“Non te ne pentirai, di questo puoi stare tranquillo”

“Vaart, ascoltami. Tu conosci come stanno gli eventi, ma c’è un piano in atto, per cambiare le cose che non spetta a te condurre. Mi ascolti?”

“Ho bisogno di stare da solo” disse Vaart uscendo dalla casa di Morn.

Vaart vagò per le strade della città senza una meta. Si chiese come poteva essere stato così stupido nel non vedere la realtà. Non si era mai preoccupato dei problemi politici che attraversavano il suo tempo, e ora capiva che i tempi felici e spensierati erano finiti. Bisogna cambiare, e anche in fretta. Non poteva più fare finta di niente. La gente della città moriva in segreto nelle celle sotterranee del palazzo. Aveva perso l’amore di sua madre per la follia di un pazzo. E per amare liberamente la sua bella Neesa, doveva cambiare gli eventi in maniera radicale. Ripensò alle promesse fatte a Neesa, di quando credeva che tutto si sarebbe risolto magicamente, prima o poi. Che bastava solo aspettare. Si rese improvvisamente conto di quanto avesse sottovalutato la situazione, spinto dall’euforia dei suoi sentimenti. Si sedette vicino ad un muro in un piccolo vicolo, stremato nel fisico e nell’animo. Si chiese se era abbastanza forte da riuscire a sopportare tutto questo.

Quella sera pianse, come mai aveva fatto prima.

Finalmente arrivò il giorno in cui avrebbe rivisto Neesa. Un giorno in cui i problemi che negli ultimi tempi avevano avvolto il suo cuore in una stretta feroce, aveva deciso di accantonare per tornare alle sue vecchie abitudini.

Arrivò di buon ora al solito posto. Il messaggio che Neesa gli aveva lasciato nella corteccia del ciliegio, gli diceva l’esatto luogo nel bosco dove doveva recarsi. Una volta lì, doveva attendere.

Vaart trovò rapidamente i tre alberi di pino disposti in maniera tale da formare un triangolo. Era pieno pomeriggio. Non sapeva quanto doveva aspettare, così si sedette all’ombra, e aspettò. Un po’ di volte dovette nascondersi per il passaggio di alcune guardie di Teora. A palazzo aveva lasciato detto che avrebbe passato tutto la notte dal vecchio Morn per questioni personali, e sperò che la scusa avrebbe retto. In ogni caso Morn era un uomo sveglio, e avrebbe saputo come uscirne.

Dopo molto tempo, quando oramai iniziava seriamente a pensare che nessuno si sarebbe fatto vivo, improvvisamente si sentì chiamare. Ma non vide nessuno. Poi notò un bambino, o almeno sembrava tale, appeso su uno dei rami degli alberi. Quando scese a terra, notò che non arrivava ad un metro di altezza. Aveva un cappello verde che gli ricadeva lungo la schiena, e una folta barba bianca molto lunga. Due simpatici occhi scuri, grossi e tondi sbucavano da sotto le ciglia cespugliose. Fece un poderoso inchino, da permettere al mento quasi di toccare terra.

“Il mio nome è Nargil… signore del fuoco. Piacere di essere al vostro servizio, e di quello della signorina Neesa”

“Piacere di fare la tua conoscenza, Nargil, il mio nome è Vaart”

Tagliarono per i boschi, per sbucare su una piccola strada dissestata, dove un carro attendeva il loro arrivo. Nargil gli fece indossare un cappello e una barba finta, e lo fece salire nel carro.

“Resta qui fino a che non tornerò a chiamarti”

Il carro iniziò a muoversi, e Vaart finalmente aveva compreso la “splendida” idea di Neesa, per farlo entrare di nascosto. Si chiese come poteva mai funzionare. Ma si dovette ricredere poco dopo, quando sentì che le guardie al cancello gli davano l’ordine di proseguire. Quando il carro si fermò, Vaart aspettò che Nargil comparisse di nuovo.

“Via libera”

Vaart scese dal carro, salutò Nargil e si diresse nel luogo dove gli aveva indicato.

Diede una veloce occhiata in girò e notò che era un luogo davvero accogliente. La gente sembrava allegra, gioviale, simpatica. Non sapeva esattamente in quale parte si trovasse, ma a giudicare dalla vasta distesa di edifici che s’intravedevano all’orizzonte, doveva essere in periferia. Le case erano di pietra, ricoperte da tetti di legno. Nascevano distanti tra lo loro di un paio di metri. Raramente ve ne erano due o tre attaccate.

“Pssshhh” si senti chiamare. Quando si voltò vide Neesa in un vicolo appoggiata ad una casa. Era bellissima. Indossava uno splendido vestito rosso, e teneva raccolti i capelli in una coda. Corse verso di lei e la baciò senza pensare a niente.

“Mi sei mancata tanto” disse tra un bacio e l’altro.

“Anche tu. Temevo che non arrivassi più”

Vaart smise di baciarla per un attimo e la guardò negli occhi. “Quella era la tua idea?”

“Ha funzionato no!” Disse Neesa e riprese il “discorso” da dove l’avevano lasciato.

Il dolce profumo dei suoi capelli, accarezzare la sua morbida pelle, gli fece dimenticare di colpo gli ultimi giorni tormentati che aveva trascorso. Aveva deciso. Quegli attimi preziosi erano per loro due. Niente avrebbe interferito. Qualunque problema lo avrebbe risolto più tardi. La strinse forte a sé come forse non aveva mai fatto, e le dichiarò tutto il suo amore. .

Quel paesello era splendido. Le strade erano lastricate di pietra, scortate da lunghi viali di erba tagliata con molta cura. Neesa gli spiegò che si trovavano alla periferia di Teora, e che il piccolo villaggio si chiama Tarmil, e aveva circa duecento abitanti.

Ovunque vi erano bancarelle, carri, tende che ingombravano tutte le strade. Si susseguivano senza ordine, vendendo ogni sorta di cibo, attrezzi da lavoro, o materiale per la cucina. Uno squisito aroma di cioccolato, caldarroste o quant’altra squisitezza echeggiava nell’aria. Vaart e Neesa si fermarono quasi ad ogni carro, assaggiando di tutto. Neesa gli spiegò ancora che quella festa durava tre giorni, e che era la più importante dell’anno a Tarmil. Era in onore di una divinità. Veniva gente anche da fuori ad ammirare lo spettacolo di fuochi d’artificio, che però ci sarebbero stati l’ultimo giorno della festa.

Il pomeriggio volò via troppo in fretta, e rapidamente l’atmosfera cambiò per poter ospitare la sera. Numerosi fuochi vennero accesi, le fiaccole pendevano da ogni carro e le strade iniziarono ad affollarsi. In più parti del villaggio erano stati allestiti palchi per dare sfogo ad ogni tipo di musica. Il borgo si animò di gente allegra, che cantava, rideva, ballava e si ubriacava felicemente in compagnia. Risero alla vista di un simpatico signore tarchiato, con un gran paio di baffi attorcigliati, e con in mano un boccale di birra che si tuffava nella mischia con quante più signore riusciva ad acchiappare. Cantava, ballava, beveva e rideva contemporaneamente. Ci fu un momento in cui stava per portare nella mischia anche Neesa, ma lei lo divincolò con disinvoltura. Non era così eccentrica. Poi Vaart scoprì perché Nargil si definiva “il signore del fuoco”. Prima con una, poi con due fino a cinque torce accese contemporaneamente, faceva delle esibizioni strepitose. Ma la cosa che più lo colpì fu quando si posizionò una torcia davanti alla bocca e soffiò una fiammata enorme dipingendo nell’aria uno spettacolare uccello di fuoco.

“Da dove vengono?” chiese Vaart incuriosito

“Da un luogo lontano e meraviglioso. Accadono cose straordinarie laggiù. Mi piacerebbe un giorno poterlo visitare”

Camminarono abbracciati lungo le strade della città. Nessuno badava a loro. Tutti erano presi dalle ballate, dai piacevoli ristori, dalla buona birra che circolava tra la gente. Quella era la prima volta che potevano mostrarsi in pubblico senza rischiare di essere scoperti. Vaart notò che era una bella sensazione.

“Grazie di avermi fatto venire”

“Non l’ho fatto per te. Ho pensato solo a me stessa” disse mordendosi il labbro com’era solito fare, con quel suo splendido sorriso.

“Allora grazie mille di essere così egoista” disse Vaart, mentre la baciava intensamente, in pubblico, come aveva sempre sognato di fare.

Si sedettero su una pietra in mezzo all’erba. Sul fondo la festa proseguiva allegramente. Ma loro volevano un po’ di tempo per stare da soli. Tra un po’ si sarebbero dovuti salutare.

“Come faremo. Abitiamo in due mondi cosi diversi”

“Non abbiamo scelto noi di innamorarci. Se ne devono fare una ragione. Non pensiamoci adesso”

Il cuore di Vaart incominciò a battergli a mille allora come ogni volta che le stava così vicino. La desiderava, e non trovava nessun altro posto dove voleva stare se non li. La sua mano accarezzava delicatamente il suo braccio nudo, percorrere quella pelle morbida gli donava un piacere unico. Voleva qualcosa di più, sentirla più vicina, ma non osava tentare. La strinse a sé, e abbracciati fissarono in lontananza la festa che proseguiva felice. Dopo aver scoperto la verità su suo padre, credeva che non avrebbe più vissuto attimi così belli e sereni in compagnia di Neesa. Fu felice di essersi sbagliato. Ma se avrebbe consentito a suo padre di agire, tutto questo sarebbe finito. Promise a se stesso che non lo avrebbe mai permesso.

A tarda notte, Nargil si fece vivo, e disse a Vaart che era arrivato il momento di andare.

“Quando ti rivedrò”

“Fra tre giorni, al solito posto”

“Neesa, sta attenta. Sono tempi pericolosi”

“So badare a me stessa”

“Lo so. Ma fai attenzione”.

Le diede un bacio appassionato, e poi si recò con Nargil ai cancelli, chiedendosi come avrebbe fatto a evitare le guardie, ma quando arrivarono, non trovarono nessuno.

“Dove sono le guardie?””

“Le ho corrotte” disse Nargil senza specificare di più.

Si salutarono, e Vaart tornò di gran carriera verso la sua città.

Aspettò che i cancelli aprissero, e che Morn distraesse le guardie come d’accordo. Il piano riuscì alla perfezione.

“Ci sono stai problemi?” chiese Vaart ansioso.

Morn scosse la testa. “A te com’è andata?”

“Magnificamente. Teora non merita una guerra. Dobbiamo fermare tutto questo!”

“Lo faremo, ora però andiamo a palazzo e non destiamo sospetti”

Morn aveva lavorato tutta la sera ai ferri di cavallo da donare al palazzo, e doveva farsi vedere che le consegnava insieme a Vaart per coprire la sua assenza della notte scorsa. La maggior parte della città, dormiva ancora a quell’ora.

“Ho ragione di pensare che qualcuno ti abbia seguito ieri notte” disse Morn mentre salivano la strada a spirale che portava a palazzo.

“Cosa?” disse Vaart silenziosamente. “Io non mi sono accorto di niente”

“Non ne sono del tutto convinto. È solo una supposizione” disse Morn, ma il loro discorso venne interrotto da alcune urla che provenivano da un’entrata secondaria del palazzo. Quando arrivarono videro che si trattava di una donna che stava urlando contro alcune guardie. Sembrava disperata.

“Vi prego, ridatemelo, è solo un bambino, solo un bambino” continuava a ripetere mentre singhiozzava tra urla e pianti. “Vi prego”, continuava a gridare in ginocchio davanti all’ingresso.

Vaart mollò il materiale a terra e corse verso la prima guardia che aveva a tiro.

“Che sta succedendo?” chiese Vaart ad una guardia.

“La solita madre che reclama il figlio signore” disse freddamente l’uomo.

“Spiegati meglio soldato” disse Vaart, mentre avvertiva un rantolo di rabbia che ribolliva nelle sue vene.

“Il re sta preparando il suo esercito. Tutti debbono contribuire alla causa, mio signore. Quella donna se ne deve fare una ragione”

“Chi è suo figlio?”

La guardia indicò imbarazzato una stanza vicino. Vaart andò a vedere e rabbrividì alla scena. Vide un bambino di non più di dieci anni, che stava per essere lavato e preparato per un esercitazione di guerra. Aveva uno sguardo spaesato, e gli occhi rossi gonfi di lacrime. Vaart guardava quel bambino, e contemporaneamente, sentiva la madre urlare all’ingresso disperata. Strinse talmente forte i pugni che le unghie penetrarono nella carne.

Stava per fare qualcosa, quando una mano forte lo afferrò per un braccio. Era il vecchio Morn.

“Non fare sciocchezze”

“Ma che stai dicendo. La senti quella donna che reclama il figlio”

“Credi che lui sia il primo. Non puoi cambiare nulla, non oggi almeno. So cosa stai provando in questo momento, perché e quello che provo anch’io. Ma ci sono troppe cose da organizzare perché tu le rovini con una sciocchezza adesso.” Disse sottovoce Morn. “Per l’amor del cielo, esci da questo posto, prima che rovini tutto.”

Vaart guardò prima Morn poi il bambino.

“Tutto questo un giorno finirà. O per mano tua, o per mano mia” disse Vaart sbattendo un pugno sul muro. Mentre si allontanava, vide che un uomo, forse il marito cercava di portare via la donna che continuava a imprecare contro le guardie. Alla fine l’uomo riuscì nel suo intento.

Vaart ora voleva solo vedere Neesa. Stringerla forte a se. Voleva sentirla, ne aveva bisogno. Aspettò con impazienza il giorno del loro incontro, ma stranamente quel giorno lei non venne. Guardò nell’incisione nella corteccia, ma non c’era nessun messaggio. Pensò che avesse avuto dei problemi. O forse che la loro relazione stava diventando troppo complicata e pericolosa, e lei non voleva correre tutti quei rischi. Forse il loro incontro a Tarmil non era stato come lei se lo immaginava, ed era rimasta delusa. Non sapeva cosa pensare. Ma perché non veniva? Il suo cuore era agitato. C’era qualcosa che non andava. Ma non sapeva dire cosa.

Tornò a Targun in tempo per la chiusura dei cancelli. Il giorno seguente tornò di nuovo all’albero di ciliegio, ma lei non c’era ancora. E non si fece viva nemmeno il giorno seguente.

Quel giorno però, quando tornò in città, venne fermato da Morn. Lo invitò a entrare, e Vaart capì subito che quella sera era inquieto, come se qualcosa lo preoccupasse. Fu lieto di sapere che Vaart non aveva fatto sciocchezze dopo gli ultimi accadimenti, ma c’era qualcos’altro, non era il solito Morn che conosceva.

“Come vanno i tuoi incontri segreti?”

Vaart si rabbuiò improvvisamente al pensiero di Neesa. Non la vedeva da tanti giorni ormai, e anche Morn divenne ancora più inquieto quando venne a sapere della situazione.

“Se non verrà anche domani, entrerò a Teora, e andrò a vedere che succede”

“Non farlo assolutamente. Per andare dove poi, sai dove abita?” disse Morn particolarmente nervoso.

“In qualche modo farò”

“Neesa, è questo il suo nome non è vero?”

“Si. Perché?” chiese Vaart incuriosito da quella strana domanda.

“Non riuscivo a ricordarmelo” disse vagamente Morn. Poi puntò un dito deciso contro Vaart.

“Stammi a sentire molto bene, perché è molto importante. Hai parlato di queste cose con qualcun altro oltre che con me?”

Vaart disse di no, ma quando gli chiese il perché di quello strano atteggiamento, Morn lo interruppe di nuovo.

“Fa come ti dico e non fare domande, e forse troveremo una soluzione. Va a palazzo, fa finta di niente e non dire a nessuno della nostra conversazione. Niente colpi di testa . Intesi?”

“Si ma..”

“Allora fila e aspetta mie notizie”. Disse il vecchio Morn senza accettare obiezioni.

Vaart non capì cosa stava accadendo, ma si fidava del suo vecchio mentore. Non poteva fare altro ormai.

Era notte fonda quando sentì dei rumori provenire dal corridoio. Con sommo stupore, vide entrare nella sua stanza il fabbro.

“Vestiti, che dobbiamo andare. Questo ci servirà” disse prendendo il pugnale di Vaart che gli aveva regalato suo padre.

Intimandogli di fare silenzio, lo condusse attraverso vari corridoi poco illuminati del palazzo. Conosceva molto bene quei luoghi, muovendosi con notevole maestria e attraversando zone che persino Vaart ne ignorava l’esistenza. Molte volte si dovettero fermare per aspettare che le guardie passassero. Procedettero con cautela, fino a che non arrivarono, alle celle sotterranee. Attraversarono una porta già aperta ed entrarono in un altro corridoio pieno di celle vuote. Si appostarono dietro una botte di legno, posta di fianco a un muro.

“Che stiamo facendo?” chiese Vaart.

“Neesa è tenuta prigioniera in queste celle”

“COSA?”

Il fabbro tirò fuori da una tasca un foglio raggrinzito, e lo porse a Vaart. Capì che si trattava di uno di quei fogli dove Morn segnava i nomi di chi veniva fatto prigioniero. L’ultimo nome della lista era quello di Neesa.

“Da quando lo sai?”

“Da stamattina”

“Perché non me lo hai detto quando ci siamo visti.? È per questo che mi hai chiesto come si chiamava Neesa, per accertarti che fosse lei”

“Fa silenzio o ci scopriranno” gli intimò Morn. “Ora la cosa che conta è liberare Neesa. Ho organizzato tutto, quindi sta zitto, e fa quello che ti dico”

Sentì la rabbia che stava prendendo velocemente il sopravvento. Il re gli aveva tolto l’amore di sua madre, ed ora stava impedendo anche il suo amore con Neesa. Non aveva mai creduto che fosse capace di arrivare a tanto.

Improvvisamente arrivarono due guardie. Aprirono al porta e entrarono, ma quando la seconda guardia lasciò la porta semi aperta, cosicché da fuori si potesse vedere ciò che accadeva all’interno, Vaart rimase impietrito.

La sua bella Neesa stava seduta su una panca di legno, con la schiena poggiata al muro. Era legata con le mani dietro la schiena. Indossava un vestito stracciato e mal ridotto e lo sguardo sfinito di chi ha subito torture per giorni.

“Dobbiamo liberarla” disse Vaart, che oramai riusciva a stento a trattenere la rabbia.

“Calmati. Dobbiamo aspettare il momento giusto” disse Morn sottovoce.

Vaart ascoltò il consiglio e restò in attesa.

“Resisti amore mio, tra poco sari libera” si disse per non agire d’impulso.

Le guardie stavano facendo il giro delle celle. Ma quando furono davanti a Neesa, indugiarono per un momento. Una delle guardie accarezzò delicatamente le caviglie di Neesa, poi lentamente salì con la sua mano lungo le gambe piene di lividi e tagli.

“Mio signore, non credo che sia il momento. Abbiamo altre cose da..”

“Solo un momento” disse l’uomo mentre palpava con più forza le gambe di Neesa, mentre i suoi occhi s’inondarono di lacrime, e scosse la testa come a volerlo supplicare di andarsene.

Quando la guardia arrivò ad alzare l’ultimo brandello di vestito che indossava fu davvero troppo per Vaart, che sfilò il coltello dalla cintura del fabbro e corse con tutta la sua rabbia all’interno della cella. Mentre correva, sentì un’incredibile ira emergere dal profondo del suo animo, che gli donava una potenza che non credeva di possedere. Spalancò la porta della cella e come un falco si avventò sul suo avversario. Con un colpo secco gli tagliò la gola di netto e l’uomo cadde a terra privo di vita.. Poi si scagliò contro l’altra guardia, ma il fabbro lo fermò un attimo prima che Vaart gli conficcasse il pugnale dritto al cuore.

“Lui è con noi”

Vaart ansimava per l’enorme sforzo, gli occhi spalancati dall’ira che si riversava maestosa in ogni singola vena del suo corpo.

Lasciò andare il coltello e si concentrò su Neesa che sorrideva e piangeva mentre Vaart la liberava dalle catene.

“Amore mio. Mi dispiace così tanto”

“Portami via da qui” riuscì appena a dire.

Vaart la prese in braccio, e solo quando si voltò per andarsene, si accorse dell’orrore che c’era in quella stanza. Era un corridoio lungo, pieno di celle e all’interno vi erano decine di uomini e donne nelle stesse condizioni di Neesa, se non peggio. Delle grida e suppliche di aiuto si levarono dal corridoio, le mani dei prigionieri che tentavano invano di uscire dalle proprie celle come se dovessero afferrare qualcosa nell’aria.

“Non possiamo liberare anche loro, sarebbe un suicidio” disse la guardia.

Vaart era combattuto, ma in cuor suo sapeva che non poteva perdere più tempo.

“Dobbiamo liberarci del corpo, e loro avranno fame” disse con un ghigno indicando il resto dei prigionieri.

Morn abbozzò un sorriso compiaciuto, poi trasportò il corpo vicino alle celle e lanciò un coltello ad un prigioniero.

“Fatene ciò che volete” disse il fabbro.

Mentre uscirono dalla cella, Vaart sentì i denti del coltello affondare nella carne dell’uomo. Un inaspettato senso di piacere lo attraversò all’idea della sua triste fine.

S’incamminarono lungo dei corridoi sotterranei. Il tracciato sembrava essere stato studiato alla perfezione. Vaart non voleva sapere in quel momento se poteva fidarsi della guardia, ma sapeva che se li avesse traditi avrebbe fatto la stessa fine dell’altra. Correva con in braccio Neesa che si era stretta al suo collo. Dopo giorni, finalmente si sentiva al sicuro.

Scesero ancora giù attraverso corridoi che Vaart non conosceva. Sbucarono su una sporgenza a ridosso di un piccolo fiume che scorreva lungo le mura della città.

C’era una piccola imbarcazione ancorata ad un palo ben piantato nel terreno.

Il fabbro salutò la guardia, e dopo avergli raccomandato di attenersi al piano salì sulla barca insieme a Vaart e Neesa.

“Questo era un vecchio percorso che facevamo per uscire e comunicare con Teora. Non lo si usa da un po’ di tempo”

A quanto pareva la storia che lo circondava era molto più grande e difficile di quanto si fosse mai immaginato, ma in quel momento non gli interessava. La sua attenzione era solo per Neesa.

“Come stai piccola mia?

“Grazie di essere venuto”

“Ti amo più di ogni cosa al mondo”

Neesa sorrise a quelle parole, gli cinse il collo e appoggiò il viso sul petto.

“Ti amo anch’io” sussurrò.

Neesa riconobbe subito il dolce profumo di pulito del suo candido e soffice letto, ornato da splendide lenzuola rosa e azzurre. Una mano strinse forte la sua, e non fece fatica a riconoscerla. Aprì gli occhi e vide Vaart, che la stava vegliando di fianco al letto.

“Finalmente ti sei svegliata dormigliona” disse accarezzandole il viso, e dandole un bacio sulla guancia.

“Quanto ho dormito?” chiese mentre tentò di alzarsi, ma il dolore alle costole le fece cambiare idea.

“Un po’. Sei bellissima, come mai prima d’ora” disse Vaart, che non riusciva a smettere di guardarla e sorridere.

“Ma smettila” disse Neesa, ma in fondo era felice di sentirselo dire. “Insomma, entri nella mia stanza senza chiedermi il permesso”

“Stavi dormendo” poi fece un sorriso malizioso. “Così ne ho approfittato per dare una sbirciata”

Neesa sorrise. “Spero che hai gradito almeno”

“Decisamente. Non vedo l’ora di approfondire la faccenda” disse Vaart con un ghigno malizioso. Poi le diede un bacio sulle labbra come non faceva da tanto, troppo tempo ormai.

Neesa ci mise diverse settimane per rimettersi in sesto, periodo nel quale i due ne approfittarono per stare molto insieme.

“Raccontami cosa è successo quella notte” disse un giorno Neesa, mentre stavano passeggiando vicino ad un piccolo torrente.

“Quando siamo arrivati, ci siamo diretti verso il palazzo di Teora. Ci hanno fatto entrare senza problemi, poiché Morn era molto conosciuto”

“Morn. Mi ricordo di lui. Quando venne a vedermi si preoccupò molto per me. Mi disse che quella sera mi avrebbe liberato. E poi siete arrivati”

“Gli devo molto, senza di lui non so cosa avrei fatto”

“Continua, cosa è successo dopo?”

“Ho incontrato tuo padre. Credo che volesse uccidermi. Ma era più interessato a te, per mia fortuna. È stato curioso scoprire che sapeva della nostra relazione”

“Non te lo aspettavi eh. Non si fidava di te. Soprattutto quando gli ho spiegato chi era tuo padre”

“E aveva ragione. Hai visto cosa ti hanno fatto per colpa mia”

“No. Non aveva ragione. Tu non sei come tuo padre. E quando ha visto cosa hai fatto per me, credo che se ne sia convinto anche lui. E gli altri prigionieri, che ne sarà di loro?”

“Sono tutti liberi”

Neesa lo guardò con stupore.

“Se mi lasciassi spiegare come si sono svolti gli eventi senza interrompermi ogni volta, forse capiresti”

“Scusa tanto..” disse mentre sfoderava uno dei suoi splendidi sorrisi.

Vaart alzò gli occhi al cielo e continuò la sua storia.

“Quando ho parlato con tuo padre, dopo i primi attriti, ho scoperto che Morn era in contatto con Teora da anni per cercare di liberare Targun dal dominio di mio padre. Fu mia madre ad iniziare questa battaglia insieme a Morn, molti anni fa. Quella sera stessa i soldati di Teora attraversarono il passaggio sotterraneo e scoprirono i prigionieri nelle celle, e hanno denunciato tutto alla capitale. In più furono trovati molti documenti che testimoniavano le sue strategie per conquistare Teora”

Vaart si fermò un momento, per contenere la rabbia.

“C’eri anche tu nei suoi piani. Mio padre non poteva attaccare Teora senza un buon motivo, così quando ha scoperto la nostra relazione, come abbia fatto è un mistero ancora oggi, ha deciso di sfruttare la situazione a suo vantaggio. Se ti avrebbe rapita, e avrebbe fatto in modo che Teora tentasse di liberarti, avrebbe tentato di girare la situazione dicendo che Teora stava cercando di sovvertire Targun illegalmente. A patto di far scomparire le prove, ovviamente. Solo cosi avrebbe ottenuto l’alleanza della capitale, nel chiedere l’abbandono al potere del vostro sovrintendente. Se non ci fosse stata, cosa sulla quale contava, avrebbe attaccato, con gli alleati dalla sua parte. Quando siamo arrivati, abbiamo scoperto che tuo padre stava organizzando un incursione. Ancora poche ore e avrebbe vinto mio padre. Ma non aveva calcolato quella vecchia volpe di Morn in questo suo piano.”

Vaart ripensò a quando il padre gli disse che in un modo o nell’altro sarebbe stato al suo fianco. Ora capiva cosa intendeva. Strinse i pugni, mentre ripercorreva con la mente quei momenti.

“Invece è stato lui ad essere arrestato per tentato colpo di stato. E con tutte le testimonianze delle vittime, marcirà nelle celle della capitale, fino alla sua condanna. Come si merita”

“Che cosa ne sarà adesso della tua città?”

“Tornerà di nuovo unità a Teora”

“Sarai tu a governarla?”

“Non lo so. Non ci ho pensato al momento. Non credo di esserne capace”

Vaart scostò i meravigliosi capelli di Neesa per liberarle il collo. La riempì di teneri baci.

“Se ripenso che stavo per perderti” disse mentre l’abbracciò con vigore,“mi vengono i brividi”

“Ma non è successo. Ed è questo quello che conta”

Vaart si avvicinò con le labbra alla sua bocca e le disse: “Ti amo”

Neesa si scostò da Vaart per mettersi davanti a lui. Si slacciò il vestito dolcemente, e lo fece cadere a terra. Il suo magnifico corpo nudo era splendido in quella meravigliosa mattina di sole.

“Ti amo anch’io. Con tutta l’anima”

Vaart si avvicinò lentamente. Sfiorò delicatamente con le dita ogni singola parte del suo corpo, accompagnando ogni movimento con teneri baci. La distese sull’erba verde, e quel giorno splendido venne coronato dando libero sfogo alla loro passione.

Quirino Pilosi

E se covano lupi di Paola Mastrocola

In questo «romanzo di animali» il lupo è un filosofo, uno che ama starsene a pensare e scrivere, ma che improvvisamente vuole diventare meno astratto. La sua consorte anatra è un’anatra e basta, che svolazza spensierata ma ora si chiede se ai suoi figli, quando nasceranno, piacerà una madre che non sa niente del mondo.

Hanno solo ventotto giorni, il lupo e l’anatra, per diventare quello che non sono: il tempo che ci metteranno le loro uova a schiudersi, il tempo di covare o svolazzare e prepararsi a essere genitori: il misterioso, e irripetibile, tempo dell’attesa.

E se il lupo cova al posto dell’anatra… l’anatra intraprende un suo viaggio personale, tutto anatresco, dove incontra gatte giornaliste, struzzi direttori, tacchini chiassosi e treni che non fanno mai fermate; mentre il lupo, seduto immobile a covare al centro di una prateria, trova l’amico della sua vita, un vecchio riccio brizzolato afflitto di solitudine, ma anche incappa in volpi che lo invidiano, sanguisughe che lo intervistano, gufi benpensanti che lo legano a un albero. Finché le uova…

Abbaiare stanca di Daniel Pennac

Non sono uno specialista di cani. Solo un amico. Un po’ cane anch’io, può darsi. Sono nato nello stesso giorno del mio primo cane. Poi siamo cresciuti insieme. Ma lui è invecchiato prima di me. A undici anni era un vecchietto pieno di reumatismi e di esperienza. Morì. Io piansi. Molto”.

Ecco cosa dice Daniel Pennac, l’innamorato dei cani.

Quando avremo letto la storia del Cane, sapremo non solo tutto sul suo mondo. ma impareremo anche molto su quello degli uomini: come appariamo agli occhi del cane, quanto dobbiamo venir ammaestrati.

Da uno scrittore cult, un inno all’amicizia tra uomo e cane, una storia sull’amore, la paura e la voglia di libertà.

Dieci regole per amare di Paola Zannoner

L’amore ha le sue regole. Sono regole difficili da seguire, soprattutto perché quando si è innamorati non si ragiona certo col cervello. Così Caterina si trova a stare con Marco anche se lui la tratta male e le tiene nascoste un sacco di cose. Nonostante le tante delusioni, la ragazza cerca di tener duro e perdonare i suoi comportamenti. Quando invece decide di dar retta alle regole dell’amore, lasciandolo, la reazione di Marco le sovverte tutte.

Reggiseni & manici di scopa

“Che cosa succederebbe se tutti i vostri desideri potessero avverarsi? Un battito di ciglia, una magica pozione rosa e… puf, la vita è perfetta! Questa è la mia situazione, se si esclude il fatto che non sono io quella che improvvisamente ha dei poteri magici, ma mia sorella. E lasciate che ve lo dica: i libri di incantesimi in mano alle ragazzine sono proprio sprecati! Certo, certo, la pace nel mondo e le cure di malattie terribili sono importanti, però… Però è altrettanto importante che io impari a ballare senza dare l’impressione di avere infilato le dita nella presa della corrente. Oppure che riconquisti la mia migliore amica, o che impedisca il matrimonio di mio padre. E trovi un cavaliere per il Ballo di Primavera. Non sono io la strega… be’, non ancora.”
Scritto con stile frizzante, pieno di humour, “Reggiseni & manici di scopa” è un romanzo con tante marce in più: una protagonista spassosa e casinista, che potrebbe benissimo essere la sorella minore di Bridget Jones, avventure magiche, e i tragicomici turbamenti dei teenager. Una storia effervescente – intesa dall’autrice come la prima di una lunga serie – che piacerà sicuramente agli adolescenti, i quali spesso si trovano di fronte genitori mai cresciuti, e ai genitori stessi, che vi riconosceranno le “insuperabili” crisi dei figli con le quali devono combattere ogni giorno.

La Spada del Destino di Andrzej Sapkowski

Geralt di Rivia è uno strigo, un assassino di mostri. Ed è il migliore: solo lui può affrontare un basilisco, sopravvivere a un incontro con una sirena, sgominare un’orda di goblin o portare un messaggio alla regina delle driadi, fiere guerriere dei boschi che uccidono chiunque si avventuri nel loro territorio. Geralt però non è un mercenario senza scrupoli, disposto a compiere qualsiasi atrocità dietro adeguato compenso: al pari dei cavalieri, ha un codice da rispettare. Ecco perché re Niedamir è sorpreso di vederlo tra i cacciatori da lui radunati per eliminare un drago grigio, un essere intoccabile per gli strighi. E, in effetti, Geralt è lì per un motivo ben diverso: ha infatti scoperto che il re ha convocato pure la maga Yennefer, l’unica donna che lui abbia mai amato.

Lo strigo sarà dunque obbligato a fare una dolorosa scelta: difendere il drago e perdere Yennefer per sempre, o infrangere il codice degli strighi pur di riconquistare il suo cuore…