LA CASA DEI MISTERI di Francesca Arcangeli
Primo Livello Bambini
Corso di Scrittura on-line
La chiamavano la casa dei misteri ed era disabitata da molti, lunghissimi anni.
Era sempre stata nota per l’orrenda fine dei suoi proprietari. Era una storia di cui i vecchi abitanti del paesino amavano ancora parlare per impaurire i piccoli e curiosi bambini della zona. La storia racconta che una volta lì ci viveva un duca, con sua moglie e due figli. Poi, una mattina cupa e scura, il giardiniere trovò la moglie e i figli del duca assassinati in salotto: il figlio maggiore quasi incenerito nel camino, la madre stesa sul divano e il più piccolo dei due figli appeso al soffitto. Nessuno sa cosa successe veramente quella notte ma una cosa fu certa: del duca neanche traccia. Nessuno però si stupì più di tanto dato il fatto che la famiglia, recentemente, aveva avvertito strane presenze come mobili che si spostano, oggetti che scompaiono e ricompaiono all’improvviso nei posti più insensati e il solito vento caldo che spostava le tende anche a finestre chiuse. La famiglia insomma aveva affermato che la casa era infestata da spiriti malvagi….
Era una fredda mattina di fine ottobre, l’aria era pesante e un leggero venticello pungeva il viso. Avevo sentito tutte le storie su quell’orribile casa ed ero decisa a scoprire cosa si nascondeva là dentro. Era una villetta isolata posta in cima ad una collina, piuttosto diroccata ma ancora visitabile e comunque ci sarei entrata lo stesso anche se il tetto potesse crollare da un momento all’altro. Il muro era scrostato e pieno di edera e in alcuni punti c’erano dei buchi grandi quanto un palmo di mano che la rendevano ancora più inaffidabile agli occhi della gente. I quattro lati della casa erano rivestiti da pietre di diversa grandezza e spessore che, al tramonto, creavano simpatici giochi d’ombra sull’erba verde e dorata tappezzata, qua e là, da un po’di ghiaia bianca e diverse piccole macerie che la casa doveva aver perso con gli anni. Accanto aveva una piccola pianta di uva rossa che si era arrampicata mezza su capanno di legno a cui mancava una parete e dove dentro, una volta, tenevano gli attrezzi da giardinaggio. Infatti all’interno c’erano ancora un vecchio tagliaerba con diversi fili che spuntavano dal manico e si erano ricoperti di polvere e, su un tavolo di legno forato dalle tarme, c’era un antico macete arrugginito che aveva perso ormai tutto il pezzo di lama affilato e, dato che il manico era mezzo rotto, assomigliava di più a un boomerang di ferro. Al lato destro della piccola vigna cresciuta senza riguardi c’era un pozzo fatto di rocce e cemento che aveva sopra un piccolo archetto in ferro battuto avvolto dall’edera secca. Sporgendosi non si riusciva a vedere il fondo infatti si scorgeva soltanto una massa melmosa sotto quelli che sembravano cinque metri d’acqua stagnante. Accanto scorreva un piccolo ruscello proveniente dalla montagna che portava acqua gelida ad un minuscolo laghetto dove sguazzavano piccoli pesci rosso rubino e giallo ocra anche se erano tutti ricoperti di sporcizia e inquinati. Una mal ridotta staccionata di legno con diverse assi mancanti e di un colore marroncino chiaro scolorito dal tempo e dalle intemperie, circondava il tutto rendendo il posto, se possibile, ancora più malandato. Dietro la casa c’era un giardino dall’erba mal curata e un enorme quercia secolare con foglie gialle e quasi spoglia. La sua corteccia era ruvida e in alcuni punti scavata dal tempo. Doveva essere lì da molto più tempo della casa perché era alta più o meno quattro metri e con lunghi rami grossi e pesanti. Una piccola stradina di sassi portava ad una poco rassicurante porta con i vetri rotti. La tintura viola era scolorita e al suo posto era comparso il legno forato; << non entrare>> diceva una vocina maligna i un sussurro come per mettermi paura, << sei arrivata fin qui, che senso ha tornare indietro? Entra!>> questa voce era più calda e rassicurante e così raccolsi tutto il coraggio che avevo in corpo, girai la vecchia maniglia di ferro arrugginito e, con un cigolio inquietante, entrai.
Davanti a me c’era un piccolo corridoio fatto di tavole di legno. Esse erano di un marrone terra sbiadito e corrose dalle tarme e dal tempo, umide e rotte. Davanti a me c’era una scala a chiocciola con il porta mano in ferro scolorito dalla sua tintura bianca originale. Un vecchio tappeto logoro e sporco le saliva tutte accompagnato dai suoi buchi. Al centro, proprio sopra di me, i resti di un vecchio lampadario fatto a fiore con diverse striscioline di diamanti che pendevano sul punto di staccarsi completamente. Dietro la scala a chiocciola c’era una porta bianca con diverse macchie ed una maniglia arrugginita che un tempo era tinta d’oro. Decisi di iniziare dal piano terra e così aprì quella porta. Era una vecchio bagno. Il wc era rotto e scheggiato ma un tempo doveva essere di una ceramica costosa. C’era un antico lavello di marmo bianco, sporco ma ancora intero. I pomelli erano ricoperti di polvere e arrugginiti tanto che non si potevano più muovere. Sul pavimento c’erano diverse piastrelle rotte e di alcune non ce n’era proprio traccia in modo da mettere il suolo terroso in bella vista. Una piccola doccia era davanti al wc ma i vetri che la contenevano erano andati in frantumi e mancavano diverse mensole porta-sapone. Richiusi la porta e decisi di oltrepassare l’arco accanto al lampadario. Mi ritrovai in salotto. Era una stanza grande ed abbastanza accogliente. I muri erano di un colore giallo acceso ma scolorito e diverse lampade ad olio erano poste su dei tavolini di legno rotondi e corrosi posti ai lati di un bel divano arancione con della gommapiuma che spuntava dai braccioli e dei buchi nell’involucro ruvido. Davanti c’era una camino ben lavorato di pietre scure che spiccava per il suo comignolo a punta fatto di pietre arancioni. Era però scalfito, rotto e coperto da un centimetro di polvere (come tutto in quella casa) che lo rendeva inquietante e isolato. Al centro, sopra un bel pavimento fatto di tavole di legno logore e sudice, si trovava un tappeto azzurro pieno di buchi e con i disegni dorati scoloriti dal tempo. Dal soffitto pendeva un enorme lampadario di cristallo a forma rotonda. Le lampadine erano rotte ma la maggior parte era caduta a terra formando piccoli pezzi di vetro taglienti che riflettevano la luce del sole. Passando per una vecchia porta di cui era rimasto solo qualche pezzo di legno qua e là, c’era la cucina. I fornelli erano rotti e minuscoli pezzi di ferro arrugginito erano davanti. Doveva aver preso fuoco perché l’interno era nero e pieno di fuliggine e diverse pentole erano state cappottate sopra anche queste completamente nere. Il tavolo era bucato dalle tarme e al centro della cucina. I gambi erano lavorati finemente anche se adesso ne mancava uno che era sdraiato sul vecchio pavimento freddo e umido di marmo nero. Sopra un vecchio lavandino rotto senza un pomello d’argento c’era una credenza per i piatti, anche se dentro era rimasto solo un bicchiere di vetro sporco e macchiato. Accanto si trovava un cofanetto bianco e rotto il cui sportello si muoveva ritmicamente. Un momento: lo sportello si muoveva! Tornai a guardarlo e questo si fermò di colpo. Poi iniziò ad accendersi e spengersi una lampada ad olio vicino ad un vecchi mobile di legno di noce che già traballava. D’un tratto ogni cosa si fermò e iniziò a fare freddo, il freddo aumentava. La brina si stava posando sul vecchio frigorifero rotto. Poi un fischio assordante riempì la stanza e a questo punto volevo solo scappare. Iniziai a correre versò la scala a chiocciola e dalla fretta di salirla inciampai in due gradini rotti finendo con una gamba incastrata mentre con una mano mi reggevo al tappeto. Arrivata in cima il fischio cessò. Che cosa poteva essere stato? Una cosa era certa: quella casa non era normale. Prima finivo di ispezionarla meglio era!
mi trovavo in un lungo corridoio con il soffitto arrotondato e pieno di disegni che raffiguravano angeli nel cielo coperti di nastri e fiocchi ma era anche tappezzato di porte. Davanti ad ognuna c’era una lastra di legno più chiara di quelle con cui era ricoperto il pavimento che serviva forse come piccolo scalino. Entrai nella prima: era una camera con il letto a baldacchino. Le lenzuola erano di un color violetta chiaro che stonava alquanto con il muro giallo canarino. I cuscini erano sparsi sul vecchio pavimento bucato e i pezzi di vetro del bellissimo lampadario e delle lanterne riflettevano la luce del sole che passava dalla finestra e che si stava affievolendo sempre di più. dovevo fare in fretta era già inquietante stare lì di giorno, figuriamoci di notte. Guardai per l’ultima voltai magnifici comodini di legno di quercia a cui mancavano diversi gambi e mi chiusi la porta alle spalle. Passai alla seconda stanza: era più piccola e il letto a una piazza aveva le coperte azzurrine e i muri blu notte, il tutto, naturalmente, rotto e sporco. Diverse mensole erano piene di macchinine rotte e bambole aperte a metà. Un piccolo comodino regnava sovrano accanto al letto e sopra c’era un lampada bianca. Le finestre erano assenti come i cuscini e, su una scrivania vecchia e logora, c’era un mappamondo con accanto diverse penne senza inchiostro. Un vecchio lampadario giaceva a terra con tutte le perline sparse per la stanza. Lasciai quella stanza e mi diressi verso la terza e ultima porta. Dentro c’era un box con le coperte giallo ocra e i muri tinti di un azzurro confetto davano l’idea che quella fosse una stanza per bambini. Alla destra del letto si trovava un vecchio cavallino di legno e una confezione di caramelle di cui era rimasta solo la carta. Una piccola lanterna penzolava dal soffitto e sembrava sul punto di cadere da un momento all’altro. Una minuscola finestra rifletteva la luce del tramonto dal cima della stanza quadrata. Decisi che la gita in quella casa infestata era finita ma quando feci per uscire si udì un botto secco e tra tantissimo polverume mi trovai davanti una logora scala ridotta proprio male! Aveva quasi tutti i gradini mancanti e, ad ogni passo, produceva un inquietante cigolio come se dovesse schiantarsi da un momento all’altro. Decisi di salirla e mi resi conto che portava ad una soffitta segreta. Dentro c’era di tutto: una vecchia bici senza manubrio, cuscini polverosi, mensole porta-sapone rotte e tantissimi scatoloni impolverati. La luce filtrava da una piccola finestrella in cima al soffitto e bisognava abbassarsi per poter camminare. Poi vidi dei mattoni rialzati come se fossero stati messia a coprire qualcosa e, con un martello dal manico di ferro, cominciai a sfondarli. Penso sia stata la cosa più orrenda che abbia visto in vita mia: un grande scheletro dalle ossa rotte e ingiallite vestito con una cravatta rotta e una giacca blu come i pantaloni tutto pieno di buchi, logoro e sudicio. Non avevo la forza di urlare, ero troppo spaventata. Poi le vidi: quattro ombre che avanzavano verso di me, un uomo, una donna e due bambini uno dei quali era mezzo incenerito. L’uomo parlo con voce possente << non saresti dovuta venire qui, ora scappa finché sei in tempo e non raccontare a nessuno di questa casa e degli spiriti che la infestano>>. Non me lo feci ripetere due volte: iniziai a correre, scesi la scala mentre un fischio assordante riempiva la casa e tutto intorno a me iniziò a muoversi: le porte sbattevano, i lampadari traballavano ma non avevo tempo per stare a guardare. Scesi la seconda scala a chiocciola, oltrepassai il laghetto, il pozzo, la vite e la vecchia staccionata. Poi, ormai lontana da tutto ciò, una voce mi entrò negli orecchi: << tu devi sapere, sapere la vera storia. Il conte assassinò sua moglie e i suoi figli e poi si uccise da solo. Nascose da morto il suo corpo in soffitta e ora vive e vivrà per sempre con la sua famiglia. Ora sai ma non dire a nessuno ciò che hai visto…>>. La voce scomparve com’era arrivata. Tornai a casa e cercai di dimenticare tutto ma io, solo io sapevo la verità e nessuno avrebbe potuto dire che io fossi pazza perché io avevo visto, io avevo sentito.
La chiamavano la casa dei misteri e, alla luce dei nuovi fatti, era abitata da molti, lunghissimi anni!