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La donna leone di Fosnes Hansen

Eva è nata in un piccolo villaggio norvegese. La madre muore di parto e il padre rimane terrorizzato alla vista della neonata: capelli biondo chiaro la ricoprono come una custodia morbida e le danno l’apparenza di un cucciolo di leone. Eva soffre di una rara sindrome: ipertricosi lanuginosa congenita, o irsutismo. Il padre, capostazione del paese, non riesce ad accettarla e la bambina cresce chiusa in casa, in una solitudine popolata di libri. Ma Eva rifiuta l’isolamento imposto e convince il padre a farle frequentare la scuola del villaggio. Gli altri bambini però vedono in lei solo una freak, e prendono le distanze; la Chiesa la fa sentire in colpa; i passanti la additano, i vicini la scherniscono e un uomo di spettacolo la vuole nel suo circo. Solo la scienza si interessa a lei, ma come una curiosità che deve essere messa in mostra e che umilia crudelmente la sua dignità. Nonostante tutti questi tormenti, la ragazza cresce incredibilmente forte. Prima con timidezza e poi sempre più sicura di sé, dimostra una grande voglia di vivere. Anche se è “strana”, tutto è “normale” in lei: pensa e sente come le altre ragazze, con in più una gran forza di volontà che le permetterà di farsi strada nel mondo.

LA CASA DEI MISTERI di Adriana Lirathni (racconti dei corsi on line)

LA CASA DEI MISTERI di Adriana Lirathni

Corso bambini – Primo Livello

Eravamo andati in gita scolastica due settimane in Francia, a Parigi, accompagnati da quattro professoresse.

Durante il soggiorno a Parigi, le accompagnatrici ci avevano chiesto quale posto volevamo visitare per cinque giorni e ci proposero vari luoghi: una stramaggioranza, me compresa, votò per Mont-Saint Michel. Così, due giorni dopo il nostro arrivo a Parigi, ci accalcammo di nuovo in un treno piccolo, sporco e puzzolente!

Il treno arrivò a destinazione verso l’una e dopo aver mangiato a sazietà io, Elena, Nicholas ed un altro ragazzo di nome Nicholas soprannominato Rosa di Vento, ci divertimmo un mondo tra schizzi, nuotate e corse sulla spiaggia.

Verso le sei l’aria incominciò a farsi più fredda e la nebbia si faceva via, via più fitta, allora le professoresse ci imposero di vestirci ed asciugarci in fretta, per poi inoltrarci nel cuore della città ed entrare nella hall dell’albergo.

Lì, ci comunicarono che quattro di noi sarebbero dovuti andare a dormire a Mont-Saint Michel accompagnati da due docenti, perché nell’albergo non c’erano più posti: nessuno ci voleva andare, insomma ,quel posto incuteva un certo terrore, poi a quell’ora e con la nebbia…

Alla fine però, Nicholas e Rosa di Vento alzarono la mano, subito dopo si aggiunse la mano di Elena, e, come una reazione a catena, senza che io volessi, si era alzata anche la mia…(in fondo la cosa non mi dispiaceva:noi quattro avevamo passato tutto il pomeriggio a giocare ed eravamo stati bene insieme).

Aspettammo l’alta marea fino alle 19.00; quando arrivò, una barchetta ci venne a prendere, ai remi c’era un vecchietto magro, piuttosto alto, con degli occhialini calcati sul naso e i capelli ricciolini e bianchi; vi salimmo e dopo una mezz’oretta arrivammo a Mont- Saint Michel.

Il vecchietto ci fece da guida tra strette stradine fino ad un’ enorme dimora, poi accompagnò i due docenti per altre stradine, mentre una cameriera aprì la porta della grande casa e ci condusse nelle nostre stanze, che erano linde e pulite, ma incredibilmente tristi, proprio come la villa.

Io ed Elena dormivamo nella stessa stanza, su di un letto a castello e avevamo il bagno in comune, lo stesso era per i maschi, ci facemmo una doccia ed indossammo i pigiami, i calzini e le pantofole, ci lavammo i denti e raccogliemmo i nostri capelli, io in una lunga treccia ed Elena in due simpatici codini.

Ci mettemmo a letto, ma visto che non riuscivamo a prendere sonno, sistemammo le nostre cose e ci sedemmo su alcune sedie: guardandoci negli occhi capimmo che tutte e due avevamo una fame da lupi ed eravamo più sveglie di un gufo di notte, così indossammo le felpe, prendemmo le pile elettriche e uscimmo dalla stanza.

Dalla parte opposta del corridoio c’era la camera dei maschi, bussammo…nessuno ci rispose, che strano! Provammo ad aprire la porta, era aperta, entrammo: la stanza era ancora perfettamente in ordine, probabilmente anche loro non avevano neanche una merendina ed erano andati a cercare la cucina.

Scendemmo le tortuose scale, appiccicate una all’altra dalla paura, aprimmo una porta e un fascio di luce illuminò una stanza stranissima che non era di sicuro la cucina, ma fu un attimo, perché fummo inghiottite da un vortice infinito che ci separò. Io iniziai a gridare, ero disperata: dove ero finita? Ed Elena? Dove era? Quando avevo ormai la gola secca, iniziai a piangere: era un pianto sommesso, che però scoppiò in una cascata di lacrime che racchiudevano la mia tristezza, il mio disorientamento, la mia paura, ma più di tutto quell’incredibile senso di impotenza che mi rodeva pian piano…dopo un po’, quel pianto si spense in un dolce sonno ristoratore…

Sentii che qualcuno mi scuoteva, aprii gli occhi, era Elena!!!Non potevo crederci, ci abbracciammo e le nostre calde lacrime di gioia  ci rincuorarono.

Dopo qualche minuto passato una tra le braccia dell’altra, scendemmo dal letto e aprimmo la finestra; l’aria frizzante ci svegliò di colpo, andammo a lavarci e mentre stavo uscendo dal bagno inciampai nella torcia di Elena, nel raccoglierla sentii che era ancora un po’ tiepida.

Fui distolta dai miei pensieri da un toc-toc…aprimmo la porta e vedemmo Nicholas e Rosa di Vento, pettinati e vestiti, ma con una faccia a dir poco sconvolta…

“Buon giorno!Scusate, ma dove eravate ieri sera?”chiese Elena.

“Volevamo cercare la cucina, ma ci siamo persi e…” risposero loro.

“… e siete finiti dentro un vortice nero che vi ha divisi e stamattina vi siete ritrovati nelle vostre camere”continuò Elena.

“Evidentemente qualcuno ci ha portato qui e da poco, ma chi?” conclusi io.

Ci guardammo a lungo, finché concludemmo che dovevamo assolutamente indagare; tanto lì, non avevamo niente da fare, infatti una professoressa, la sera prima, ci aveva mandato un messaggio sul cellulare dicendo che gli altri compagni ci avrebbero raggiunto due giorni dopo a causa di un contrattempo.

“Andiamo in cucina a mangiare qualcosa!”disse Nicholas.

“C’e un problema però…e se ci perdiamo ancora?”chiese Elena.

“Vuol dire che aspetteremo che qualcuno ci venga a chiamare!”aggiunsi io.

“Ma io sto morendo di fame…! Mi fa male la pancia!”brontolò Rosa di Vento.

“Anche noi, però questa è l’unica soluzione!”risposero Elena e Nicholas

“No, non è l’unica che abbiamo: potremmo legare insieme le nostre lenzuola e calarci dalla finestra.”affermai.

“E poi cosa facciamo? Scappiamo a gambe levate?” mi schernì Nicholas.

“No!Bussiamo al portone!”precisò Elena.

Erano tutti d’accordo, così preparammo la corda, ma dovemmo anche aggiungere le coperte, perché  era troppo corta;ci calammo facendo molta attenzione a non fare alcun rumore, guardammo verso il mare e scoprimmo che doveva essere solo l’alba, non ci perdemmo d’animo e bussammo al portone. Toc-toc…toc-toc…toc-toc…!Finalmente la grande porta si aprì e il vecchietto, strabuzzò gli occhi “Ma voi non dovevate essere in camera a dormire?”gracchiò.

“Ci siamo svegliati e avevamo tanta fame visto che ieri sera non avevamo cenato però..”disse Rosa di Vento.

“E non potevate andare in cucina?”chiese sorpreso il vecchietto.

“E se fossimo entrati ancora in un vor…ahia!” azzardò Nicholas.

“Ma di che vor stai parlando?” riprese il nonnetto.

“ Di un vortice! Ehi, ahia, la piantate di pestarmi i piedi?”esclamò Nicholas, fulminandoci con lo sguardo.

“Lo scusi, si è bevuto il cervello, e poi sogna cose strane la notte…”aggiunsi io.

“Allora possiamo entrare?” concluse Elena spazientita.

“Certo!Ma che domande fate…” rispose seccamente l’anziano signore.

“Dov’è la cucina?” chiese giustamente Rosa di Vento.

“Da quella parte!”indicò il vecchio.

“Ragazzi, dobbiamo fare in modo di seguire il signore”sussurrai io.

“ Mi sacrifico io, la tirerò un po’ lunga, ma voi spicciatevi!” disse Elena.

“Ok”…

Arrivati in cucina, preparammo quattro fagotti e ritornammo in camera dove  infilammo i  fagotti in quattro zaini, prendemmo una torcia ciascuno e Rosa di Vento un coltellino svizzero. Ci precipitammo giù dalle scale, dove poco prima c’erano Elena ed il vecchietto che parlottavano, non c’era più nessuno! Rimanemmo con il fiato sospeso e feci segno agli altri di stare zitti. A quel punto sentimmo alcune voci sommesse, le seguimmo e arrivammo nella sala da pranzo. Nicholas entrò, mentre io e Rosa di Vento lo seguimmo imprecando, non avevamo la minima idea di che cosa avesse in mente.

“ Direi che possiamo andare!” disse rivolto ad Elena.

Lei lo guardò con un’aria da “stai rovinando tutto”, poi Nicholas si rivolse al vecchio signore dicendo: “ Se le nostre professoresse venissero a bussare chiedendo dove siamo, lei dica loro che siamo andati a fare un giro per Mont-Saint Michel, d’accordo?”

“Va bene”rispose il vecchietto.

“Sei geniale” esordimmo noi, poi porgemmo lo zaino ad Elena, sgranocchiammo qualcosa ed il nostro inseguimento incominciò.

Seguendolo di nascosto, ci inoltrammo nel salotto, nel bagno, nella sala da pranzo, nella cucina e poi, con nostra grande sorpresa, il nonnetto salì le scale che portavano al piano superiore, lo superammo di corsa dicendo “Ci siamo dimenticati la cartina in stanza” e dalla porta uno ammassato contro l’altro lo spiammo.

Il vecchietto si guardò intorno con aria circospetta, poi estrasse una piccola chiave da una tasca della sua giacca e toccò il pulsante della luce. Non vedemmo più niente perché ci dava la schiena,  dopo un po’ scese le scale e noi notammo che non erano simili a quelle che avevamo visto per tutta la mattina, esse erano di marmo bianco e lucidissimo, non più in legno. Dovevamo sbrigarci, altrimenti lo avremmo perso di vista . Ci dirigemmo verso il pulsante della luce e tastandolo ci rendemmo conto di un piccolo rilievo grazie al quale riuscimmo ad alzare il pulsante, e sotto scovammo una mini serratura, ma non avevamo la chiave.

”Come facciamo?”chiese Nicholas.

“Io ho una forcina!”disse Elena.

“Passamela, ce la dovrei fare!”disse in modo sbrigativo Rosa di Vento.

Era proprio bravo ed in pochi secondi sentimmo un –Tac!- , una pietra del muro avanzò leggermente, la pigiammo ed una leva uscì dal muro, la tirammo e le scale cambiarono forma.

”Incredibile!”esclamammo in coro.

Ci prendemmo per mano e scendemmo con estrema prudenza le scale, il pavimento ritornò bruscamente di legno come se non ci fosse stato più marmo a disposizione, il legno era così vecchio che scricchiolava spaventosamente ad ogni passo;ci trovavamo in una sala completamente vuota, il pavimento sembrava grigio tanta era la polvere che lo ricopriva,  appesa al soffitto c’era solo una minuscola lampadina che, con una luce fioca, lasciava l’intera sala in una penombra inquietante… davanti a noi c’erano tre corridoi abbastanza lunghi: quale dovevamo prendere per ritrovare il vecchio?

Restammo in ascolto per lunghi minuti che ci sembrarono interminabili, fin quando un tonfo sonoro ci fece letteralmente saltare in aria; proveniva dal corridoio davanti a noi, procedemmo a passo piuttosto spedito verso il rumore, stando attenti a non far scricchiolare troppo il pavimento, entrammo di soppiatto in una stanza abbastanza ampia, era piena di cataste di libri, colonne di libri messi di traverso, scaffali stracolmi di libri e mucchi giganteschi di libri polverosi a terra, molto probabilmente pilastri di libri caduti e mai più raccolti.

Ci dovemmo nascondere subito dietro ad uno scaffale, infatti il signore era seduto ad una scrivania intento a scrivere qualcosa…aspettammo a lungo, finché ad un certo punto si alzò dalla sedia ed uscì dalla stanza; allora ci precipitammo sulla scrivania e sfogliammo le cartacce alla ricerca di un indizio.

Nicholas disse: “Ho trovato qualcosa!”.

Andammo tutti a guardare, era un foglio di giornale strappato e appuntato su una bacheca polverosa con la dicitura:

Ricercato Molvo Cornelio

Sotto la foto di un signore piuttosto giovane che però assomigliava a qualcuno che avevamo già visto, ma chi?

Di colpo Elena esclamò: “Ma è il proprietario di questa casa!”.

“E’ vero, è il vecchietto!”, disse Rosa di Vento.

“Ma perché è ricercato?”, chiesi.

“Qui dice che è ricercato per contrabbando di animali”, rispose Nicholas.

“Dobbiamo cercare di scoprire qualcosa di più…” , aggiunse Elena “cerchiamo tra i libri..”.

Dopo ore di ricerca trovammo finalmente degli appunti dentro ad un grande libro impolverato che parlava di trasformazioni di animali normali in animali feroci e devoti solo al padrone, negli appunti invece c’era scritto : prove da effettuare.

“Ma è spaventoso, a cosa gli serviranno tutte queste bestie feroci?”si chiese Elena.

“Io forse lo so”dissi “le vuole gettare in combattimenti clandestini tra di loro in nome di Michel, non so dirvi altro, perché su questo foglietto c’era scritto solo ciò…”

“Guardate questo libro!” continuò Rosa di Vento “ è intitolato il vecchio mondo di KINKUA, dice che KINKUA è un mondo piuttosto piccolo,  sprofondato sotto il mare cento anni fa, il cui monte più alto era chiamato Mont-Saint Michel!”

“Wow, vuol dire che Mont-Saint Michel è solo un monte di un mondo intero!”esclamai.

“Già, e penso che Michel sul foglietto che hai trovato venga inteso come Mont-Saint Michel…”precisò Nicholas.

“Penso sia così, ma quando lo vuole fare e perché?”chiesi.

“Il perché bisogna chiederlo a lui!”rispose ironicamente Rosa di Vento.

“E il quando?”ripetei.

“L’ho scoperto io,dietro l’articolo di giornale c’è scritto: il 23 luglio avrò la mia vendetta!”disse Elena.

“Ma è tra poche ore! Infatti abbiamo cercato indizi per tutto il giorno e adesso è quasi mezzanotte!”constatò Rosa di Vento.

“Dobbiamo fare una sola cosa! Trovare gli animali e liberarli prima che vengano fatti diventare feroci!”concluse Nicholas.

“Forza andiamo”, esordii.

Fu così che uscimmo di corsa dalla stanza, ci ritrovammo ancora nella sala di partenza, ci mettemmo in ascolto e sentimmo dei lievi grugniti provenire dal corridoio alla nostra destra,così lo imboccammo; in fondo  c’era una porta, la aprimmo, all’interno della stanza c’erano molte gabbie con un sacco di animali di specie diverse, ma erano un tantino diversi dai nostri.

Il signore però era già lì…ci guardò stupefatto:”Cosa ci fate voi qui?”.

“Perché lo vuole fare? Non è giusto!”chiese Elena.

“Questi animali mi hanno cacciato da KINKUA, perché loro erano metà dei membri del consiglio di KINKUA, che avrebbero eletto il sovrano, e decisero che, non solo non potevo diventare il sovrano, ma ero anche troppo cattivo  per restare in quel mondo!”.

“E chi è Michel?”domandò Nicholas.

“Mi chiamavo così quando ero ancora un KINKUARIANO! e ora lasciatemi fare il mio lavoro… penserò dopo a come inserirvi nei combattimenti!”.

“Lei non farà proprio un bel niente” disse Rosa di Vento.

Aprì di colpo il suo coltellino svizzero, lanciandolo verso il vecchietto, lo colpì in pieno petto, il nonnetto cacciò un urlo spaventoso e si dissolse nel nulla…

“Era rimasta solo la sua anima, il suo corpo non c’era più…” a parlare era stato un animale e ben presto scoprimmo che erano animali parlanti di KINKUA e che il vortice dove eravamo entrati era il passaggio magico tra KINKUA e il suo monte emerso.

Liberammo tutti gli animali che una volta arrivati al vortice ci salutarono e ci regalarono un minuscolo anello, in modo che ci potessimo sempre ricordare di loro.

Ci chiesero poi di distruggere la serratura che portava alle stanze sotterranee contenenti il passaggio tra KINKUA e il suo monte emerso.

Li salutammo e salimmo le scale fino alle nostre camere, una volta nel corridoio  distruggemmo il tasto della luce e quando ciò accadde, la casa svanì nel nulla.

Ci ritrovammo ancora nella hall dell’albergo, in mezzo a tutti i nostri compagni.

Ognuno di noi quattro trovò nelle tasche un biglietto che diceva: “Grazie per avere ricambiato il favore!”.

“Ma allora è stato uno di loro a riportarci nelle nostre stanze” esclamò Elena.

“Bene, il mistero allora è svelato!”disse Nicholas.

Scoprimmo così l’intrigo e capimmo che eravamo riusciti a distruggere la pazzia del signore e con essa era sparita anche la sua villa, fonte della sua follia e il nostro incredibile viaggio non si sarebbe più potuto ripetere.

Il fuoco degli elfi di Monika Felten

Oscurità e oppressione regnano nel paese di Thale da quando la Dea Clemente è stata scacciata e gli elfi e i druidi sono stati sterminati. Ma prima di morire, l’ultimo druido supremo ha profetizzato l’avvento di un liberatore che avrebbe sconfitto le forze delle tenebre e riportato pace e libertà nel paese devastato. Molti anni più tardi, in una notte buia, una donna del popolo dà alla luce una figlia: Sunnivah, destinata a un grande compito. Ma la bambina è ancora inerme e deve essere nascosta con tutti i mezzi ai soldati e alle creature del Dominatore Oscuro. Verrà però il giorno in cui la fanciulla si presenterà da guerriera dinanzi alla fortezza dell’Invincibile e lo sfiderà con l’aiuto dei suoi compagni nell’ultima battaglia…

IL CORAGGIO DI LENA di Daniela Bellandi (i racconti dei corsi on line)

IL CORAGGIO DI LENA di Daniela Bellandi

Corso Adulti – Secondo Livello

Davanti allo specchio Lena si stava preparando per l’ennesima missione. Aveva appena diciannove anni ma era già uno dei guerrieri più esperti e letali della Milizia Segreta istituita dal Capo dello Stato di Cohan..

La fase della preparazione, prima di eseguire gli ordini, era quella che preferiva. Davanti alla sua immagine riflessa osservava ogni minimo cambiamento e in silenzio rifletteva sulla sua anima, sul suo ruolo in quella che, a volte, non le sembrava davvero la sua vita.

Prima di legare i suoi lunghi capelli in uno chignon e prima di coprirli con il copricapo d’ordinanza, che lasciava scoperti solo gli occhi, li spazzolava accuratamente. Erano rossi, mossi e cascavano morbidi sulle sue spalle. Profumavano sempre di vaniglia grazie alla lozione che le aveva amorevolmente preparato Rania, la sua migliore amica, oltre che la migliore erborista di Cohan.

Lena e Rania si conoscevano dall’età di tre anni, quando Lena aveva fatto la sua prima apparizione al Palazzo Supremo, dimora del Capo dello Stato.

Un ufficiale della Milizia Segreta l’aveva trovata in strada tutta coperta di sangue, agonizzante vicino ai corpi senza vita dei genitori, trucidati dai ribelli oppositori del governo. L’inizio della sua vita da soldato. L’ufficiale che l’aveva portata a Palazzo si prese la completa responsabilità di quella piccola bambina, coetanea della figlia Rania e le insegnò l’arte del combattimento, che le permise di diventare un membro effettivo di quell’esercito segreto. Quando non si esercitava passava tutto il suo tempo libero con Rania. Con lei si sentiva in famiglia, era come una sorella e solo insieme a lei il terribile dolore per la perdita dei suoi genitori si alleviava.

Infilò il copricapo e tirò un forte sospiro, avere la bocca tappata la rendeva agitata. Le prime volte che dovette portarlo ebbe delle vere e proprie crisi di panico. Ogni volta, viva nella sua memoria, la mano dell’aguzzino dei propri genitori che le impediva di urlare.

Si morsicò le labbra carnose e sentì il gusto del rossetto alla ciliegia che le aveva prestato Rania. Era inutile, ovviamente, in battaglia ma Lena amava sottolineare la sua femminilità in ogni momento, bastava un piccolo particolare, proprio come  il rossetto, per farla stare bene con se stessa e con il suo essere donna.

Nello specchio i suoi stanchi occhi castani. Le sopracciglia lunghe risaltavano due occhioni grandi, adesso cerchiati da occhiaie e da piccole rughe d’espressione. Sicuramente ciò dipendeva dal dormire soltanto un paio di ore a notte. Non ricordava di aver mai dormito più di quelle due, al massimo tre ore. Ormai utilizzava le sue notti insonni per dedicarsi ad una delle sue più grandi passioni: scrivere poesie.

Non canti di guerra o descrizioni strazianti di dolore, ma bensì poesie d’amore. Quell’amore che tanto cercava e da cui tanto scappava.

Parecchi uomini la trovavano attraente, era facile perdere la testa per quella giovane donna dalle gambe lunghissime e dal seno prosperoso, ma era difficilissimo scalfire quel carattere glaciale e riservato.

Davanti alle persone era una statua granitica che non sorrideva mai. Seria, severa, quasi fosse costantemente in missione. Essendo il suo vero impiego segreto lei doveva presentarsi come segretaria ufficiale, colei che trascriveva e traduceva le missive degli alti stati. Un lavoro solitario  che sposava a meraviglia il suo essere così schiva.

Solo con Rania, o nel silenzio della sua stanza, tra le sue pergamene era davvero se stessa. Dolce, sensibile e con un cuore enorme. Spesso si ritrovava a fantasticare su una famiglia tutta sua con dei bambini e con un marito che l’amasse alla follia.

Il suo sogno più grande era quello di insegnare, amava la letteratura e la filosofia e le sarebbe davvero piaciuto avere la possibilità  trasmettere tutto questo suo amore a qualcun altro.

Ma sapeva di essere nata per combattere, era stata cresciuta in questo modo e non avrebbe  mai deluso chi l’aveva addestrata e ancor prima salvata, il suo Maestro era tutto per lei.

Imbracciò la spada e, ammirandola nello specchio, la pulì accuratamente. L’impugnatura non presentava lo stemma di stato come le spade dell’esercito ufficiale, ma inciso un serpente con le fauci spalancate si intrecciava per tutta l’elsa.

La lama affilata presentava piccole schegge di diamanti in modo da renderla ancora più resistente e splendente.

Impugnando con tutta la sua forza pronunciò una nenia sconosciuta e la lama diventò completamente infuocata. Era l’unica magia che sapeva e che le era permesso di utilizzare. La magia era bandita nello stato di Cohan ed era proprio il suo compito di guerriera quello di reprimere le insurrezioni frequenti dei ribelli che chiedevano il libero uso della magia.

La magia aveva ucciso i suoi genitori e per poco anche lei non moriva. Lo Stato doveva reprimerla in tutti i modi e lei avrebbe lottato con tutte le sue forze per impedire a quei ribelli di liberare le arti magiche.

Era cresciuta con questa idea, le avevano insegnato così, lei era l’esempio vivente di quali tragedie la magia poteva portare, ma perché un dubbio perenne e subdolo si insinuava ogni giorno dentro di lei?

Portando la spada alla sua forma originaria, fu pronta per affrontare la missione che, questa volta, consisteva nel reclutare e addestrare Guerrieri di primo livello presso il campo estivo della Milizia. In quel momento Lena non poteva immaginare che proprio lì il suo destino avrebbe preso una svolta inaspettata.

Tra tutte le nuove reclute arrivate al campo la notte precedente, Lena notò subito un affascinante ragazzo di nome Ilor. Era strano per un uomo avere gli occhi viola; a Cohan era molto più usuale vedere una donna con quella caratteristica. Il viola degli occhi di Ilor era così intenso da sembrare a momenti blu cobalto.  I suoi lunghi capelli neri raccolti in una coda che gli cadeva sulla schiena erano luminosi e curati, come il pizzetto sotto il mento rifinito in modo preciso quasi maniacale. Lena ne fu subito affascinata. La prima volta che si erano parlati fu dopo una simulazione di combattimento, Lena non si era risparmiata e come al solito aveva affrontato l’allenamento come fosse un vero duello con la spada. Ilor nonostante l’agilità era piuttosto indietro rispetto agli altri suoi compagni. La ragazza affondò il suo colpo con troppa decisione e colpì alla spalla l’avversario. Era davvero dispiaciuta ma non riusciva e non aveva intenzione di svelare certo i suoi veri sentimenti, così una volta raggiunto in infermeria si limitò soltanto ad ammonirlo severamente: «Dovresti stare più attento! Avrei potuto farti male seriamente. Sei tremendamente lento!».  «Oh non ti devi scusare, figurati. Sei molto carina a venire qui per implorare il mio perdono. Non ti preoccupare…è acqua passata».

La stava letteralmente prendendo in giro. Lena si sentì ribollire il sangue nelle vene. E un insopportabile calore le pervase completamente il viso. Era arrabbiata, avrebbe voluto urlargli di non permettersi mai più di prendersi gioco di lei, ma non riusciva a fare uscire la voce, o almeno non del tutto: «Io non sono qui per scusarmi. Chi ti credi di essere?»  Ilor scoppiò in una fragorosa risata e fingendosi serio le rispose continuando a deriderla: «Si lo so Madame!!» D’impulso Lena gli si scagliò contro, lo prese per il colletto della divisa d’allenamento pronta a colpirlo, ma in quell’istante i loro occhi si incrociarono e lei senti allo stomaco un tuffo, una presa che mai aveva  sentito. Il cuore cominciò a batterle all’impazzata. Ebbe il sospetto che lui avesse percepito questo suo vacillare perché poco prima che lei lasciasse bruscamente la presa le sorrise divertito.

Da quel momento il loro legame si fece sempre più stretto quanto complesso. Trascorsero tantissime ore  insieme: giornate, nottate a combattere e a raccontarsi che l’ideale del loro esercito era quello più giusto, che avrebbero fatto tutto per Cohan. Gli sfoghi, le risate, un rapporto di Superiore/ Subordinato che si era trasformato in un’amicizia che ogni giorno diventava più forte e intima. Il tempo che passavano insieme trascorreva troppo velocemente, tanto che, senza nemmeno accorgersene si stavano preparando per il Giorno del Rapporto, dove tutti i superiori ragguagliavano il Capo Generale sulle matricole e le sfidavano per la verifica generale.

Quella mattina si sentiva elettrizzata e ansiosa, era una giornata importante. Ilor sarebbe diventato membro effettivo della Milizia Segreta, sarebbero stati nella stessa compagnia ed insieme avrebbero affrontato tutte le missioni. Consapevole del fatto che ormai tutti avevano capito che fra loro due c’era più di una semplice simpatia, decise che nella prova generale, quando si sarebbero battuti in duello, sarebbe stata come al solito rigida e determinata.

Vestita di tutto punto uscì dalla sua stanza felice come non lo era mai stata. Ad attenderla come al solito la sua grande amica Rania che, nonostante fosse giorno di festa,era piuttosto cupa in volto.

«Non capisco perché sei così emozionata per una stupida cerimonia di iniziazione» esordì la ragazza seccata.

«Ma che dici? Hai sempre amato questa giornata. Non ti sarai dimenticata le risate a fiumi dell’anno scorso? Eri talmente ubriaca che abbiamo dovuto portarti in braccio fino alla tua stanza e tutto all’insaputa di tuo padre.» l’ammonì scherzosamente Lena.

«Be’ quest’anno ne farei volentieri a meno». rispose Rania guardandola dritto negli occhi con aria di sfida

Lena cominciava a stizzirsi.

«Sai bene quanto è speciale per me questa volta. C’è Ilor!» spiegò decisa Lena.

«Già Ilor, lo conosci a mala pena e già lo veneri come un Dio. Non è da te Lena. Non è da te!»  rispose Rania freddamente.

Lena guardava la ragazza allontanarsi incredula. Era stata ingiusta ma diede colpa di tale comportamento alla gelosia, alla paura che la loro amicizia venisse intaccata, anche se le sembrava davvero molto molto strano. Ora comunque doveva pensare solo al combattimento e a Ilor.

Il loro duello era il decimo della giornata e questo non aiutava certo la calma di Lena che odiava aspettare. Nell’attesa cercava di incrociare lo sguardo del ragazzo ma lui la evitava di proposito.

Mancavano soltanto due duelli quando Rania, strattonandola, la allontanò dalla piazza con decisione.

«Lena non farlo! Lascia perdere tutta questa farsa, sono quindici anni che vivi nel segreto e per questo esercito di spie. Hai dedicato la tua vita per loro, è ora di lasciarli.» esordì Rania senza mezzi termini.

Lena era incredula e divertita visto che non prendeva sul serio certamente quelle parole.

«Ho preparato i cavalli e parlato con le persone giuste ci faranno passare nessuno chiederà niente. Scappa con me e finalmente avrai la tua vita» continuò l’amica.

«Tu sei completamente pazza. Io non abbandono Cohan, il mio Maestro e…» rispose Lena.

«Ilor!» Rania finì la frase per lei e continuò determinata prima di andarsene senza nemmeno guardare in faccia Lena «se questo è ciò che vuoi veramente…. Io non resteró qui a guardare.»

Lena voleva chiederle spiegazioni più approfondite ma era il suo turno e fiera come al solito, seria e professionale brandì la spada pronta  al duello.

Mentre si preparava a sferrare il suo primo attacco notò che intorno a sé i compagni erano in subbuglio, sentiva gli occhi di tutti addosso, l’agitavano ma era brava a riprendere concentrazione e poi davanti a lei i meravigliosi occhi di Ilor.

Ma qualcosa andò storto. Il duello non era andato come previsto, i movimenti di Ilor erano strani, diversi dal solito, dagli ultimi allenamenti, erano lenti. E come al loro primo incontro l’affondo di Lena non venne intercettato dalla spada del ragazzo ma finì dritto nuovamente sulla sua spalla. Lena non poteva crederci. Questa volta corse in infermeria preoccupata. Doveva esserci una spiegazione. Ad aspettarla Ilor sorridente e bellissimo. I capelli sciolti sulla schiena nuda coprivano la fasciatura sulla spalla. Il ragazzo si avvicinò a Lena determinato: «Non posso credere di esserci riuscito». Lena era confusa, aveva sbagliato la prova e si era pure ferito. Cosa poteva renderlo  così felice? Ilor le prese la mano e le chiese di ricordare il loro primo incontro. Quella analoga situazione. Accarezzandole il viso le sussurrò all’orecchio che tutto doveva avvenire come quella prima volta, quando i loro sguardi si erano persi uno in quello dell’altra. Dolcemente cominciò a baciarla. Lena sentì la testa girare, voleva opporre resistenza ma le sue labbra erano così morbide. Chiuse gli occhi e finalmente liberò il suo cuore in quel vortice di emozioni che non aveva mai provato. In un attimo si trovò tra le sue braccia forti completamente in balia di lui. Senza quasi accorgersene erano diventati una cosa sola e anche se per lei era una cosa del tutto nuova le sembrava di essere stata così con lui da sempre. 

Ma quello che sembrava essere il giorno più bello della sua vita si tramutò presto nell’incubo peggiore.

Avvolta nelle braccia di Ilor non si accorse dei passi che velocemente si stavano avvicinando e quando davanti ai suoi occhi si trovò tre dei guerrieri di primo livello del suo esercito, che gli puntavano un coltello minacciosi, rimase attonita e incapace di reagire. Ricordava perfettamente i loro nomi: Matias, Isacc e Rachele. Aveva legato con tutti e tre, specialmente con Rachele. Ovviamente il fatto di essere dello stesso sesso aveva suscitato in Lena una profonda ammirazione e simpatia. Non era facile trovare donne disposte a sacrificare la propria vita per il regno.

Ilor si sciolse subito dall’abbraccio di Lena che, senza accorgersene, inciampò cadendo rovinosamente a terra.

Confusa e dolorante, ancora piegata sul pavimento dell’infermeria, sentì il cuore fermarsi quando i compagni davanti a lei cominciarono a parlare tra loro.

Ilor fu il primo ad aprire bocca :« siete riusciti a rubare la mappa del Palazzo Supremo? Non possiamo andarcene se non l’abbiamo».

Il ragazzo più alto dei tre Isacc rispose seccato « Semmai siamo noi che vogliamo sapere se hai raccolto tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno, visto che di tempo con quella traditrice ne hai perso abbastanza».

Ilor non replicò ma i suoi occhi si illuminarono di rabbia, ma indifferente prese dalle mani di Matias  un rotolo di pergamena che doveva essere la mappa del palazzo. La pianta completa con tutte le stanze segrete, i laboratori, gli spazi nascosti a tutti quelli che non erano della Milizia.

« Smettetela di fare i bambini. Vi ricordo che ci hanno appena scoperto, quel vecchio maestro ci è già alle costole, muoviamoci!». Rachele si intromise in quella piccola disputa cercando di placare gli animi, ma soprattutto cercando di velocizzare la fuga.

Lena nel frattempo era sempre a terra, sapeva che avrebbe dovuto alzarsi e combattere con quelli che, ormai aveva capito, da compagni erano diventati nemici, ma era come bloccata. Era tutto troppo assurdo e poco chiaro.

Matias le si avvicinò e sfiorandola con il coltello chiese ai compagni « Di questa cosa ne facciamo?»

Tutti guardarono immediatamente Ilor.

« Adesso è l’ultimo dei nostri problemi. Scappiamo!» rispose il ragazzo senza pensarci troppo.

« Come vuoi tu capo!»  risposero Matias, Isacc e Rachele all’unisono e senza degnare di uno sguardo Lena presero a correre. Solo Ilor la guardò profondamente negli occhi, ma poi abbassando lo sguardo e scuro in volto raggiunse i suoi compagni.

Fu solo allora che Lena si alzò in piedi. Le lacrime le sgorgarono spontaneamente. Aveva lo sguardo appannato dal pianto ma non le impedì di distinguere il simbolo nei lunghi mantelli che i tre giovani avevano indossato poco prima di fuggire. Era un lupo che azzannava il collo di un cavallo dritto su due zampe. Il simbolo dei ribelli! Improvvisamente tutto le fu molto chiaro. Era stata tradita, Ilor e i suoi amici erano degli infiltrati. Erano riusciti ad avere la pianta della roccaforte dell’esercito, avevano vissuto con loro diversi mesi e quindi osservato e partecipato attivamente alle loro strategie. Tutte le confidenze che lei aveva, anche con difficoltà, rivelato a Ilor ora servivano solamente ad imbastire un piano per annientarli tutti. Per entrare nel cuore pulsante di Cohan e far cadere tutto quello per cui lei aveva sempre lottato.

All’improvviso le parole di Rania, quel desiderio di scappare insieme prendevano completamente senso. L’amica aveva capito tutto e probabilmente anche gli altri suoi compagni e superiori. L’unica che non era stata avvertita era  lei e, ne era convinta, l’unica ragione era il suo rapporto con Ilor. Si vergognava di se stessa, aveva messo tutto in gioco soltanto per uno sconosciuto. Aveva voltato le spalle al suo Maestro e soprattutto alla sua migliore amica.

Era una terribile consapevolezza ma non c’era più tempo per pensare, doveva avvertire i suoi Superiori e inseguire quei traditori e farli a pezzi.

Ma non fece in tempo neanche a cercare la sua spada che si sentì immobilizzare le braccia dietro la schiena. Non aveva ancora visto in faccia chi la stava bloccando che lo riconobbe, quell’odore misto di colonia a sigaro, non poteva che essere il suo Maestro.

«Che cosa hai fatto figlia mia?» incalzò l’uomo dietro di lei.

Non era davvero suo padre ma fin da piccola l’aveva amata come fosse sua figlia realmente e adesso doverla ammanettare era una ferita devastante al cuore.

«Maestro che cosa sta facendo ?» rispose Lena con il suo solito tono educato e pacato.

«Dobbiamo affrettarci e inseguire quei delinquenti!» continuò la ragazza.

« Lena Jane …. Peakee membro ufficiale della Milizia Segreta del regno di Cohan, per ordine del Capo dello Stato Anzio II, ti dichiaro in arresto con l’accusa di alto tradimento!» il Maestro aveva assunto un tono rigido anche se, a pronunciare il cognome di Lena ebbe un tuffo al cuore, visto che era anche il suo. Glielo aveva dato lo stesso giorno in cui l’aveva trovata morente in strada.

«La pena che ti verrà inflitta, come prevede la legge di Cohan, sarà la morte per impiccagione!»continuò addolorato il vecchio.

Lena non poteva crederci, la stavano accusando di un crimine gravissimo. Averli traditi e aver complottato con i nemici di Cohan. I ribelli, gli stessi individui che avevano sterminato la sua famiglia d’origine. Come potevano pensare una cosa simile?

La ragazza cercò di divincolarsi ma una delle guardie, che nel frattempo li avevano raggiunti, senza alcun scrupolo le assestò un pugno nello stomaco che la fece piegare in due. Il Maestro chiuse d’istinto gli occhi e prima di consegnare la ragazza alle guardie, che l’avrebbero fatta sistemare temporaneamente in una cella d’isolamento nei sotterranei del palazzo, le si avvicinò e le sussurrò all’orecchio: « Perché non sei scappata con Rania? Sciocca presuntuosa.»

Una lacrima rigò il viso della ragazza, in quella breve frase c’era la prova che il suo Maestro sapeva che non era una traditrice, ma sapeva che non avrebbe mai potuto agire diversamente.

Senza più cercare di scappare si abbandonò al suo destino e si lasciò portar via dalle guardie. Non ebbe il coraggio di dire nulla al suo Maestro, gli rivolse solo un timido sorriso.

Nonostante la sedia dove era seduta fosse piuttosto comoda le gambe di Lena continuavano a tremare. Davanti a lei il Consiglio di Stato di Cohan al completo. Mancava solo il Capo Supremo, ma era risaputo che era solito delegare e che raramente si presentava in pubblico. E la condanna a morte di una qualunque guerriera non era motivo buono per farlo scomodare.

A sostituirlo il  Vice Tiziano, un giovane uomo sulla quarantina molto alto e con la particolarità di essere completamente pelato con una lunga barba nera che toccava costantemente. La persona più sgradevole e subdola che Lena avesse mai incontrato. Lo vedeva spesso girare a Palazzo, dispensare sorrisi falsi a chiunque incontrasse. A Lena non era mai andato giù. E il sentimento era assolutamente reciproco, tanto che non passò molto che Tiziano glielo fece notare.

«Bene bene, guarda un po’ chi si vede. Non mi sei mai piaciuta ragazza mia ed evidentemente le mie perplessità non erano infondate. Sei una sporca traditrice!!» l’attaccò immediatamente l’uomo.

Lena non rispose alla provocazione.

«La legge di Cohan prevede che prima della condanna ci sia un processo. Noi faremo parte dell’accusa.» continuò il Vice indicando gli altri cinque membri del Consiglio di fianco a lui. Lena non li aveva mai visti ma continuò a non degnarli di attenzione, il suo sguardo  fisso e impenetrabile era su Tiziano.

«Ci sarebbe dovuto essere anche il tuo amato Maestro, ma ha preferito la tortura piuttosto che testimoniare contro di te. Se fosse per me sarebbe già alla gogna, ma fortunatamente per lui il nostro magnanimo Capo di Stato trova una certa simpatia per quel vecchio.» Tiziano sembrava divertito mentre continuava a spiegare a Lena la situazione in cui si trovava.

Dopo un colpo di tosse come per attirare l’attenzione prese i suoi piccoli occhiali rotondi e aprì una lunga pergamena e prese a leggere.

«La questione è ben delineata. Sei mesi fa la qui presente Lena Jane Peakee abusando del suo potere all’interno della Milizia Segreta ai comandi del Capo di Stato Anzio II, aiutò i quattro ribelli Ilor, Matias, Isacc e Rachele a infiltrarsi nel nostro esercito segreto tramite l’addestramento estivo. Li ha sempre messi in ottima luce agli occhi degli altri Superiori e Maestri  fuorviando così  la loro opinione e i possibili dubbi sull’integrità e la fedeltà dei quattro.  Ha intrattenuto rapporti di profonda amicizia con i quattro ribelli, in particolare si sospetta un legame amoroso con il ribelle di nome  Ilor. Più di un testimone ha giurato di averla vista confabulare segretamente, lontana da occhi e orecchie indiscrete con quest’ultimo». Tiziano si interruppe la sua lettura con una risatina nervosa in modo da prendere fiato e continuare.

«In quei frangenti si sospetta che lei abbia rapportato l’infiltrato sulle procedure di sicurezza del Palazzo e sulle abitudini del nostro Capo di Stato in modo da permettere un vero e proprio attacco terroristico!» Il Vice sembrava essere completamente coinvolto da quello che stava esponendo. La sua perfidia era palese agli occhi di tutti.

«Approfittando dell’allestimento dell’Annuale Festa della Milizia, ha aiutato gli infiltrati a raggiungere la Sala del Consiglio per rubare la mappa completa e segreta del Palazzo. Il Consiglio si riserva il dubbio che ad aver eseguito tale operazione sia stata la qui presente Lena Jane Peakee in persona.  Alla luce di tutto ciò il Consiglio delibera che la qui presente Lena Jane Peakee sia condannata per l’accusa di alto tradimento punibile con la pena di morte tramite impiccagione.» Tiziano compiaciuto finita la lettura ripiegò la pergamena e la porse all’uomo alla sua destra.

«Signorina Peakee non ci consideri dei mostri suvvia, c’è un’altra opzione….se lei ci racconta bene bene di cosa parlava con i suoi amici ribelli e ci porta nel loro covo non ci sarà bisogno di applicare alla lettera la legge della Giustizia di Cohan. Dovrà solo abbandonare il paese per sempre ma non prima di be… » l’ennesima risata interruppe il solenne discorso di Tiziano « qualche piccola tortura, diciamo simile a quella che il suo caro Maestro starà subendo adesso.»

Lena non resistette più, con tutte le sue forze spezzò la corda che le legava i piedi e come una furia si scagliò contro Tiziano.

«E che morte sia! Portate in cella quest’animale!» Il Vice visibilmente scosso aveva pronunciato il suo verdetto.

Con la solita dignità, salì le piccole scale che portavano alla corda che le avrebbe stretto la gola dandole la morte. La guardia addetta a stringerle il cappio al collo era visibilmente commossa, si erano visti quasi tutti i giorni e Lena aveva sempre avuto un sorriso per quell’uomo che sapeva avere una moglie e una bellissima bambina che lo aspettavano.

Lo sguardo di Lena era vuoto, fisso sul sole quasi volesse accecarsi e non assistere a quel terribile momento. Ma gli occhi di Rania la distolsero da questo pensiero. La vide in mezzo ai suoi compagni della Milizia. Le bastò incrociare i suoi occhi per capire che lei sapeva che era innocente e che per sempre sarebbe stata l’unica sua vera amica.

Questo pensiero la rincuorò ma l’immagine di Ilor che scappava con gli altri ribelli, lasciandola nella vergogna di un tradimento, era troppo vivida e faceva troppo male. Lena arrivò a pensare che la morte fosse in fin dei conti un sollievo.

Ma poco prima che il cappio stringesse la sua gola inesorabilmente, una voce da lontano urlò qualcosa che per la confusione e la stanchezza Lena non riuscì a capire. Non ci mise molto, però, a capire che si trattava di Ilor. La piazza sembrava nel panico. La voce del ragazzo si levò su tutte. La stava scagionando dai suoi crimini. Si stava addossando completamente la colpa, ammetteva di averla manipolata e soggiogata solo per poter arrivare al suo scopo. E per di più si offriva volontario per l’impiccagione, ovviamente se e quando l’avessero preso.

Il buio più totale le aveva completamente annebbiato la testa, non sapeva cosa pensare. Non le interessava sapere se lo avessero creduto o meno, se l’avessero risparmiata. Ciò che importava veramente era il fatto che Ilor era tornato per lei. Fu un pensiero sciocco e malsano che non poté controllare.

Mentre cercava così di scacciare questo subdolo cruccio in qualsiasi modo, si trovò Ilor a fianco che dolcemente le ricordava, come le aveva promesso, per lei ci sarebbe  sempre stato.

Attonita riuscì solo a deglutire. Ma non ebbe tempo di fermarsi a riflettere che il suo Maestro, visibilmente stanco e ricoperto di lividi, tagliò il cappio e le ordinò di correre a riprendersi la sua dignità. Brandì nuovamente la sua spada e dopo aver abbracciato Rania corse con decisione verso la sua sfida più grande.

Erano passati appena due giorni da quando, attraversando la fitta foresta di Cohan, la Tenebrosa, Lena era partita alla ricerca del covo dei Ribelli, ma ogni ora, ogni minuto di quella che sicuramente era la sua missione più difficile e importante, era interminabile ed estenuante.

Di giorno camminava senza sosta, a malapena si fermava per sfamarsi e dissetarsi. Il pensiero fisso della vendetta la faceva andare avanti, determinata e impassibile.

Ma la notte era il momento più difficile: quando stremata trovava riposo sotto uno degli alberi secolari della foresta, la vendetta faceva posto a pensieri meno ridondanti ma altrettanto intrisi di sentimento. Erano tutti rivolti a Ilor, a ciò che avevano condiviso, a come lui avesse distrutto tutte le sue illusioni.

Addormentarsi era ogni volta più complicato, ma Rania le aveva preparato un intruglio di erbe rilassanti che le dava giusto il tempo di sdraiarsi e chiudere gli occhi prima di farla entrare in un sonno profondo.

Non era prudente visto che i Ribelli potevano sorprenderla da un momento all’altro, ma era l’unico modo che aveva per chiudere gli occhi e tacere quel dolore lancinante.

Dopo quattro giorni di cammino si era avvicinata notevolmente al suo scopo, indizi, informatori e il suo forte spirito di osservazione la convinsero che lì a poco avrebbe raggiunto il covo dei suoi nemici.

Si era appena seduta per mangiare un boccone quando sentì un rumore strano provenire dagli alberi dietro di lei. Quella zona della foresta non era conosciuta per il passaggio degli animali perché piuttosto vicina al centro abitato e lei era convinta che fosse un uomo ad aver provocato quel rumore di sterpaglia calpestata.

Con la spada in mano si inoltrò in quella selva e grazie alla sua velocità e prontezza riuscì a scorgere una sagoma scura che si allontanava in fretta. Non era molto alta ed era completamente avvolta in un lungo mantello nero stretto al collo da una spilla molto luminosa. Non ne aveva la certezza, ma il simbolo sul mantello sembrava proprio quello dei Ribelli. Doveva fare più attenzione.

Durante il giorno brandiva continuamente la spada, tesa e pronta all’attacco. La sua tattica era cambiata, non avrebbe più perso tempo alla ricerca del covo ma bensì di quella figura che sicuramente l’avrebbe portata direttamente dai suoi nemici. La notte, invece, si fermava come al solito a riposare sotto un albero, ma costantemente sveglia, cosa che non le risultava difficile, anche se quel solito tormento su Ilor era accantonato dall’angoscia per quella figura che continuava a seguirla. Ogni giorno ad un’ora diversa appariva e nonostante al primo sguardo di Lena fuggisse faceva in modo che Lena accorciasse la distanza verso di lei.

Era il settimo giorno di cammino, Lena era stremata, ormai non dormiva da tre giorni. Puntualmente la scura figura le balenò davanti, ma questa volta non prese a correre subito. Aspettò che Lena le si avvicinasse, per cominciare a correre mai non troppo veloce. Pochi minuti dopo ecco Lena davanti ad un vero e proprio fortino. Un’antica fortezza si ergeva sul mare, non troppo alta, ma decisamente massiccia. Per tutto il perimetro vi erano uomini, giovani e meno giovani, visibilmente armati. Nonostante non disponessero i sofisticati mezzi di un vero e proprio esercito a Lena incutevano un certo timore. Avrebbe dovuto studiare una tattica in un posto tranquillo e sicuro. Di sicuro ritornare nella foresta e aspettare la notte prima di fare qualsiasi movimento sarebbe stata la decisione più saggia, ma la stanchezza e il grande desiderio di vendetta le fecero fare un passo falso.

Proseguì, pochi passi, in direzione del fortino. Non ebbe neanche il tempo di accorgersi cosa stesse succedendo che un uomo l’aveva cinta da dietro ed un altro le stringeva un panno umido, probabilmente di uno sconosciuto veleno, sulle labbra.

Il veleno le entrò subito in circolo e lo stordimento del siero la colse quasi subito. Ebbe solo il tempo di vedere una sagoma correre all’impazzata verso di lei. Non riusciva a distinguerne il viso, ma dai lineamenti le sembrava una donna. La vedeva urlare qualcosa ma la voce non le arrivava. Era comunque un nemico e riconoscendo il mantello e soprattutto la spilla in prossimità del collo capì che si trattava proprio della sagoma che l’aveva seguita nel bosco. Gli uomini che la stavano tenendo ferma erano stati davvero troppo incauti, così prima di cadere addormentata riuscì a scoccare verso quella figura un attacco letale. Sentì la lama trafiggerle il cuore, era stata attenta, nonostante gli occhi pesanti, a mirare in prossimità dello sterno, ebbe ancora il tempo di vederla accasciare e poi cadde in un sonno profondo.

Passarono quasi dieci ore prima che Lena aprì gli occhi. Stranamente non si sentiva frastornata, era lucida e ricordava cosa era accaduto. L’unica cosa che la spaventava era il ricordo di quella sagoma che si piegava in due davanti a lei “spezzata” dalla sua spada.

«E se fosse stato Ilor»? pensò Lena terrorizzata. Ma il ricordo di quei lineamenti gentili e femminili la rincuorò presto;  c’era comunque qualcosa che continuava ad angosciarla al solo pensiero di quel momento.

I suoi pensieri però vennero interrotti da una voce che lei conosceva benissimo:

«Ti sei svegliata?»  disse Ilor con tono sommesso.

Lena si alzò di scatto pronta a piombare sul ragazzo con tutta la sua furia, ma si accorse di essere disarmata e soprattutto che a dividerli c’erano delle pesanti sbarre.

«Non fraintendermi, non sei nostra prigioniera. Quelle sbarre servono solo per non farti scappare e per non farmi ammazzare prima di averti mostrato una cosa.» Ilor le spiegò dolcemente la situazione suscitando in Lena un severo disgusto.

La ragazza non voleva stare a sentire né, tanto meno, scoprire che cosa aveva da farle vedere di così importante. I due uomini che l’avevano fermata e sedata ore prima ora la stavano scortando fuori dalla cella e quando lei, dimenandosi, cercò di liberarsi, entrambi con tono pacato le rivolsero le loro scuse. Sembravano sinceri, ma non capiva il perché di tale prostrazione.

Passò davvero pochissimo prima che potesse capire il perchè di tale atteggiamento. Ora davanti ai suoi occhi stesa sopra un letto di rose c’era il corpo inerme di Rania. D’istinto Lena urlò contro Ilor tutta la sua disperazione, ma il luccicare della spilla che Rania teneva stretta tra le sue mani le rese tutto estremamente chiaro.

Era Rania la sagoma che l’aveva seguita nella foresta, ma soprattutto era quel presunto nemico al quale Lena aveva trafitto il cuore quella mattina stessa.

L’urlo di disperazione di Lena avvolse tutta la camera e uno per uno le persone che adesso erano lì con lei lasciarono la stanza e sole le due amiche.

Di fronte a quell’immagine agghiacciante Lena rimase completamente immobile. Sentiva un calore insopportabile partire dalla testa fino a fermarsi nello stomaco con dolori pari a pugnalate. Avrebbe voluto urlare ancora, piangere ma riusciva soltanto a fissare il corpo di Rania, senza emettere suono e senza muovere alcuna parte del corpo.

Solo dopo un paio d’ore riuscì a muoversi e decise di sedersi di fianco al corpo dell’amica. Al minimo contatto con la pelle gelida della ragazza le gambe di Lena cominciarono a tremare convulsamente, il respiro si fece affannato e senza accorgersene si trovò piegata in terra a vomitare.

Aveva passato tutto il giorno e tutta la notte vicino a Rania alternando momenti di silenzio, in cui sembrava quasi non respirare a crisi di pianto convulse dove tutto il corpo le tremava.

Avrebbe voluto passare tutto il resto di quella che ormai le sembrava soltanto una vita inutile, lì immobile a guardare il corpo spento di  Rania, ma la voce di Ilor la distolse da quell’insano pensiero.

«Mi dispiace disturbarti, ma dobbiamo portare via Rania…» quasi balbettando Ilor si rivolse a Lena.

Gli occhi di Lena si gonfiarono di lacrime e di un’innata rabbia. Non potevano portargliela via, non di nuovo. Avrebbe voluto lottare per tenerla ancora lì con sè. Con un gesto disperato fece per scagliare la sedia posizionata di fianco al letto di morte dell’amica defunta verso Ilor, ma all’ultimo momento lasciò la presa e si accasciò piangendo tra le braccia del ragazzo.

«Non è vero! Non è vero! Non ce la faccio! Non ce la faccio!» gridò Lena in lacrime.

Ma in quel momento sentì una strana forza interiore avvolgerla completamente. Non avrebbe mai lasciato Rania nelle mani di quelli che, nonostante tutto, erano loro nemici.

«Riporterò Rania a casa!!» disse Lena decisa.

Ilor sapeva che non si sarebbe mai potuto opporre e si offrì di prepararle un cavallo sul quale avrebbe “viaggiato” il corpo dell’amica.

Tutte le sue cose erano state riposte vicino all’animale e Lena non poté fare a meno di notare la sua spada, l’arma che aveva tolto la vita a Rania. D’istinto la raccolse, ma al primo contatto si sentì gelare il sangue. Sentiva che ormai non le apparteneva più. Dal momento che quella lama aveva affondato nel cuore della sua amica la vecchia Lena non esisteva più e alla nuova Lena di quel pezzo di metallo non importava minimamente.

«A me non serve più!» esclamò Lena lanciandola ai piedi di Ilor.

Tutto il villaggio dei Ribelli si era riunito per salutare Rania e lei, c’erano anche  Matias, Isacc e Rachele, gli altri compagni che l’avevano tradita, ma lei non degnò nessuno di uno sguardo. Soltanto quando fu quasi del tutto fuori dal loro covo si voltò.

«Ai piedi della Collina, tra le querce c’è un passaggio segreto che porta al di là di Cohan, se vi sbrigate il mio esercito non vi troverà» Lena, seppur con freddezza, suggerì una via di fuga ai suoi nemici. Non riusciva nemmeno lei a spiegarsi quel gesto, ma in cuor suo sentiva che era giusto così.

Sapeva anche che Ilor non avrebbe mai lasciato la sua terra. Era come lei, o meglio come la vecchia Lena e questo pensiero le diede la consapevolezza che anche il suo amore per lui era morto con Rania e con la vecchia se stessa.  Una lacrima le rigò il viso, ma quasi volesse nascondersi l’asciugò in tutta fretta. Cominciò così ad allungare il passo, voleva portare Rania a casa il prima possibile, ma prima dovevano fare alcune soste.

Il sole era già alto in cielo quando arrivarono nei pressi di un lago. Era il Lago Rosa, chiamato così perchè i giochi di luce del sole davano sfumature rosa all’acqua.

«Non dirmi che non ti ricordi di questo posto?» Lena si rivolse quasi sorridendo all’amica immobile sul cavallo.

«Avevamo tre anni, ero arrivata da poco a Palazzo» prese a raccontare Lena.

«Eravamo qui con tuo padre. Tu facevi i capricci perché l’acqua era fredda. Non volevi proprio entrare. Così io ti ho colta d’improvviso e ti ho buttata spingendoti.» la ragazza smise di parlare quasi aspettasse un assenso da parte di Rania.

«Ero terrorizzata che ti fossi arrabbiata, ma poi sei uscita dall’acqua e hai cominciato a ridere a crepapelle e mi hai abbracciato felice. In quel momento pensai che volevo restare con te per sempre e che niente e nessuno ci avrebbe mai separate» la ragazza finì il racconto e si mise a tirare sassolini nel lago sorridente. Era da sempre stato il giorno più bello della sua vita. Il giorno in cui aveva ritrovato una famiglia.

«Forza, mettiamoci in cammino, altrimenti chi lo sente tuo padre.» incalzò Lena tirando l’ultimo sassolino.

Camminarono per un paio di giorni ininterrottamente. Non si fermavano neanche per mangiare o dormire, anche se Lena di tanto in tanto chiedeva all’amica se fosse stanca.

Il terzo giorno Lena decise che dovevano fermarsi, davanti a loro un bellissimo campo di tulipani. La ragazza cominciò a raccoglierli e a radunarli in un mazzo che diventava man mano più colorato.

«Certo che non ho dimenticato che sono i tuoi fiori preferiti!» esordì Lena quasi stesse rispondendo a una domanda di Rania.

«Speriamo non muoiano…..durante ill tragitto» disse Lena sussurrando appena, sistemando i fiori tra le mani immobili e fredde dell’amica.

Ora mancava davvero pochissimo al Palazzo, ma Lena voleva fermarsi ancora una volta. Così legò il cavallo a un albero in una fitta parte di foresta e si avviò velocemente verso il mercato di Cohan.

«Vedrai quante belle erbe ti porterò. Così inventerai uno di quegli intrugli miracolosi e sembreremo ancora più giovani e fantastiche. Non ti deluderò, tu però non andare via!!» disse Lena piena di un finto entusiasmo.

Come promesso tornò con una vasta varietà di erbe che sistemò nella borsa in modo meticoloso.

Quando a casa e la prima cosa che Lena notò fu la piazza dove si riuniva con la milizia segreta.

«Tranquilla, te l’ho promesso, basta combattimenti, saremo solo io e te, libere come abbiamo sempre sognato.» disse Lena convinta di rincuorare l’amica.

A vederle per primo fu proprio il suo Maestro nonché padre di Rania.

«Maestro siamo tornate!! Ora possiamo stare tutti insieme di nuovo» Lena si rivolse al Maestro con gli occhi colmi di lacrime.

Le urla dell’uomo la destarono, ma nonostante le lacrime  sgorgassero involontariamente dai suoi occhi Lena continuava a negare e a non accettare la morte di Rania.

«No! No! La mia bambina è morta!» gridò disperato il padre.

«Non è vero Maestro! Lei sta bene! Siamo tornate insieme e ora niente ci dividerà» rispose decisa Lena. Ma finita quella frase, come un fulmine a ciel sereno, la verità apparì davanti agli occhi della ragazza. Per tutto il viaggio aveva finto che fosse tutto un incubo, ma adesso quella bugia si era frantumata davanti ai suoi occhi che dalle lacrime non vedevano più niente.

E adesso avrebbe dovuto anche confessare a tutti che ad uccidere la sua migliore amica era stata lei.

Decise di lasciare un po’ solo il Maestro con la figlia, ma presto lo raggiunse per raccontargli ciò che era accaduto.

«Non sono stati i Ribelli, non è vero?» il Maestro esordì appena vide Lena che lo aveva raggiunto.

La ragazza rimase subito interdetta. Era convinta che avrebbe dato la colpa ai nemici, che le avrebbe chiesto di tornare là e di ammazzarli tutti.

«Rania aveva capito tutto! Era brillante la mia bambina» continuò l’uomo. «Cercando indizi per capire dove fosse scappata, ho trovato il diario di Rania e nonostante sia imperdonabile, l’ho letto! Quando ti hanno arrestata, lei ha raggiunto Ilor e ha scoperto la verità.» il Maestro piuttosto provato si fermò per prendere fiato.

«I Ribelli si stavano solo difendendo Lena! L’esercito ufficiale del Capo Supremo ha saccheggiato i loro villaggi, uccidendo, violentando, solo per la sete di potere, per la smania di conquistare sempre più terre. A noi hanno sempre fatto credere che agivamo per il bene di Cohan, per difenderci da un nemico che alla fine era solo la vittima Lena i tuoi genitori sono stati trucidati da Tiziano, il Vice in persona!!» con un filo di voce l’uomo finì di raccontare.

Lena era sconvolta, ora capiva perchè Rania l’aveva portata al covo dei Ribelli e perchè quella dannata mattina si era messa in mezzo tra lei e i suoi presunti nemici. Non voleva che nessuno venisse ferito e lei aveva pagato per tutti.

«Vendicala, ti prego. Vendica tua sorella!» implorò il Maestro pieno di speranza.

In silenzio Lena lasciò la stanza e prese a correre raggiungendo la foresta. Ad attenderla Ilor e i suoi  compagni. Senza nemmeno parlare si erano capiti. Ilor le lanciò la spada. Al contatto Lena avvertì di nuovo quella spinta da dentro il cuore che provava ogni volta prima di una missione. Un raggio di sole le baciò il viso, Lena sentì che non era un calore usuale.

«Sorella mia quella mattina ho ucciso entrambe ma adesso andrò a prendere la nostra libertà!» sussurrò Lena accarezzando quel raggio di sole.

La spada stretta dalle sue mani cominciò a pulsare e ad illuminarsi di una luce infuocata. Lena non aveva pronunciato alcun incantesimo che potesse scatenare quella reazione, ma nonostante ciò la spada continuava ad illuminarsi e a diventare sempre più rovente, al punto che anche per la ragazza fu difficile stringere l’impugnatura.

Un attimo dopo tutto quel calore si stava propagando lungo tutto il suo corpo. E come un fiume in  piena ricordi che non credeva potessero essere i suoi, si facevano sempre più vividi nella sua mente.

Ora davanti ai suoi occhi l’immagine dei suoi genitori felici, con una bimba piccolissima tra le braccia. Il paesaggio alle loro spalle era, senza ombra di dubbio, quello che Lena aveva visto al Covo dei Ribelli. Lei probabilmente doveva essere nata e cresciuta lì. Chiuse gli occhi per entrare completamente in quel ricordo.

L’immagine era molto chiara, sua madre stava preparando degli intrugli di erbe simili a quelli che Rania si dilettava a inventare. Poi, con voce soave, ripeteva delle parole strane e a lei sconosciute, dei veri e propri incantesimi. Sua madre era una strega. Più le immagini andavano avanti più Lena capiva che non c’era nulla di sbagliato, i suoi genitori e i loro amici vivevano nella tranquillità e nella pace usando gli incantesimi per la serenità e il benessere del loro villaggio.

Suo padre invece era molto bravo con la spada e ciò fece sorridere Lena che capì da chi aveva ereditato le sue capacità nel duello.

Ma in quell’immagine così felice c’era qualcosa di strano e con non poco sforzo, Lena riuscì a capire quasi subito che cosa turbava quel suo ricordo.

Nascosto nella foresta a fianco del villaggio, Tiziano, il Vice del Capo Supremo. Stava confabulando con le sue guardie, ma Lena non riusciva a comprendere quello che stesse dicendo. Le parole le arrivavano a intermittenza e a volte non avevano senso unite una con l’altra, ma nonostante tutto Lena riuscì a capirne il significato globale: impadronirsi della loro magia per avere il pieno potere di Cohan. E l’unico  modo per rubare la magia ad una Strega Naturale, dalla nascita, era bere il suo sangue.

Lena aprì di scatto gli occhi, quello che aveva visto le era bastato. Il resto della storia già lo conosceva.

Era finalmente pronta. Una luce accecante avvolse tutto il suo corpo. Dalla bocca involontariamente le uscivano parole e frasi in una lingua sconosciuta. I suoi capelli, stretti nel solito chignon, le cascarono sulle spalle e diventarono di un rosso acceso, mentre i suoi occhi dell’intenso viola che avevano quelli di Ilor. Anche lui doveva essere una Strega Naturale.

Lena non si era mai sentita così bene, tutto il potere magico che aveva represso in questi anni si era scatenato in quel frangente, la sua vera natura, che aveva sempre respinto, era finalmente pronta per guidarla nella conquista della libertà.

Si sentiva una persona nuova, ma tutto il dolore che aveva vissuto non l’aveva abbandonata e la paura di perdere ancora qualcuno la terrorizzò.

Prese così una decisione terribilmente pericolosa.

Avrebbe affrontato Tiziano completamente sola.

Ilor e i suoi compagni capirono subito le intenzioni di Lena e cercarono in tutti i modi di opporsi, anche con la forza se necessario, ma non ebbero neanche il tempo di muoversi che la ragazza con un solo gesto delle mani li aveva scaraventati a terra e aveva eretto intorno a loro una gabbia di fuoco.

Un ultimo sorriso a Ilor e si avviò velocemente verso il Palazzo.

La porta della stanza di Tiziano era aperta e sarcasticamente Lena bussò prima di entrare.

Davanti a lei la solita immagine deplorevole di un uomo arrogante, pieno di sé ed estremamente subdolo.

Alla vista di Lena, Tiziano, con un cenno della testa chiamò a radunarsi tutti i suoi uomini. Aveva capito che non era una visita di cortesia ma volle comunque usare il suo solito vile sarcasmo:

«Oh guarda Miss Peakee è tornata all’ovile!! Se vuoi il mio perdono puoi scordartelo sporca traditrice.» disse Tiziano quasi ridendo.

«Posso solo concederti la grazia di non ucciderti, ma solo se sarai mia schiava fino alla fine dei tuoi giorni» continuò l’uomo scoppiando in una fragorosa, isterica risata.

Lena non rispose alle provocazioni, ma si limitò ad avvicinarsi sempre di più a lui.

Ad ogni passo che faceva, Lena cambiava aspetto. Una volta era Rania, una volta sua madre e tutte le altre vittime che Tiziano aveva sacrificato per i suoi interessi, fino ad arrivare al Capo Supremo.

«So benissimo che colui che ha le sembianze del nostro Capo, non è che un povero malcapitato che hai soggiogato e trasformato!» incalzò Lena.

«Non ti ha portato fin troppi morti la tua vendetta, maledetta Strega!?» rispose Tiziano visibilmente spaventato.

«Ricordo ancora il sapore del sangue di tua madre e il suo potere che scorre nelle mie vene.» continuò arrogante il Vice.

Lena avrebbe voluto saltargli al collo e porre fine alla sua vita immediatamente, ma gli avrebbe fatto soltanto un favore perciò si limitò a rispondergli.

«Ti sbagli, la mia non è vendetta! E’ giustizia, per le persone che amo, per la terra che amo, Cohan!» disse Lena avvicinandosi sempre di più.

«Non ho paura di te ragazza! Sono una Strega anche io, se lo avessi dimenticato, e la tua mamma mi ha lasciato in eredità un sacco di trucchetti. La tua spada non mi sfiorerà nemmeno!» rispose fiero l’uomo.

«Infatti non userò la spada!» ribatté decisa la ragazza mentre buttava violentemente la spada per terra.

Una nenia dolce e melodiosa uscì dalla bocca della ragazza e il fuoco che avvolgeva la lama della spada volò dritto nelle mani di Lena che prontamente scagliò verso Tiziano bloccandolo contro il muro dietro di lui.

Non passò molto che l’uomo si liberò dall’incantesimo di Lena, scagliando verso di lei anatemi molto più potenti dei suoi.

Anche se Lena era una Strega Naturale, Tiziano dalla sua aveva anni di studio ed esperienza ma soprattutto la magia che aveva assorbito dalla madre della ragazza che era davvero potente.

Lena non si diede comunque per vinta, schivava i suoi attacchi con la stessa agilità che aveva nei combattimenti con la spada.

Ma il potere e la forza del suo nemico erano davvero difficili da sopire e nemmeno gli incantesimi più complessi sembravano funzionare.

Tiziano sembrava imbattibile e nonostante lottasse con i denti, Lena dovette presto arrendersi all’evidenza e piegarsi davanti al suo nemico.

Adesso il suo carnefice non la colpiva soltanto con incantesimi, bensì cominciò a picchiarla violentemente e la ragazza sentiva piano piano perdere il controllo di sé.

«Quando sarai agonizzante e mi implorerai di ucciderti, proprio come fece tua madre, berrò il tuo sangue e diventerò ancora più potente. Nessuno oserà mai più sfidarmi.» disse determinato Tiziano mentre continuava a picchiare la ragazza già coperta di sangue.

Lena sentì le palpebre pesanti e le gambe abbandonarla completamente, desiderava solo addormentarsi e senza opporre resistenza soddisfò quel suo desiderio.

Davanti ai suoi occhi solo tenebre, non vedeva assolutamente niente, ma non era spaventata. Poi all’improvviso una voce dolcissima. L’avrebbe riconosciuta in mezzo ad altre mille, era Rania. La incitava a non mollare, ad aggrapparsi alla vita perché non era ancora arrivato il suo momento.

«Lena ascolta la voce del tuo cuore, fidati di quello che sei ti prego!!» la implorò Rania.

Dal viso di Lena scesero due lacrime che le bagnarono le labbra. La ragazza semi cosciente cercò allora di rilassarsi per sentire il suo potere magico scorrere nelle sue vene. Era difficile e il dolore per le continue percosse di Tiziano era devastante, ma doveva provarci anche solo perché era stata Rania a dirglielo.

Tiziano intanto le aveva brutalmente spezzato un braccio torcendolo su se stesso. Il dolore fu lancinante e Lena pensò che morire era la cosa più bella che le sarebbe mai potuta capitare così cominciò ad implorare l’uomo di farla finita. Di toglierle la vita.

Proprio nel momento di maggior sconforto e dolore, sentì il fluido magico che scorreva nel suo sangue ribollire e una voce da lontano annullò ogni percezione di disperazione e dolore. Era la voce di sua madre.

«Bambina mia resisti, manca pochissimo e ce l’avrai fatta!» sussurrò sua madre con tono pacato e rilassato.

Lena non capiva come avrebbe potuto vincere quella battaglia ormai persa nel peggiore dei modi. Era impossibile. Probabilmente sua madre intendeva che presto l’avrebbe raggiunta e finalmente sarebbero ritornati tutti insieme.

«Ora sentirai un forte bruciore e ti renderai conto che starà bevendo il tuo sangue. Ti sentirai sempre più vuota, sarà un bruciore insopportabile. Ma devi permetterglielo!! Bevendo il sangue di un’altra Strega Naturale morirà. E’ uno dei pochi segreti che noi streghe ci tramandiamo oralmente,  solo per proteggere la nostra stirpe. Un umano può bere il sangue di una Strega Naturale e assorbirne il potere solamente una volta. Se questi oserà cibarsi della linfa vitale di un’altra Strega Naturale morirà nel giro di pochi minuti avvelenato dalla pozione più mortale che possa esistere.» continuò la donna speranzosa.

«Mamma….» quasi senza voce Lena chiamò la donna. Era il suo modo per ringraziarla e per dirle quanto l’amava.

Con il cuore pieno di speranza, Lena lasciò che i denti di Tiziano affondassero nella sua carne. Era come aveva detto sua madre il dolore era insopportabile, ma Lena si sentiva felice perché anche se fosse morta avrebbe vendicato i suoi cari e salvato Ilor e tutta Cohan.

Passarono davvero pochi minuti e sentì Tiziano urlare e contorcersi dal dolore; lo vide vomitare un liquido verde fluorescente e cominciare a sanguinare ininterrottamente.

«Maledetta! Cosa mi hai fatto? Voi Streghe siete la feccia dell’umanità, pagherete per tutto questo!»  nonostante il dolore che lo faceva soffocare Tiziano ebbe ancora la forza per maledire Lena per come l’aveva ingannato. 

Il veleno aveva fatto effetto era finalmente finita e lei poteva chiudere gli occhi in pace, per sempre.

Ma quella tranquillità durò davvero pochissimo, infatti qualcuno continuava a chiamarla e a scuoterla. Sentiva il suo corpo piano piano tornare caldo, ma non aveva voglia di aprire gli occhi, sarebbe stato tutto più facile se si fosse lasciata andare, ma quella voce insisteva. Solo quando si rese conto che si trattava della voce di Ilor decise di seguirla.

Un profondo sospiro le salì dallo stomaco, spalancò gli occhi terrorizzata e lo vide. Ilor era seduto a fianco a lei e le teneva la mano.

«E’ finita! E’ finita amore mio!» le disse Ilor tra le lacrime.

Tiziano era morto mentre lei, nonostante avesse tre quarti del corpo immobilizzato per le fratture e gli ematomi, si era miracolosamente salvata.

Strinse forte la mano di Ilor sorridendogli dolcemente, poi guardò verso il cielo, con gli occhi lucidi per l’emozione e un filo di voce e disse semplicemente: «Grazie!!»

La camera del cielo di Reeves Stevens Judith e Reeves Stevens Garfield

Florian MacClary l’ha trovata. Nelle profondità dell’oceano Pacifico, è nascosta una camera interamente decorata con le costellazioni celesti e che, al centro, ha un tavolo di pietra su cui sono incisi dodici simboli enigmatici. Ma il destino di Florian e della sua squadra è segnato: caduti in trappola, vengono uccisi da uno spietato assassino, che s’impadronisce anche di un reperto unico…
David Weir ha pochi mesi di vita. Nel corso delle sue ricerche presso il Laboratorio d’identificazione del DNA, gestito dall’esercito americano, ha rintracciato gruppi d’individui apparentemente normali, ma che presentano una sconcertante anomalia: una sequenza genetica «sconosciuta» che li porta a morire prima dei 27 anni d’età. David ha 26 anni ed è uno di loro…
Jessica MacClary è sconvolta. Nel quartier generale della fondazione della sua famiglia, sotto una volta ricoperta di stelle, la ragazza apprende che sarà lei a proseguire la missione di sua zia Florian. Ciò significa che diventerà una dei Dodici Difensori e che sarà la custode di un segreto antichissimo…
Dai ghiacci dell’Artico alle capitali europee, dai mari del Sud ai casinò di Atlantic City, Jessica e David saranno costretti ad allearsi in una disperata corsa contro il tempo per annullare la condanna codificata nel DNA del giovane scienziato e svelare un mistero che risale all’origine stessa della civiltà umana.

La figlia degli elfi di Herbie Brennan

Dopo la saga La guerra degli elfi (composta dai libri La guerra degli elfi, La corona del re, Il regno in pericolo e Il destino del regno) pubblicata in volume unico esattamente un anno fa, spunta un nuovo romanzo di Herbie Brennan!! Si tratta di La figlia degli elfi, in uscita il 21 GIUGNO per Mondadori che ci racconterà le vicende della figlia dei due protagonisti della saga precedente.

Un continuo della Guerra degli Elfi. Sedici anni dopo….

Sono passati sedici anni da quanto Henry si è stabilito definitivamente nel Regno degli Elfi, dicendo addio alla sua vita nel Mondo Analogo “ la nostra Terra “ per sposare la bella regina Aurora. Dalla loro unione è nata Mella, adolescente ribelle e curiosa che, in virtù della sua natura (metà essere umano e metà elfo), decide di fuggire di nascosto nel Mondo Analogo per conoscere la nonna paterna. Ma qualcosa va storto e Mella finisce per sbaglio nella Terra di Halek, dove scopre che il perfido Lord Rodilegno sta preparando un piano per invadere e conquistare il regno grazie a una nuova arma letale: un esercito di manticore, bestie mitologiche con il corpo di leone, la coda di scorpione e dalla testa umana.

FACCIAMO UN PASSO INDIETRO….

COME TUTTO INIZIO’….

Henry Atherton, adolescente umano, una mattina scopre che sua madre si è riscoperta lesbica ed ha una relazione con la segretaria di suo padre, Anais Ward. Sconcertato da questa notizia, si reca dal signor Alan Fogarty, vecchio eccentrico, ex-fisico nucleare ed ex-rapinatore di banche, per il quale Henry tiene in ordine la casa.

Pyrgus Malvae, giovane Elfo della Luce, primogenito del Monarca Danaus Plexippus del Regno degli Elfi, si trova nei guai dopo aver commesso il furto di una preziosa fenice ai danni di Lord Cossus Rodilegno, Elfo della Notte e zio del giovane ladro. Nel frattempo Sulfureo, Elfo della Notte, proprietario di una sinistra fabbrica di colla assieme al socio Bombix, trova il libro di Beleth, un prezioso manufatto demoniaco, in grado di evocare il principe Beleth, signore di Infera.

Cattura dunque Pyrgus e cerca di sacrificare il ragazzo nel tentativo di evocare Beleth, un principe demone capace di esaudire qualsiasi desiderio, grazie al libro appena trovato. Pyrgus riesce però a fuggire dalle grinfie dei due soci grazie a suo padre, che manda le sue guardie a prenderlo. Dopo averlo riportato a Palazzo, Plexippus dice al figlio che non è al sicuro nel Regno, quindi prepara la sua traslazione in un mondo parallelo(il Mondo Analogo o il Regno della Terra) che si scoprirà essere il nostro.

Giunge qui sotto forma di farfalla, ossia piccolo e con le ali, a causa di un sabotaggio del portale usato per arrivare al nostro mondo, incontra il signor Fogarty ed Henry. Questi, dopo aver salvato una creaturina alata dalle grinfie di un gatto, scoprono con sommo stupore che questa non è affatto una semplice farfalla, ma un elfo.

Pyrgus il giorno dopo torna normale(a grandezza naturale e senza ali)e cerca di farsi aiutare dal signor Fogarty per tornare nel suo mondo. Fogarty, essendo in grado di costruire ogni genere di apparecchio riesce a mettere su un piccolo portale, che avrebbe portato il Principe nel Regno degli Elfi, se non fosse stato dirottato da parte dei demoni, infatti Pyrgus finisce ad Infera e viene catturato.

Danaus raggiunge Fogarty con una scorta: il vecchio spiega tutto al Monarca e si reca con esso nel Regno. Poi lascia il portale pronto per Henry.

Henry va nel Regno tramite il portale e incontra la principessa Aurora Antocharis Cardamines nuda. Se ne innamora all’istante. Intanto il signor Fogarty si reca negli appartamenti di Plexippus con il fucile e spara al Monarca. Viene arrestato immediatamente. Henry raggiunge le prigioni cercando di liberarlo, ma un canvero, animaletto somigliante ad un tappetino lanoso che individua chi dice bugie e non può mentire mai, rivela le bugie dette da Henry e lo mette dentro. Qui Henry scopre dallo stesso Fogarty che un demone gli controllava il cervello.

Pyrgus è ad Infera e Beleth gli racconta tutta la verità, convinto che poi l’avrebbe ucciso.

Henry tuttavia riesce a salvare Pyrgus da morte certa, evocandolo, come se fosse un demone, utilizzando sempre il Libro di Beleth con l’aiuto di Aurora(che lo aveva anche fatto uscire dal carcere). Al termine dell’evocazione oltre a Pyrgus spunta un demone decisamente impazzito che parla ad Henry credendo di parlare con Beleth, dicendo che aveva contro l’intera CIA. Quindi Henry capisce che Fogarty era riuscito a vincere sul demone, ma mentre era nella Sala del Trono col fucile e stava lottando col demone, Archippus, il Viceré, gli aveva sparato. La vicenda è confermata da Pyrgus, infatti Beleth lo aveva messo al corrente del tradimento di Archippus.

Con Plexippus morto, ora Pyrgus è il Monarca Designato. Il primo atto che compie è quello di demolire la fabbrica di colla di Sulfureo e Bombix, oltre a nominare Henry Cavaliere del Pugnale Grigio, dandogli il nome elfico di Acciaio Invitto. Per di più Aurora comincia a ricambiare i sentimenti che Henry prova per lei.

La vicenda del primo siblo si conclude con Henry che torna a casa sua nel Mondo Analogo ed i suoi genitori divorziano.

La saga La guerra degli elfi è composta dai seguenti libri:

1. La guerra degli elfi

2. La corona del re

3. Il regno in pericolo

4. Il destino del regno

Nell’universo immaginario creato da Brennan, gli elfi abitano in un mondo parallelo al nostro; tra loro vi è la distinzione tra Elfi della Luce ed Elfi della Notte, che da lungo tempo combattono o non hanno rapporti diplomatici molto saldi. Ma un “terzo Mondo” fa parte dell’ “Universo Brennan”, cioè Infera, che è l’Inferno, governato dal malvagio Principe Beleth.

AUTORE:Herbie Brennan, nato in Irlanda e sposato con la scrittrice Jacquie Burgess, è autore di una novantina di libri, tradotti in cinquanta paesi e venduti in milioni di copie. Molti sono romanzi storici e fantascientifici per adulti e numerosi saggi sul mondo del paranormale per il quale nutre particolare interesse. E infatti Membro della Psychical Research di Londra. Altri romanzi sono invece rivolti a un pubblico più giovane, al quale ha dedicato numerose serie, romanzi fantastici e libri di divulgazione. Ha raggiunto uno strepitoso successo con i romanzi fantasy della serie La Guerra degli Elfi, e i libri La fata delle tenebre eLe fate sotto la città.

Shadowhunters. L’angelo di Cassandra Clare

Tessa, orfana sedicenne, lascia New York per raggiungere il fratello ventenne a Londra. Come unico ricordo della sua infanzia, porta con sé una catenina con un piccolo
angelo dotato di un meccanismo a molla appartenuto alla madre. Quando il fratello scompare, la ragazza si trova immersa nelle nebbie sovrannaturali della Londra vittoriana e scopre un mondo popolato da vampiri, lupi mannari e stregoni: una realtà in cui mantenere il proprio equilibrio è difficilissimo. Per riuscirci, dovrà imparare a fidarsi degli Shadowhunters.