Dopo che a bordo di un Boeing 777 atterrato all’aeroporto di New York sono stati ritrovati dei cadaveri infettati da un misterioso virus letale, si scatena nella metropoli una terribile pandemia che si estende velocemente negli Stati Uniti mettendo in pericolo il mondo intero. A distanza di qualche settimana a New York regna il caos: le persone spariscono, i negozi vengono saccheggiati e l’esodo di massa dalla città sembra inarrestabile, mentre il sottosuolo brulica di creature assetate di sangue. È scoppiata la guerra tra vampiri del vecchio e del nuovo mondo per il controllo totale degli esseri umani, rendendo questi ultimi ancora più deboli e vulnerabili. Abraham Setrakian, l’anziano professore sopravvissuto allo scontro con il capo dei vampiri, il Padrone, nonostante le precarie condizioni di salute continua a guidare il piccolo gruppo di resistenza composto dagli scienziati Ephraim Goodweather – capo dell’Ente controllo e prevenzione malattie infettive, la cui ex moglie Kelly è entrata a far parte dello schieramento avversario e cerca di reclutare il figlio Zack – e Nora Martinez, oltre al disinfestatore Vasiliy Fet. Ma potrebbe essere troppo tardi. L’unica speranza di salvare l’umanità, ancora ignara del destino a cui sta andando incontro, consiste nell’uccidere il Padrone e il suo complice Eldritch Palmer, uno degli uomini più ricchi e potenti del mondo, disposto a tutto pur di ottenere l’immortalità.
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Yinger e l’Antico Tomo di Teresa Di Gaetano (Corso Adulti – Secondo Livello)
Yinger e l’Antico Tomodi Teresa Di Gaetano
Corso Adulti – Secondo Livello
“Signora Aduial, Yinger, posso entrare?” si udì la voce di un ragazzo che Yinger riconobbe quasi subito, anche da dietro la porta: era Aless, il suo amico di infanzia.
Quando entrò la vide inginocchiata vicino a letto della nonna, in lacrime le teneva la mano.
“Yinger, cosa è accaduto?” chiese avvicinandosi e cingendole le spalle.
Lei lo scacciò seccata: “Và via – gli intimò – non ti riguarda!” di tutte le persone che avrebbe voluto vedere in quel terribile istante, Aless era l’ultima.
“Cosa è successo a tua nonna?” incalzò, posandole una mano sulla spalla.
Ma lei non rispondeva, a stento tratteneva i singhiozzi.
“Sta molto male” rispose con un filo di voce la ragazza.
Vedere Yinger in lacrime gli dilaniava l’anima e il cuore.
“Cosa posso fare per te?” disse inginocchiandosi, ma lei volse lo sguardo dell’altra parte.
“Non hai sentito cosa ti ho detto? Và via!” e riprese a singhiozzare.
Aless guardò attorno nella stanza, sentendosi inutile, si diresse verso la porta.
“Sappi che qualunque cosa tu abbia bisogno, io ci sarò” e uscì.
Mentre percorreva il piccolo corridoio della casa, Aless udì voci di bambini che correvano felici tra i vicoli. Rivide quando loro erano piccini e facevano le gare per salire sull’albero più grande della piazzetta della loro bella città Corallo d’avorio. Yinger era sempre stata più agile di lui e arrivava sempre per prima in cima.
Incerto posò la mano sulla maniglia. E il suo dolce profumo alla vaniglia buonissimo, gli penetrava l’anima. Si richiuse la porta dietro le spalle.
***
Nonna Aduial aprì un pochino gli occhi e poi con flebile voce bisbigliò: “Ti devo dire alcune cose, Yinger.”
La ragazza alzò lo sguardo verso la vecchia.
“Dimmi tutto, ti ascolto” si portò la mano dell’anziana sulla guancia in segno di affetto.
“E’ un segreto della nostra famiglia.” Iniziò a raccontare nonna Aduial.
Nel camino, nel frattempo, crepitava il fuoco.
“Io sono una maga. Da tre generazioni le donne della nostra famiglia lo sono. Tua nonna Aranel e prima ancora la tua bisnonna Alatariel avevano dentro il sacro fuoco della magia che ardeva nelle loro anime. Ma hanno conservato il loro segreto e lo hanno svelato alle loro figlie solo in punto di morte.”
Yinger a quelle terribili parole le strinse più forte la mano.
“Ed ora è giunto il momento di svelarti il mio segreto e il tuo che dovrai custodire fine alla fine dei tuoi giorni!” ebbe un rantolo ed Yinger si alzò di scatto dalla sedia.
“No… non ti preoccupare: è solo una fitta, passerà. Ho giusto il tempo di dirti quello che devi sapere.” Cercò di porsi a sedere, ed Yinger l’aiutò sistemandole il cuscino dietro le spalle.
“Se studierai apprenderai la forza dei quattro elementi: l’acqua, il fuoco, l’aria e la terra. Gli elementi, i quattro, sono tuoi alleati. Devi imparare a domarli al tuo volere.”
Yinger si stupì di quello che stava ascoltando e così annuì mentre le lacrime continuavano a scendere.
Per Yinger nonna Aduial era sempre stata una mamma, perché l’aveva allevata come una figlia.
“Nonna – cercò di rincuorarla – vedrai che ti riprenderai!”
“No! ormai è giunta la mia ora. Sono troppo vecchia per vivere, ma tu, nipote cara sei sempre stata la mia prediletta. E’ giusto che adesso conservi tu il segreto di famiglia. Vai allo scaffale di quel mobile ed apri il cassetto.”
Yinger fece quanto le stava dicendo l’anziana, così si diresse verso il comò ed aprì un cassetto. Il primo.
“Cosa vedi?”
“C’è un bastone” rispose incerta Yinger.
“Prendilo!” la esortò la vecchia.
Yinger lo afferrò e in quello stesso momento il bastone non solo si illuminò, ma si allungò. Il bastone terminava con una spirale con al centro un grande smeraldo di forma ovale.
“Che bello!” esclamò entusiasta.
“Questo è il mio bastone, adesso è tuo. Se dirai lucem comparirà oppure scomparirà.”
“Come… come fa a riapparire?”
“Una volta impugnato ormai ha preso la tua impronta. Non hai visto che si è illuminato?”
Nonna Aduial tossì forte.
“Questo vuol dire che se qualcun altro lo tocca, può portarmelo via?”
“Solo se è un mago come te,” rispose l’anziana con un po’ di affanno.
“Lucem!” disse a voce alta Yinger e il bastone scomparve immediatamente.
“Vai verso quella libreria, ora” e le indicò la libreria addossata al muro, vicino alla finestra.
Yinger guardò i dorsi dei libri con curiosità.
“Prendi quello nel secondo scaffale, il secondo a destra.”
Yinger ubbidì. Il tomo si rivelò un po’ più grande di quello che dava a vedere messo in ordine nella libreria.
“Questo è l’Antico tomo della Biblioteca di Akyab. Da tre generazioni viene conservato nella nostra libreria. Il tuo compito è di portarlo… – e tossì un’altra volta – portarlo di nuovo là!”
“E perché mai?” domandò la ragazza.
“La città di Akyab vivrà un momento terribile, e solo un mago potente, se non potentissimo, può usare gli incantesimi del libro. Per la salvezza di questo popolo devi portargli il libro. Ho visto, infatti, cosa sarebbe accaduto senza quel libro!”
La nonna tacque. Chiuse gli occhi ed Yinger si avvicinò velocemente all’anziana, pensava che si era addormentata. Invece, la donna aprì gli occhi spalancandoli all’improvviso. Yinger la vide tremare.
“Non ho ancora finito,” sembrò supplicare con voce tremante.
“Yinger vai vicino al mio comò di nuovo. Proprio sopra, troverai uno specchio magico.”
La ragazza lo prese subito e ci si specchiò, mentre nonna Aduial continuava a parlare con voce rauca: ”Con questo potrai evocare la forza della luce. Basta che dirai Lux splendentis.”
Di nuovo l’anziana rantolò, gettò la testa all’indietro sul cuscino e con la bocca aperta respirò affannosamente.
“Nonna!” si gettò tra le sue braccia Yinger.
“La mia collana… prendi anche la mia collana. E’ un amuleto… avrai così il potere di evocare gli spiriti dei morti.”
L’afferrò per le braccia, come se volesse scacciarla. “Non puoi impedirmi di andarmene. Stai molto attenta. Devi ancora sapere che hai una sorellastra, il suo nome è Tinie. Lei farà di tutto per toglierti il Tomo antico, e poi perché ti considera responsabile della morte di vostra madre. Ma tu proteggilo anche con la tua stessa vita!”
Detto questo esalò, lasciando Yinger interdetta.
“Nonna!” esclamò a voce alta la ragazza.
Sua nonna, la sua cara nonna era morta! Yinger vide tutto il suo mondo crollare: che cosa avrebbe fatto senza di lei? Già non aveva più una madre, e adesso aveva perso quella che fino ad allora era stata come una madre per lei. Pianse calde lacrime.
In quel mentre entrò di nuovo Aless: aveva dimenticato il suo cappello ed era tornato per riprenderselo. Quando vide che Yinger singhiozzava, si avvicinò alla ragazza, con il cappello tra le mani.
“Le daremo degna sepoltura,” disse Aless.“Non ti preoccupare.”
Poi perse i sensi, il troppo dolore le aveva dato un senso di vertigine. Anche perché la sua vita d’ora in avanti senza la presenza di sua nonna sarebbe, infatti, stata completamente diversa.
***
Quando Yinger rinvenne si ritrovò nella sua stanza. Era a letto, con una coperta di sopra. Il fuoco crepitava nel camino che illuminava tenuemente la stanza. Seduto accanto a lei, sul letto, vi trovò Aless.
“Come ti senti?” le domandò preoccupato.
Lei sbatté le palpebre due volte prima di rispondergli:”Un pochino meglio. ”
“Domani seppelliremo tua nonna.”
Doveva ammetterlo a malincuore, però la vicinanza di Aless in quel momento la faceva sentire meno sola.
“Sì. Speriamo non piova,” disse guardando dalla finestra. La tendina era appena scostata e si intravvedeva il cielo non particolarmente limpido.
“Perché dici così?” le chiese il ragazzo.
“Mia nonna mi ha detto che quando piove e si seppellisce un morto poi in quel punto non nascerà più alcun albero. E nessuno si ricorderà del morto.”
“Oh!” esclamò sbalordito il mago. “Allora, sì… speriamo non piova.”
Yinger rimase alcuni istanti a fissare il cielo grigio, poi il soffitto. Sospirò.
“Devo partire,” disse tutto d’un fiato.
“E dove vuoi andare?” iniziò a preoccuparsi Aless.
“Ad Akyab. Mia nonna mi ha chiesto un favore prima di morire ed io le ho promesso che l’avrei fatto. Almeno… in cuor mio,” aggiunse la ragazza.
“Akyab? Così lontano? Perché mai?” domandò con curiosità Aless.
“Ma io non voglio partire,” ammise Yinger incurante della domanda del mago. “Voglio rimanere qui, in questa casa.”
“Cosa ti spinge, allora, a farlo?” incalzò il ragazzo.
“Devo portare l’Antico tomo alla Biblioteca di Akyab. Da questo dipenderà la salvezza della città. Mi domando, chissà perché proprio io!” e qui socchiuse gli occhi verdi.
“Se vuoi ti accompagno,” disse alzandosi in piedi. “Ma ora riposa un altro po’. Prendi questo, è una pozione per far addormentare.”
I boccoli neri di Yinger giacevano scomposti sul cuscino. Ad Aless venne il desiderio di accarezzarli, ma non lo fece. Porse il liquido scarlatto contenuto in una boccetta di cristallo alla ragazza.
“Non lo voglio,” disse scostandolo con la mano.
Aless fu felice di quel sì breve contatto, ma insistette per farglielo bere.
“Bevine solo un goccio. Domani starai subito meglio.”
Yinger alzò la testa dal cuscino, prese dalle mani bruscamente la boccetta e la sorseggiò.
“Sa di bacche rosse” disse accennando un breve sorriso.
“Sì… il tuo gusto preferito. L’ho scelto perché sapevo che ti piaceva.”
Yinger bevve tutto d’un fiato la pozione, prima che Aless potesse fermarla.
“Eh… no, così è troppa!”
“Era buonissima! Grazie, Aless” posò la testa sul cuscino e chiuse gli occhi subito.
“Buona notte, tesoro” e le baciò teneramente la fronte.
***
Quando Yinger si addormentò, iniziò a sognare. Vedeva una fanciulla. Era magra d’aspetto, aveva i capelli biondi, lunghi e gli occhi azzurri chiarissimi. La pelle diafana e un sottile velo celeste la copriva lasciando intravvedere il suo esile corpo.
“Benvenuta!”
Yinger chinò il capo: si sentiva leggera come una foglia.
“Sono Yinger” si presentò, ma quasi subito si pentì di aver pronunciato il suo nome. La bella fanciulla ora appariva come un mostro che la inseguiva, pronta con i suoi artigli ad afferrarla. Lei si mise a correre, ma quella mano-artiglio diventava sempre più grande, finché non la prese. Cercò di svincolarsi dalla stretta, ma si accorse che era sopra un albero e che i rami la stavano trattenendo.
“Ciao!” udì una voce sconosciuta.
“Chi sei?” domandò riuscendo a liberarsi dalla stretta e cadendo dall’albero.
“Sono Quesq.”
Yinger alzò lo sguardo in direzione della voce e vide che aveva di fronte un elfo. Era alto, slanciato, con la pelle chiarissima e i capelli tutti bianchi, le orecchie a punta. Indossava una casacca color indaco, una cinta, e un paio di pantaloni di fustagno dello stesso colore. Ai piedi calzava delle comode scarpette dorate, la cui punta finiva arrotolata all’indentro. Aveva in mano un flauto.
“Sei un elfo!” disse sbalordita Yinger.
“So cosa ti è accaduto di recente, e mi dispiace tanto. Yinger, ormai hai diciannove anni e devi essere forte. Tua nonna ti ha dato una missione da compiere, e tu la porterai a termine.”
“Parli dell’Antico Tomo?” domandò la ragazza.
“Certamente. Zosheng, uno stregone malvagio, si appresta a conquistare la città di Akyab. Tutto questo si rifletterà sul GranRegno. Molte genti, infatti, ne soffriranno. Yinger devi iniziare a studiare. Vai nella Biblioteca della città e nelle Biblioteche di tutte le città che incontrerai nel tuo cammino. Devi apprendere l’arte della magia. Non solo dai libri, ma anche pian piano da me. Ti insegnerò tutte le formule magiche utili per poter affrontare il tuo nemico.”
“Mia nonna mi ha detto che ci vuole un mago potente per poter aiutare la popolazione di Akyab, come farò io, da sola, a sconfiggere questo Zosheng.”
L’elfo non ci rifletté nemmeno un momento e disse: “Non ti preoccupare, ti istruirò io. Ma sappi che anche tu dovrai studiare moltissimo per diventare una brava maga o una brava strega.”
“Cosa vuoi dire?”
“Dovrai scegliere se diventare una strega bianca, quindi una maga, o una strega nera. Sappi che da entrambe le parti faranno di tutto per attirarti a sé, ma l’ultima scelta spetta a te. O entrerai nella Congrega delle Tredici Streghe Nere, oppure sarai una Sacerdotessa al tempio di Ayon. Lo deciderai col tempo. Non avere fretta.”
“Quesq, quando ci incontreremo di nuovo?”
“In un altro sogno. Adesso va e ora che ti svegli. E’ già mattino e c’è il funerale di tua nonna.”
Così Yinger aprì gli occhi di scatto. Le ci volle un pochino prima di capire che era nella sua stanza e che Aless la stava delicatamente toccando per farla svegliare.
“Tutto è pronto, Yinger. Devi dare l’ultimo saluto a tua nonna.” Le disse.
Yinger si pose a sedere sul letto. Era ancora un po’ intontita, poco presente a se stessa.
“Adesso vengo,” fu tutta la sua risposta, mentre sbadigliava.
Aless uscì dalla stanza e lei indossò un abito scuro. Si lavò il viso, per rinfrescarsi e si diresse verso la stanza della nonna. La trovò avvolta in un lenzuolo bianco. Notò che il viso era sereno, anzi sembrava quasi sorridere. Era adagiata su una panca di legno. Yinger si coprì i neri capelli con il velo, in segno di lutto. Poi Aless e alcuni vicini trasportarono la salma pian piano fuori. In giardino già la fossa era scavata. Yinger si ricordò dell’amuleto al collo della nonna, quello a forma di stella. Si slanciò verso il corpo, ma Aless la fermò.
Le fece di no col capo.
“L’amuleto,” farfugliò confusamente.
“Te l’ho messo da parte.”
Poi iniziarono con la pala a lanciare le prime zolle di terra per coprire il corpo.
“Hai visto?” disse Aless. “Non piove!”
La ragazza iniziò a piangere: “Sì… è così… non piove.”
Coprirono il corpo. Poi Yinger, come per tradizione, si tolse il velo e lasciò che il vento lo trasportasse lontano da tutto, da loro.
“Che la tua anima riposi in pace, nonna Aduial!”
Il velo turbinò nell’aria e poi scomparve all’orizzonte, dove nemmeno i loro occhi potevano più vederlo.
“E’ la sua anima, che prende il volo, in lontane, lontanissime sponde!”
“Adesso dove è andata è molto più felice. L’hai visto, no? Sembrava sorridere…” disse sottovoce Aless.
“Sì,” ammise Yinger asciugandosi le lacrime col dorso della mano e sorridendo appena. “Lo spero proprio.”
***
L’indomani non aveva voglia di fare niente. Si era coricata con i doni della nonna. E faceva apparire e sparire il bastone, di tanto in tanto.
Si alzò, si vestì e fece colazione. Il sole splendeva nel cielo, poteva vederlo dalla finestra.
“Oggi è una bella giornata per raccogliere un po’ di bacche nel bosco,” pensò Yinger con un po’ di tristezza.
Così prese un cestino e si diresse verso il bosco. L’aria sapeva di profumi di primavera. C’era qualche rado fiorellino per terra. Inoltratasi nella foresta udì come bisbigliare. Si volse ma non c’era nessuno. Proseguì il suo cammino. Si ritrovò in una verdeggiante pianura piena di soffiobolle, infatti dalle corolle di questi fiori invece di uscire soffioni uscivano incantevoli bolle di sapone. Fu in una di queste bolle che Yinger vide un folletto. Era tutto vestito d’azzurro, con un cappellino che terminava con un pon pon bianco, ed aveva in mano, proprio dentro la bolla, una candela.
“Ciao!” la salutò.
“Ciao!” rispose Yinger.
Il folletto compariva e scompariva con le bolle dei soffioni, però ad Yinger sembrava fossero diversi e non sempre lo stesso perché alcuni avevano l’abito azzurro, altri bianco, altri rosa.
Da una bolla più grande uscì una folletta più grande.
“Io sono Rahama” disse il folletto. “E sono la regina dei folletti.”
“Salve, sua maestà.” Rispose Yinger.
“Vorrei farti dono di Pegaso. E’ un cavallo alato, ma può anche parlare e può aiutarti nella consegna dell’antico tomo”
Il cavallo apparve e ad Yinger parve bellissimo nel suo bianco splendore.
“E’ per il tuo viaggio, così non andrai a piedi.”
Nel frattempo il cavallo si era avvicinato e lei gli accarezzava il muso.
“Grazie per il gentile dono,” ringraziò Yinger.
La regina Rahama riprese a parlare: ” Sai? ho fatto una promessa a tua nonna Aduial, che mi ha salvato la vita e per questo ti faccio dono di Pegaso.”
Ma Yinger a malapena l’ascoltava, tutta intenta com’era ad ammirare il cavallo alato.
“Comunque, Yinger stai attenta, il viaggio è lungo e pericoloso. Sappi che tutti i miei folletti saranno sempre con te e ti aiuteranno nel momento del bisogno. Dentro di te c’è lo spirito di tua nonna, che era una potente maga, e sono sicura che riuscirai nello scopo che ti sei prefissata.
“Dai, Yinger!” prese la parola Pegaso “è ora che ti avvii per la tua missione!”
Così salì in groppa a Pegaso e il maestoso animale cominciò a volare.
Per Yinger fu bellissimo. Poteva sfiorare il cielo con un dito e poi anche le nuvole. Per un istante dimenticò tutti i suoi dispiaceri.
***
Nel pomeriggio la venne a trovare, come sempre, Aless e si misero subito in viaggio.
Avevano attraversato già la foresta di Muravej e la città di Halifax e si accamparono nella laguna di Orag dove furono attaccati dalla sorellastra Tinie. Il duello vide quasi vincitrice Tinie, con la sua magia nera. Infatti, la sorellastra era riuscita a ferire Yinger.
Il fuoco crepitava illuminando debolmente la caverna, i loro visi. Aless aveva portato subito al riparo Yinger. La maga era stata ferita da una freccia durante il combattimento con la sorellastra, Tinie. Ed ora Aless stava cercando di guarire Yinger con la sua magia. La ragazza aveva la febbre alta, mentre il mago preparava la pozione per curarla. Del resto avevano ben poco tempo per riprendere il loro viaggio verso l’antica città di Akyab. Così si avvicinò molto lentamente a Yinger, che giaceva a terra coperta dal suo mantello. La ferita era piena di sangue e doveva essere al più presto curata.
Le scostò i bei capelli neri, e cercò di slacciarle il corpetto, ma si fermò ad un tratto perché la maga aveva spalancato gli occhi e gli aveva bloccato il braccio.
“Aless, che cosa stai facendo?” gli domandò Yinger con voce rauca: le faceva tanto male la spalla.
“Cerco di estrarre la freccia perché altrimenti non posso curarti con la mia pozione.”
E senza che lei potesse ulteriormente ribattere, con decisione, tolse la freccia.
Yinger urlò per il dolore e la caverna risuonò tutta. Per alcuni istanti, che le parvero interminabili, vide nero.
Dopo perse i sensi.
Aless le pose l’impacco sulla ferita, e per tutta la notte si prese cura di lei.
Ora che dormiva placidamente la guardava con tenera insistenza. Si avvicinò al suo viso e la baciò dolcemente.
Non era la prima volta che assaggiava il suo sapore. Già una volta aveva tentato di baciarla, quando non erano altro che ragazzini.
Ma Yinger l’aveva rifiutato con forza e questo fatto gli dilaniava l’anima e il cuore. Continuamente. Lui l’amava!
Rivide quando erano piccoli. Yinger più alta di lui, i suoi boccoli neri, e gli occhi verdi della ragazza l’avevano catturato fin dal loro primo incontro da bambini: due fessure di un’anima che aveva amato. E il suo dolce profumo alla vaniglia… buonissimo… era ogni volta con lui, ma quando la vide diventare ogni giorno sempre più donna era stata allora che il desiderio era cresciuto dentro di lui.
Nel frattempo Yinger si risvegliava lentamente. Le ci vollero alcuni minuti prima di comprendere che era a terra, in una grotta, tra le braccia di Aless. Lo fissò per alcuni istanti, poi si pose a sedere. Aveva le lacrime agli occhi.
“Perché sento bruciare la spalla?” domandò intontita dal dolore.
“Tinie ti ha colpita. Mi spiace!” disse il ragazzo mettendosi subito in piedi, come colto in flagrante.
“Ed io cosa ci facevo tra le tue braccia?” chiese Yinger indispettita.
“Sei svenuta per il dolore. Mi spiace!” rispose il ragazzo afflitto.
“Per te è sempre un’occasione per toccarmi. Non è vero?” incalzò arrabbiata.
“Non è come pensi,” ammise Aless imbarazzato. “E’ capitato, tutto qui!”
Yinger si alzò per guardarlo in faccia, dritto negli occhi.
“Vedi di non azzardarti più!” lo rimproverò.
Sul viso di Aless affiorò un velo di tristezza, un’ombra fugace. Si rabbuiò, infatti. Conosceva il caratterino ribelle di Yinger ed era per questo che l’adorava. Fuori iniziò a piovere, le prime gocce caddero, bagnando l’ingresso della grotta. Si udiva solo il crepitare del legno nel falò. Un legnetto, infatti, si sfaldò e divenne cenere tra la cenere.
“Altrimenti cosa mi farai?” proruppe in tono di sfida Aless, afferrandole le spalle.
Finalmente aveva trovato il coraggio. Il cuore gli batteva forte. Le tempie gli pulsavano. Dirle tutta la verità, dirle tutta la verità, urlò una voce dentro di lui.
“Io ti amo Yinger!” e l’abbracciò senza esitazione.
Lei si ritrovò tra le sue braccia, ma non ricambiò il suo abbraccio. Una lacrima le scese lenta sulla guancia e si nascose sotto il mento.
“Non l’hai capito? Non posso vivere senza di te! Senza la tua presenza accanto alla mia! Perché dovrebbe sorgere il sole in cielo, o esserci la luna se tu non ci sei? Cosa contano per me le nuvole che oscurano una bella mattina primaverile di sole se tu non sei con me? Nulla è degno di essere vissuto, nemmeno la mia vita, se tu non sei al mio fianco!”
Lei cercò di svincolarsi dalla stretta e protestò:”Bè… non mi interessa. Non ti amo Aless, credo che anche tu dovresti saperlo!”
Riuscì a staccarsi dall’abbraccio.
“Penso che sia meglio che le nostre strade si dividano, allora.” Sentenziò incrociando le braccia al petto. “Io proseguirò la mia verso Akyab, e tu te ne andrai per la tua. Non mi serve il tuo aiuto. Hai capito?”
Lui taceva.
“Và via! Ora! Subito!” e gli indicò l’entrata della grotta.
Aless posò il suo sguardo con tenerezza su di lei, poi disse, dirigendosi verso l’entrata.
“Me ne andrò. Ma ricorda: qualunque cosa tu avrai bisogno, io ci sarò! Non ti abbandonerò! Mai!”
Uscì e la pioggia gli bagnò i rossi capelli, il vestito. Yinger lo vide scomparire dalla sua vista. Ormai la pioggia cadeva fittissima e col buio era difficile distinguere le ombre dalla foresta.
Ormai erano diversi mesi che viaggiavano lei insieme a Pegaso. Una sera sognò, avendo come sempre bevuto l’infuso di bacche di Aless.
Vedeva una collina fiorita. C’era la stessa fanciulla dell’altra volta. Saltellava sul prato. La vedeva solo di spalle.
“Chi sei?” osò chiederle.
Quella si volse e lei vide i suoi occhi azzurri chiarissimi fissarla a lungo. Poi, come nel sogno precedente, si lanciò verso di lei per afferrarla con le sue mani- artiglio. E lei si ritrovò prigioniera dei rami di un albero.
“Bentornata!” la salutò calorosamente Quesq.
L’elfo suonava il suo flauto con dolcezza.
Lei riuscì a liberarsi dai rami e ricadde un’altra volta a terra. Questa volta però un morbido tappeto di foglie gialle attutì la sua caduta a terra.
“Da dove vieni, Quesq?” gli domandò con curiosità sedendosi sul morbido letto di foglie secche.
“Sono di Aveyon, la città contesa dal regno Luna di vetro e Corallo d’Avorio.”
“Aveyon, la Grande città elfica dalla porta magica!”
L’elfo annuì e riprese a suonare. Il suono del flauto riempiva l’aria di dolcezza. Petali di rosa si levarono leggiadramente nell’aria. Turbinarono attorno a loro per poi scomparire all’orizzonte.
Smise di suonare e disse, sempre con dolce tristezza: “Ma io sono rimasto solo. La città è stata distrutta ai tempi di re Erothu ed io sono rimasto l’ultimo della mia stirpe.”
Una lacrima gli scivolò lenta sulla guancia. Brillò alla tenue luce del sole, come un diamante.
“Se non ci fossero i tuoi sogni, cara Yinger, sarei già morto.”
“Chi è la ragazza che vedo prima di incontrarti?”
“Lei è… Alatariel. Non è un’elfa. Ti permette di incontrarmi. Diciamo che è una porta di accesso.”
Yinger posò la mano sull’albero. “E’ lei?” sussurrò.
L’elfo annuì. “Sì… è una ninfa degli alberi dei sogni. Se non ci fosse non potremmo vederci, né sentirci,” continuò triste Quesq.
Yinger abbracciò le gambe e rimase pensierosa in silenzio.
Poi disse: “Perché sei così solo, solo come me?”
L’elfo alzò le spalle come dire “non so” ed aggiunse: “E tu perché ti senti sola?”
“Io non mi sento sola. Sono sola. Mia nonna era tutta la mia famiglia. Era tutto per me. Era come una madre. Adesso non ho più nessuno, al mio fianco. Sono sola.”
“Non lasciare che la tristezza prenda il sopravvento!”
Quesq smise di suonare un’altra volta: “E’ giunto il momento, Yinger devi ritornare nella realtà. Continua a studiare, imparerai tante cose dai libri. Presto sarai da Akyab ed è ora che tu liberi la città dall’assedio di Zhoseng.”
Già, infatti, si vedeva in lontananza la grande città di Akyab. Con i suoi mattoni rossi, la città deserta brillava alla luce del sole. Zhoseng, il malvagio Incantatore, si apprestava ormai a conquistarla con tutto il suo esercito di Troll. Indossava un’armatura fatta d’argento con incastonate delle pietre preziose, non portava l’elmo ma i suoi lunghi capelli biondi erano legati a coda, cavalcava un grande drago nero. Yinger e Pegaso erano pronti per la battaglia finale.
“Che tu possa essere maledetto Zhoseng.” Digrignò i denti la ragazza.
“Non sei una delle Streghe Nere, non puoi farmi nulla con le tue inutili parole,” sibilò il mago guardandola a lungo con i suoi occhi azzurri freddi come ghiaccio.
“Ma con la mia magia sì…” gridò Yinger in groppa a Pegaso. “Riuscirò a sconfiggerti, fosse l’ultima cosa che faccio,” ed alzò un braccio con il pugno chiuso in segno di guerra.
Intanto Aless, che li aveva sempre seguiti di nascosto, era giunto sul luogo del combattimento e si nascondeva fra i cespugli. Era preoccupato per la sua amata, stringeva, di fatti, il suo bastone, pronto ad intervenire se ce ne fosse stato bisogno.
Zhoseng sferrò il primo attacco con enorme ferocia, disarcionando subito Yinger.
Caduta a terra si rialzò a fatica. Poi creò con le mani una sfera infuocata assorbendo parte dell’energia dai quattro elementi, che li invocò:
“Aquam, Ignem, Terram, Aerem… venite a me!”
Anche Pegaso l’aiutò donandole l’ultima gemma del suo unicorno e scomparendo così del tutto.
La sfera diventò sempre più grande e investì, con immensa forza, Zhoseng, il quale riuscì però a fuggire sacrificando il suo dragone.
Ora erano l’uno di fronte all’altro, senza destrieri:
“Non ti servirà a nulla Yinger opporti alla mia magia e l’Antico Tomo sarà finalmente mio e conquisterò la città di Akyab. Il GranRegno sarà governato da me soltanto!” le disse l’Incantatore. “Sono superiore a te!” e rise maleficamente.
“Staremo a vedere!” gli rispose la ragazza, ma in cuor suo sapeva che per sconfiggerlo doveva aprire l’Antico Tomo ed evocare la magia dell’annullamento.
Fu allora che vide Aless tra i cespugli.
Guardandolo dritto negli occhi e facendogli cenno con la testa, fece apparire l’Antico Tomo e glielo lanciò.
“Apri il libro” gli gridò
“No,Yinger!” gli rispose Aless “Lo sai che non sei ancora pronta! Morirai: non sei abbastanza forte e il libro assorbirà tutta la tua energia vitale!”
“Non ti preoccupare per me! Almeno riuscirò a fermare il crudele Zhoseng e distruggerò i suoi incantesimi una volta per tutte!” continuò la ragazza
“Non farlo,Yinger!” urlò Aless con quanto fiato aveva in gola.
Ma ormai era troppo tardi, Yinger era corsa verso lui, aveva aperto il libro ed aveva evocato la magia dell’annullamento.
L’incantesimo consisteva nell’annullare tutte le proprie forze magiche e ripiegarle al proprio volere.
Zhoseng rimase sbalordito dalla tenacia della ragazza.
Così Yinger sferrò il suo attacco e lui, sopraffatto, scomparve subito bruciando tra le fiamme.
Yinger cadde a terra priva di vita, i suoi lunghi capelli si erano sciolti e giacevano sparsi per terra.
Aless le corse incontro, la strinse vigorosamente tra le sue braccia.
“Yinger cha hai fatto?” disse singhiozzando. “Come, come hai potuto lasciarmi da solo? Non posso viver senza di te! No, non è giusto era già crudele che non ti potevo avere ma almeno eri viva e sempre vicina a me e ti potevo amare !”
Alzatosi in piedi, cominciò a prendere a pugni il tronco di un albero che era lì vicino.
Il sangue ormai gli colava dalla mani piene di lividi.
“Amor mio!” pianse calde lacrime.
Poi si avvicinò al corpo senza vita di Yinger, le prese il medaglione a forma di stella ed invocò gli spiriti dei morti.
“Dono la mia vita per darla a te mio unico amore, così saremo un’ unica cosa!”
La prese tra le braccia e la baciò e ribaciò anche se piano piano andava scomparendo come gocce di rugiada.
Yinger si sollevò da terra: era tutta indolenzita. Le faceva male ovunque: le braccia, le gambe, la schiena: non aveva mai provato un simile dolore fino ad allora. Ma cosa era accaduto? Ricordava ben poco. Stava duellando contro il malvagio Zhoseng, aveva aperto l’Antico Tomo e poi buio. Era sprofondata nel buio più completo. Si guardò attorno e vide che c’era terra bruciata. Si accorse di essere completamente sola. Poi un flash: rivide gli occhi del ragazzo, di Aless. Allora, si ricordò di ogni cosa.
“Aless dove sei?” iniziò ad urlare, ma nessuno le rispondeva.
Proprio in quel momento, mentre iniziava a piangere, l’amuleto si staccò dal suo collo e fluttuò nell’aria densa di fumo. Brillò e da esso uscì come se fosse un velo dorato che luccicava in alcuni punti. Il velo prese forma di sua nonna, il suo spirito ora era così al suo cospetto.
“Yinger, cara nipote, và il tuo destino si è ormai compiuto. Raggiungi la città segreta, la città di Akyab, e riporta l’Antico Tomo per aprire finalmente le Sacre Porte della Biblioteca Segreta.”
“Nonna, Zhoseng è stato sconfitto. Che senso ha andare ad Akyab?”
“Ma tu sei l’Eletta, la Custode Sacra del libro. Come già ti ha detto Quesq, dovrai fare la tua scelta…”
“Dov’è Pegaso, il mio fedele amico?” chiese Yinger incurante delle parole di nonna Aduial.
“Pegaso ormai è libero: è diventato il principe del regno. L’incantesimo è stato sciolto.” Rispose con voce calma la nonna.
“E Aless?”
“Aless è sempre con te, piccola cara! Non ci ha pensato ed ha seguito il suo cuore, donando la sua vita per te.”
“No, no, non ci credo! Non può essere!” si rannicchiò abbracciandosi le gambe ancora indolenzite.
“Sai nonna? Per un attimo mi è sembrato di vederti, di vedere mia madre attraverso di te. Eravate due figure trasfigurate e sovrapposte. Allora, ho compreso che ero vicina per raggiungervi. Poi, non so cosa è accaduto. E’ come se una mano forte mi avesse afferrato per i capelli e riportato in superficie. Quando mi sono risvegliata ho provato subito una gran pace e avevo il viso umido di gocce di rugiada.”
“E’ sempre così quando scompare un mago: scompare in mille gocce di rugiada. E Aless era un grande mago. Il suo immenso amore per te era sincero e devoto. Adesso và ad Akyab e fa la tua scelta. Sappi che se diventerai una Sacerdotessa non potrai amare nessuno, però potrai aiutare gli altri con i tuoi immensi doni. Se invece sarai una Strega nera, potrai avere tutti gli uomini ai tuoi piedi, ma non potrai aiutare nessuno con la tua magia, anzi potrai solo fare del male e non essere mai punita per questo, perché questa è la natura delle Tredici Streghe nere.”
Lo spirito della nonna si dissolse delicatamente. Era rimasta da sola, di nuovo. Prese l’amuleto che era caduto a terra e si diresse solerte verso la città. Ormai aveva fatto la sua scelta. Giunta in città e trovata la Biblioteca, c’era ad aspettarla nella grande sala un vecchio tutto curvo, intento a leggere su un grande tomo.
“Ti stavo aspettando,” disse l’anziano con la sua voce gracchiante.
La fissò per alcuni istanti ed Yinger che si era quasi trascinata fin lì non provò nulla, nemmeno fastidio.
“Ho fatto la mia scelta,” disse la ragazza senza preamboli.
“Ebbene?” domandò il vecchio, continuando a fissarla con i suoi piccoli occhi.
“Aless mi ha insegnato che amare gli altri fino a dare la propria vita è la cosa più importante. Per questo ho deciso di rinunciare al fascino della vita delle Tredici Streghe Nere per diventare Sacerdotessa al Tempio di Ayon.”
“Sai cosa ti aspetta? Non potrai mai congiungerti ad alcuno, né potrai innamorarti. Aiuterai i fedeli che accorrono al Tempio e riceverai i loro doni materiali, ma sarà solo una ricchezza fisica non spirituale. E’ il terribile castigo che fu lanciato alle Sacerdotesse anni or sono. In pratica non avrai nulla, se non la capacità di guarire e di aiutare i tuoi fedeli. Una vita di rinunce.”
Yinger annuì con le lacrime agli occhi.
“So che mi aspetta una vita dura, ma l’accetto.”
Il vecchio bibliotecario esclamò: “Un bell’atto di coraggio!”
Si alzò dalla sedia fino a dove era stato seduto e lentamente si mosse verso la ragazza: “Và ora! Apri le Sacre porte della Biblioteca Segreta ti condurranno verso la tua scelta.
Yinger posò il tomo sullo scaffale dove gli indicava il vecchio e gli scaffali si aprirono rivelando una porta segreta. C’erano delle scale strette e buie. Iniziò a scenderle da sola. Una luce l’avvolse.
“Da oggi in poi sarai sacerdotessa del Tempio di Ayon, ti sarà donato ogni potere, ma non servirà per guarirti. Tra questi poteri quello del Tempo, potrai viaggiare e se vuoi fermarlo, ma quando lo fermerai invecchierai un pochino.”
La voce scomparve ed Yinger si ritrovò rivestita da una lunga veste smeraldo.
Da quel giorno, rimase quasi fedele al suo ruolo di sacerdotessa, anche se molti che visitavano il Tempio, rimanevano esterrefatti nel vederla sempre più vecchia.
Infatti Yinger, di tanto in tanto, vagava nel Tempo per poter rivedere il suo amato Aless.
LA CASA DEI MISTERI di Samuela Zella (Corso bambini – Primo Livello)
LA CASA DEI MISTERI di Samuela Zella
Corso bambini – Primo Livello
N°534
Faceva freddo. Il mio pickup arrugginito camminava cigolando fra le siepi di una buia strada. Guidavo,pensando a quando sarei tornata a casa;casa dolce casa!Poi,il rombo della macchina si arrestò di colpo:avevo finito la benzina!Mi guardai intorno:mancavano circa 20 km da casa. Pensai di chiamare mia sorella e di farmi venire a prendere:presi il cellulare,mantenendo una finta calma e provai a chiamarla. La fortuna volle che non ci fosse campo. Mi rimaneva soltanto di citofonare e chiedere di usare il telefono. Alla mia destra notai una casa antica,a tre piani,con una luce rossa accesa e l’ombra di qualcuno. All’esterno c’era un albero di carrube. L’edera aveva coperto ogni traccia dell’abitazione,diventata un polmone verde. Il portone era di un legno rossiccio alla cui sommità c’era un leone,quasi avesse il compito di proteggere la palazzina. La figura che avevo visto prima mi diede la certezza di trovare qualcuno in casa e mi spinse a suonare il campanello. Mi venne ad aprire una ragazza bellissima,con una voce ammaliante,che mi chiese cosa volessi. Aveva i capelli neri e lisci,e gli occhi grandi e celesti. Le sue labbra,piccole ma carnose,erano di un rosso fuoco. Mi disse di accomodarmi. Entrai,imbarazzata,nell’atrio,e poi,ella mi condusse nel salone,una stanza dalle pareti di un giallo girasole,un caminetto che ardeva,un tavolo di ottone su cui c’era un vaso pieno di fiori. Era così accogliente! Mi voltai per chiederle dove fosse il telefono,ma la ragazza era scomparsa. Allora mi riguardai intorno:i fiori che prima erano di un fucsia acceso stavano appassendo,lentamente. La bellezza di quel salotto venne rovinata da questo macabro particolare che mi mise una certa inquietudine. Decisi che era il momento di andarmene,e mi avviai con decisione verso la porta. La spalancai e uscii,a testa bassa. Quando rialzai lo sguardo mi resi conto di non essere per strada. La stanza era di un rosa confetto,sovrastata da un grande carillon. I cavalli si muovevano,lentamente,dall’alto verso il basso. Su uno di essi era seduto un pagliaccio,tutto bianco con la bocca rossa. Mi invitò a salire sulla giostra. Aveva i capelli ricci e arancioni e il naso rosso fuoco. Sorrideva e aveva l’aria di divertirsi. Per un attimo mi sentii di nuovo bambina e salii su uno di quei cavallucci senza pensarci due volte. La canzone di sottofondo era romantica,dolce allegra. Guardavo il pagliaccio e ci ridevamo,quando,nel suo sorriso,notai una smorfia. Una smorfia che mi faceva paura.
Le note della canzone cambiarono. L’angoscia cresceva in me. Quando sentii piovere. Mi stavo bagnando. Per un attimo chiusi gli occhi e cercai di dimenticare tutto. Mi convinsi che fosse un sogno. Che tutto sarebbe finito,da un momento all’altro. Riaprii gli occhi ed ero ancora lì,tutta bagnata. Bagnata di rosso. Colava lentamente sul mio corpo,lentamente,quasi a farlo apposta. Alzai la testa:nero. E mi accorsi,lentamente che scendevo sempre più,nel baratro di quell’inferno. Il mio cavalluccio andava giù,e il pagliaccio mi salutava con il sorriso che prima mi aveva reso felice. Aggrappata al mio fidato cavalluccio,andavo sempre più giù. Tutto era buio. Arrivammo a terra. Appoggiai i piedi. Mi sentivo circondata. Voci mi sussurravano. Mi dicevano:-non ti fidare,Bella. Vieni con noi. Lasciati andare … – Poi un grido investì la stanza. Era un grido femminile. Cominciai a correre,in cerca di qualcuno o di qualcosa. Fino a quando mi ritrovai a casa mia:i miei genitori erano seduti intorno al tavolo. Il divano era al suo posto,la cucina anche. E il vaso di fiori si trovava anch’esso sul centrino ricamato da mia madre al centro del tavolo. Mi sentii sollevata,ma forse per la sorpresa,rimasi sull’uscio. Sorridevano. Poi,il pavimento cominciò ad abbassarsi soltanto per la porzione in cui erano seduti i miei genitori,che mi salutavano sorridenti. Una lacrima solcò il viso di mia madre,mentre lentamente scompariva davanti ai miei occhi. Ed in quel momento la soluzione mi sembrava ovvia. Tutti i conti tornavano e tutto mi apparve chiaro . Ogni cosa era al posto giusto. E mi parve ridicolo,in quel momento di disperazione,che anche quel fiore nel vaso stava lentamente appassendo. E chissà,forse,anche io stavo appassendo. La mia anima era lacerata da quel lugubre incubo. Le pareti diventarono lentamente nere. Tutto diventò nero. Ma non avevo più paura. Ormai non poteva spaventarmi più nulla. Ero troppo stanca. Camminai a passo veloce e aprii il cassetto della cucina. La vidi brillare e risplendere. La presi e l’ analizzai lentamente.Com’era bella. Se fossi stata al suo posto … sarei stata solo un mezzo,uno strumento. Parte della recita. Avrei potuto guardare con oggettività la faccenda. Avrei avuto il compito di porre fine a quell’incubo. Avrei avuto la parte della buona. Avrei spezzato le catene di chi era costretto a rimanere lì,in quella casa maledetta. Ma ormai era troppo tardi. Con una spudorata facilità premetti il grilletto.
N°535
Faceva freddo. La mia nuova e brillante Mercedes spiccava fra le siepi di quella strada. Guidavo,pensando a quando sarei tornata a casa,dove mi aspettavano mia moglie ed i miei due figli. Poi,la macchina si fermò,silenziosamente:avevo forato una ruota!Mi guardai intorno:mancavano 400 km per arrivare a destinazione. Pensai di chiamare il soccorso stradale e di farmi venire a prendere:presi il mio smartphone,mantenendo una finta calma e provai a chiamare. La fortuna volle che non ci fosse campo. Mi rimaneva soltanto di citofonare e chiedere di usare il telefono.
La spada blu di Robin McKinley
La madre e il padre di Harry Crewe sono morti, e suo fratello Richard, giovane militare di stanza al confine nordorientale del Damar, trova per lei una sistemazione presso due nobili signori, che si prendono cura di lei come una figlia. La regione desertica nella quale si stabilisce, odiata dai suoi abitanti per le difficili condizioni climatiche, esercita invece sulla ragazza un fascino misterioso e inspiegabile. Ma è una terra su cui incombe la minaccia di una guerra: le popolazioni del Nord vogliono spazzar via il Popolo delle Colline. Nel timore di non poter affrontare il nemico, Corlath, sovrano delle Colline, portatore di un Dono magico tramandato dai suoi antenati, chiede aiuto alla gente di Harry; l’incontro fortuito con lei risveglia in quel re dallo sguardo misterioso un’urgenza che lui stesso non sa spiegarsi, e che lo induce a rapirla e portarla via con sé. Harry scopre così una cultura che segue i ritmi naturali, e si lega al re come nessun’altra donna era riuscita a fare prima; viene addestrata come un guerriero e ben presto ne diventa uno dei migliori in grado di domare la leggendaria Spada Blu. E mentre la guerra si profila all’orizzonte, Harry rischierà la sua vita in una missione audace che le è stato proibito intraprendere e che la porterà molto lontano.
Vacanze sulla neve di Paola Mutti (Primo Livello – Ragazzi)
Vacanze sulla neve di Paola Mutti. Primo Livello – Ragazzi
Un autobus un po’ ammaccato spuntò da dietro l’angolo e si fermò davanti ad una semplice pensilina blu per far scendere cinque persone, poi ripartì scoppiettando.
-Ma è meraviglioso! Che spettacolo! Evviva le piste da sci, evviva! Chissà qual è la casa del nonno di David, sono proprio curiosa – disse Jane, guardando divertita l’amico.
– Secondo me è quella laggiù! – rispose Becky indicando con il dito un grande hotel di lusso, poco più in là.
– Allora il nonno di David dev’essere ricco sfondato! – esclamarono in coro le tre ragazze.
– Ah, ma quale state guardando? – disse l’amico prendendo il braccio di Becky e spostandoglielo verso la parte opposta – è quella là -. Quello che stava indicando non era altro che un puntino scuro in lontananza.
– Forza, muoviamoci, se arriviamo in ritardo mio nonno ci sgriderà -. I ragazzi s’incamminarono nella neve fresca e intatta, splendente sotto la luce accecante del sole. Faceva freddo, ma niente poteva far distogliere gli sguardi dei ragazzi da quello spettacolo.
La tentazione di correre, giocare e tirare palle di neve divenne irresistibile. Così, gli amici si fermarono e, tra una palla e l’altra, non si accorsero del tempo che passava. Il cielo cominciò a scurirsi lentamente e una fitta nebbiolina iniziava ad invadere l’ambiente.
– Oh no, è tardissimo! Se non arriviamo presto, mio nonno ci sgriderà. – David e suoi amici ripartirono sulla neve; l’aria si faceva più pesante e quando arrivarono c’era già buio.
La casa era di legno, bassa e molto larga, assomigliava in parte ad una baita ed in parte ad un tempio giapponese. All’improvviso, mentre si avvicinavano, una luce venne accesa al piano terra e la porta si spalancò: – Vi avevo ordinato di arrivare prima che facesse buio, non è così? Pentitevi! –. Quello che uscì era il nonno di David, ovviamente, e la sua faccia non prometteva niente di buono. Le numerose rughe che gli segnavano il volto gli conferivano un’aria autorevole e severa. Sotto le spesse lenti degli occhiali rotondi aveva un paio di occhi azzurri talmente chiari e penetranti da trafiggere chiunque li guardasse. Era un po’ impacciato nel camminare ed era, chiaramente, molto arrabbiato e spazientito.
– Scusaci, nonno. Abbiamo perso la cognizione del tempo, sai com’è… – rispose David, in cerca di una buona scusa, ma evidentemente non era facile acquietare il nonno.
– Questo perché non avete disciplina! – gli rispose lui ancora una volta. –Come punizione, ora pulirete il balcone! –
“Che cosa?! Non è giusto!” pensarono tutti contemporaneamente.
Il balcone, anch’esso di legno, correva lungo tutto il perimetro della casa.
– Questo balcone è immenso! Ci vorrà una vita per pulirlo! – gemette Becky a bassa voce. Nessuno aveva visto andar via il nonno e tutti saltarono dalla paura quando la sua voce ruppe il silenzio, dietro di loro. – SBRIGATEVI! Pulitelo pezzo per pezzo. Niente è impossibile se vi date da fare tutti insieme.- Diede loro un secchio d’acqua, delle scope e qualche straccio, poi sparì in casa, a bere una tazza di tè caldo.
Dopo un attimo di esitazione, gli amici si misero al lavoro senza commentare.
Il tempo sembrava rallentare e i ragazzi si rianimarono dallo stato comatoso in cui erano caduti solo quando David parlò: – Cosa ne dite di fare una gara intorno al balcone mentre puliamo? Solo con gli stracci; il primo che fa due giri completi vince! Prontiii… Via! – E così dicendo, riprese lo strofinaccio che aveva lasciato poco prima per riposarsi, lo poggiò a terra e, poggiate le mani sopra di esso, partì in avanti; i suoi amici non tardarono a seguirlo. Jane, Becky e Christopher si fermarono al primo giro, già senza fiato, e aspettarono gli altri due al traguardo prefissato. Dopo poco spuntarono Samantha e David, che sfrecciavano a tutta velocità. A vincere fu la prima, perché l’amico era scivolato poco prima di arrivare al traguardo.
–Ho vintoo!- urlò lei, tutta rossa in faccia, facendo una linguaccia all’amico.
– Non dovevate divertirvi! Pentitevi!! – Inutile dire che i presenti trasalirono e si ammutolirono al suono di quella voce.
– Non l’avete neanche pulito bene, il balcone! Ora, come seconda punizione, preparerete voi la cena. E badate bene: vi terrò d’occhio! -. Jane stava per ribattere ma un’occhiata di Christopher bastò a zittirla. Quella seconda punizione fu la peggiore: nessuno, a parte Samantha, sapeva cucinare. Così lei si ritrovò a spostarsi da una parte all’altra a dare istruzioni, ma non fu affatto semplice. Dopo quasi due ore riuscirono a portare sulla tavola sei piatti di riso troppo cotto, una vaschetta d’insalata, una ciotola di pomodori (quasi tutti interi) e delle bruschette bruciacchiate con salse che non avevano ne un buon colore ne un buon odore. Anche se il cibo non era squisito, i ragazzi divorarono tutto perché erano molto affamati. Nessuno parlò e, finita la cena, il nonno si limitò ad indicare loro le stanze che avrebbero occupato mentre alloggiavano in quella casa.
Durante la vacanza gli amici si divertirono molto sulla neve e ogni sera badavano bene a tornare prima che facesse buio. Anche se le cene erano sempre a base di zuppe dagli odori intensi (a volte sembravano quasi malsani), nessuno si azzardò ad aprire la bocca se non per mangiare. Il vecchio, però, non aveva affatto dimenticato il risultato della pulitura del balcone e tutti i giorni assegnava loro dei lavoretti di pulizia da svolgere. Così, presto gli amici impararono ad organizzarsi, dividendosi le mansioni e riuscendo ad accontentarlo.
L’ultima sera arrivò in fretta e così anche la fine della vacanza. Mentre i nostri ragazzi entravano in cucina, i sorrisi che non avevano mai lasciato i loro volti per tutta la giornata, si attenuarono di colpo. In quel periodo avevano infatti imparato che, in presenza del nonno, si doveva essere educati, stare in silenzio e sorridere poco. Ma quella sera le cinque figure si bloccarono sulla porta, incerte sul da farsi e convinte di avere qualche strana allucinazione. Davanti a loro si ergeva una tavola già apparecchiata e su ogni piatto giaceva un trancio di pizza contornato da patatine fritte. Ad aspettarli, inoltre, c’erano salse di tutti i tipi, verdure, salumi, pane e due bottiglie di coca-cola.
– Entrate! Cosa ci fate lì impalati? Muovetevi. – Loro, non dimentichi delle buone maniere, entrarono e si sedettero. Il nonno non disse altro e, come sempre, nessuno si azzardò a chiedere alcunché. Mai fare domande: questa era un’altra delle regole per vivere in pace, con lui.
Tutti mangiarono con gusto e si stupirono ulteriormente quando, alla fine, venne tirata fuori persino una torta.
– Vi ho tenuto d’occhio in questi giorni. Avete imparato la lezione e insieme siete riusciti a fare tutto ciò che vi ho chiesto. Ora mi è sembrato che meritaste una piccola ricompensa.
Poi, vedendo che i ragazzi erano sul punto di esultare, tornò severo e aggiunse – Ma non dimenticatevi di ciò che avete imparato, o avrò faticato tanto per niente!-
Mentre suo nipote, Samantha, Jane, Becky e Christopher uscivano di casa per l’ultima volta, diretti alla fermata dell’autobus, il nonno tornò a sedersi sulla poltrona, con una tazza di tè in mano e le labbra distese in un sorriso.
E un’altra cosa… di Eoin Colfer
Arthur Dent (il leggendario protagonista della Guida galattica per autostoppisti) ha ormai viaggiato in lungo e in largo per tutto lo spazio, quello conosciuto e quello sconosciuto. E – come c’era da aspettarsi – non è riuscito nemmeno lontanamente ad afferrare il senso della vita, dell’universo e di tutto il resto. Ma ora Arthur ha fatto ritorno sulla Terra e spera di potersi finalmente sorbire una buona tazza di tè. La sua speranza però si rivela destinata a evaporare insieme agli oceani terrestri, perché il suo pianeta sta per saltare per aria, un’altra volta…
Moony Witcher affiancherà Paola Boni nell’Amon Tour di Firenze
Prossimo appuntamente dove incontrare Moony?