CAPITOLO II
Commissario e ispettore attendevano nell’atrio della stazione locale dei Vigili Urbani, adibito ad hoc per la mattinata in occasione della presenza del magistrato. Avevano già percorso in lungo e in largo il borgo, avevano preso un caffè al bar, avevano ascoltato i commenti, avevano colto dubbi, sospetti e insinuazioni, ma nulla era emerso. Melissano era sempre più deciso a chiedere un mandato per interrogare i sospettati e perquisire l’abitazione del defunto. Aldo Frontini, dottore in economia e commercio, era amministratore dello stabilimento termale da alcuni mesi, indicativamente dal dicembre dell’anno precedente, data in cui aveva preso in affitto prima un ampio appartamento in palazzo Tamborrino e poi, da marzo, l’intera villa Sticchi. Gli affari andavano bene, lo stabilimento era ripartito grazie alla sua abile mano e, a quanto aveva detto Riboni, era destinato a raggiungere l’apice del successo grazie a delle novità di cui l’amministratore non aveva messo nessuno a parte. L’uomo, sulla quarantina, era molto ammirato a Santa Cesarea. Si ventilava addirittura una cittadinanza onoraria per aver dato lavoro a tanti giovani alla terme ormai in ripresa nonché una possibile candidatura a sindaco. Ma si sa: ogni morto è destinato a diventare leggenda. Questo Melissano lo sapeva, motivo per cui aveva preso con le pinze queste ultime informazioni e scartato tutte le restanti sorbite durante le prime ricerche.
Il dottor Marangi si fece attendere più di mezz’ora: Melissano aveva ormai tracciato un solco camminando avanti e indietro fra l’ingresso del Municipio e l’ufficio dei Vigili Urbani, impaziente e scocciato, pur consapevole che nessuna rimostranza sarebbe stata concessa. Anna stava seduta in un angolo a riguardare appunti e foto scattate con la piccola macchina digitale la mattina stessa ad uso interno, ricollegava volti e affermazioni e annotava in un angolo del foglio i dubbi, talvolta cancellando con forza, talvolta scrivendo frenetica. Melissano distratto ogni tanto la guardava, interrogativo sull’operato della giovane ispettrice che gli avevano affiancato al suo arrivo. “Due nuovi su quattro dell’intero commissariato, una follia”, continuava a ripetersi. Se poi si soffermava a pensare che quelli del luogo erano il poliziotto di guardiola, Rocco Nalli, e l’autista, Nicola Renzi, beh: non rimaneva che mettersi le mani nei capelli. Due bravi giovani, intendiamoci. Ma non certo “preparati” secondo i criteri che il commissario aveva in testa. E questo caso sarebbe stata la prova del nove, la prima grossa indagine che gli capitava per le mani da quando aveva chiesto il trasferimento. Nativo di Leuca, Oronzo Melissano aveva voluto con questo assecondare le ultime volontà della madre, che voleva trascorrere gli ultimi anni di vita nella terra natia dopo tanti anni vissuti “al Nord”, come sottolineava lei, in cerca di lavoro e fortuna. Il trasferimento era arrivato, ma lei l’aveva anticipato: la notizia era arrivata a pochi giorni dal funerale e l’unica cosa che Melissano aveva potuto fare era stata accompagnarla con valigie al seguito lungo il suo ultimo lungo viaggio, seppellendola nel piccolo cimitero della città natia, vicino al tanto amato mare. Il padre era già morto da tempo, il fratello Sandro era da molto lontano, in Congo, per perseguire la sua vocazione: la medicina. Dentro di sé Oronzo lo considerava egoista, ma mai si sarebbe permesso di dire ad alta voce alla madre quello che per lei era motivo d’orgoglio: un figlio che parte per assistere il prossimo come una missione. “Abbandonando la sua famiglia”, aggiungeva nella testa il commissario. Ma mai nulla di ciò trapelò coi genitori. Non c’era altra famiglia per l’uomo: la sua compagna di una vita l’aveva abbandonato cinque anni prima, insoddisfatta di una quotidianità fatta di turni e di attese, e da allora Melissano si era chiuso in se stesso, curando la madre e non desiderando di passare i suoi cinquant’anni in altro modo se non lavorando. Non che non avesse idee, naturalmente. Sognava un villa in riva al mare, sognava montagne di libri da leggere e di vecchi film da condividere, sognava di uscire a pesca la mattina presto, sognava la fragranza del pesce fresco appena pescato e cucinato da mani esperte che si sciogliesse sotto il palato. Ma col tempo aveva imparato a considerare tutto questo solo per quello che è: sogni, solo ed unicamente sogni. Si era quindi trasferito senza grandi aspettative e con la sensazione di vuoto che ormai gli colmava il cuore ad Otranto, in un piccolo monolocale nella zona del porto da cui vedeva il mare e in cui respirava nostalgia. Andava a piedi al lavoro e con esso riempiva le sue giornate. Non andava a pesca, non cercava una donna che gli riempisse la vita. Si era convinto di bastare a se stesso. E questo gli bastava.
Finalmente il magistrato si fece vivo. “Eccomi, Melissano! Spero che ci siano novità. Si sbrighi che devo tornare poi a Lecce di corsa, che c’è stato l’ennesimo ferito durante una rapina e… Beh, non dilunghiamoci. Ha risolto, spero. Chiudiamo con suicidio, dunque?”, fece Marangi, accomodato dietro la scrivania e già pronto a scrivere. “No, dottore. Ho bisogno di un mandato. Devo interrogare.” Melissano non aggiunse altro. Marangi sbuffò. “Melissano, mi ha deluso. Cosa vi insegnano al Nord… a Lodi, giusto? Le ho chiesto discrezione e lei vuole interrogare, frugare. Come la mettiamo?” “Mi serve un mandato”, fece il commissario imperterrito. Il magistrato ci pensò su, sapeva che con quella testa dura non ci avrebbe cavato un ragno da un buco. “E va bene! Va bene! Glielo farò avere entro un’ora. Ma si sbrighi, Melissano. Si sbrighi!” Il commissario se ne stava già andando quando Marangi gli gridò dietro “E sia discreto!”. Il commissario sorrise fra sé e con un gesto si tirò dietro Anna: “Andiamo, c’è del lavoro da fare. Non possiamo perdere tempo.”
Renzi li aspettava fuori, già in auto. “Dove andiamo, dotto’?” “Dalla signora Nina Cova”, ma improvvisamente si rese conto che ignorava l’indirizzo. “Via Roma, 53. Verso Otranto”, fece Anna. Ancora una volta Melissano rimase stupito. “Fai come dice”, ribadì a Renzi che partì in quarta (per quanto la vecchia Alfa in dotazione alla Polizia di Stato permettesse). Giunsero in pochi istanti dinnanzi all’abitazione. Una lunga schiera di appartamenti disposti su due piani in un caseggiato bianco dai balconi azzurri, molti dei quali chiusi verosimilmente perché di proprietà di turisti, si dipanavano lungo la strada. Solo uno, in centro, aveva le persiane aperte, mentre appeso alla ringhiera del balcone faceva bella mostra di sé la scritta: vendesi. Si avvicinarono al campanello e proprio da quel balcone si affacciò una donna, visibilmente accaldata e con la vestaglia a fiorelloni un poco aperta sul davanti. Avrà avuto sì e no quarantacinque anni, i capelli ancora scuri erano raccolti dietro la nuca in uno chignogn morbido da cui sfuggivano parecchie ciocche. Melissano cercò dentro di sé tutta la discrezione che Marangi chiedeva e l’apostrofò: “Signora, siamo della Polizia. Possiamo entrare? Dovremmo farle due domande.” Sapeva di essere dalla parte del torto, non aveva ancora in mano il tanto agognato mandato, ma di tempo da perdere il commissario non ne aveva proprio: decise di tentare la sorte. E gli andò bene. Dopo qualche secondo da che la donna era rientrata, il portone d’ingresso scattò con un clac sordo. I poliziotti entrarono e fecero rapidi gli scalini che li separavano dal rumore della porta d’ingresso che si stava aprendo. “Prego”, fece la donna. Si accomodarono nell’ampio salone. “Signora, buongiorno. Sono il commissario Oronzo Melissano e questi sono l’ispettore Anna De Rosa e l’agente Nicola Renzi. Siamo venuti per scambiare due chiacchiere con lei. E’ morta una persona stamane qui in paese, lo sapeva?” “Sì, mio marito mi ha avvertita.” “Ci è giunta voce che lei conoscesse bene Aldo Frontini, è così?” Nina si fece scura in volto, “Chi è la vipera che vi ha detto questo?”, lasciando trasparire più di quanto fosse necessario sapere. “Non si scaldi signora. Non è importante chi. Ce lo conferma?” “Sì. Lo conoscevo bene. Ma era parecchio che non lo incontravo.” “C’era una storia fra di voi?”, Melissano era così: per quanto si sforzasse, non riusciva a girare troppo a lungo intorno alle cose. “Come si permette? Appena mio marito lo verrà a sapere…” “Signora De Bellis, ripeto, non si scaldi. Suo marito saprà tutto a tempo debito. Proviamo di nuovo: avevate una relazione?” La donna si lasciò andare sul divano, a poca distanza il tappeto era ingombro di valige e bauli, probabilmente in vista dell’imminente trasloco. De Rosa si guardò intorno, intenta a cogliere ogni dettaglio che potesse far supporre una fuga anticipata, ma i mobili ancora stracarichi dei beni della coppia lasciavano intendere la necessità di ancora giorni di preparativi, pianificati con cura da una padrona di casa esperta che non volesse lasciare nulla dietro di sé alla partenza, dicerie comprese. Nina riprese: “Vi prego, lasciate fuori mio marito. Sì, avevamo una relazione. E’ durata pochi mesi, più o meno fino a giugno. Poi è finito tutto com’era cominciato. Io all’inizio ci avevo creduto: pensavo davvero che, nonostante fossi più vecchia di lui, volesse qualcosa per noi. Qualcosa che mi strappasse alla quotidianità di questa vita monotona a cui mio marito mi costringe da ormai quindici anni. E invece nulla. Un bel giorno mi dice che è finita. Non l’ho mai visto con un’altra, ma sospetto avesse altri progetti. Mi ha umiliata, quel bastardo.” Una lacrima le rigò il viso. “L’avrei ammazzato io, allora. A quei tempi ero diventata spudorata, disinteressata quasi al fatto che Livio, mio marito, se ne accorgesse. Ma tutto è finito prima che la mia famiglia si distruggesse completamente. Livio non aveva intuito nulla, o così mi sembrava. Non lo diede mai a vedere.” Anna mise una mano sulla spalla della donna, “Dov’era ieri sera, Nina? E’ importante.” “Ero a cena al Villino, dietro a palazzo Sticchi. Stavo salutando le poche amiche di qui. Sa, prima della partenza. Una cena.” “Fino a che ora è rimasta lì?” “Fino a mezzanotte circa. La cena era prenotata per le venti. Eravamo puntuali, i camerieri potranno confermare.” “Va bene”, interruppe il commissario. “Per noi basta così. Resti disponibile nelle prossime ore, signora. Potremmo aver ancora bisogno di lei. Buona giornata.” Ma la Cova aveva ancora qualcosa di dire. Gli si aggrappò alla manica della giacca impedendo a Melissano di allontanarsi: “Vi prego, vi prego! Mio marito… non dite nulla!” “Non posso assicurarle niente, signora. Qui c’è un morto in ballo. Dobbiamo indagare. Arrivederci.” La donna lasciò la presa e, mesta, li accompagnò alla porta, “Arrivederci” E richiuse alle loro spalle.