CAPITOLO III
Tutti e tre si riaccomodarono in macchina, recuperandola dal parcheggio assolato d’innanzi all’abitazione dei De Bellis. “Cosa ne pensate?”, il commissario voleva condividere coi suoi le prime impressioni. “Solita storia di cornuti.”, fece Renzi. Se sulle prime poteva sembrare così, Melissano non era convinto. “De Rosa?” “Troppo semplice. Il marito della Cova di sicuro sa qualcosa. Ma che senso avrebbe uccidere l’amante dopo tanti mesi? E soprattutto, proprio in procinto della partenza?”, Anna rifletteva. “Già. Potremmo forse sapere qualcosa di più dal medico, se solo quel maledetto mandato…” Proprio in quell’istante il telefono del commissario suonò: qualcuno dall’altra parte annunciava che il fax del mandato era arrivato proprio in quel momento in Municipio. Fecero un salto a recuperarlo e poi si mossero decisi verso lo stabilimento termale, in cerca di De Bellis. Melissano e De Rosa scesero, a Renzi toccò il compito di andare a verificare gli alibi. Si sarebbero rincontrati alle tredici per fare il punto al ristorante proprio davanti al Municipio, La Torre. Nicola partì sgommando, i due invece entrarono. Era tutto molto simile ad un ospedale: accettazione, farmacia, sale visita e ambulatori per le cure. Fra i cartelli individuarono immediatamente quello che indicava lo studio medico: Dott. De Bellis, direttore sanitario. Lo raggiunsero e Melissano bussò deciso: stavolta aveva il mandato e nulla l’avrebbe fermato. “Sì? Avanti!”, dall’interno. Spinsero la porta e si trovarono d’innanzi un uomo in camice bianco che alla loro vista depose sul petto gli occhiali a mezzaluna che teneva appoggiati sul naso. “Vi aspettavo”, fece De Bellis, alzandosi senza complimenti. “Dottore. Commissario Melissano. Ispettrice De Rosa. Saprà già tutto dei fatti.” “Sì, sono stato informato.” “Ora vorrei chiederle: che rapporti c’erano fra lei e il suo superiore’” “Accomodatevi”, con un gesto verso le sedie dinnanzi alla scrivania. Al commissario il dottore non piaceva: aveva fatto di tutto fin dall’inizio come a mettersi un passo avanti a loro. Questo di riceverli come ospiti era l’ennesimo sgarbo, che al commissario non andava giù per nulla, facendo salire vertiginosamente alle stelle i suoi sospetti verso uno degli indiziati. “Era il direttore delle terme in cui lavoro. Era il mio datore di lavoro, non certo superiore a nessuno. Non lo ammiravo, se volete saperlo.” “L’ha visto negli ultimi giorni? Qualcosa le fa pensare che volesse togliersi la vita?” L’affermazione prese De Bellis in contropiede. “Togliersi la vita? Quel vanaglorioso? No, certo. O forse, che ne so. Non mi faceva certo confidenze. Magari sì. Anzi, quasi sicuramente era molto stressato.” Questo improvviso cambio di rotta del medico insospettì ulteriormente i poliziotti, che tuttavia si tennero per sé i commenti. “Quando l’ha visto l’ultima volta?”, chiese De Rosa. “Ieri sera. L’ho raggiunto alle terme per la firma delle mie dimissioni. Sa, siamo in partenza per Viterbo. Mia moglie ed io, s’intende. Mi ha detto che avrebbe firmato stamane. Ha firmato Riboni – mostrando il foglio. Poi mi sono recato a fare quattro passi lungo il mare, in attesa che mia moglie rincasasse.” “Riboni aveva qualche motivo di invidia, secondo lei?” “Beh, sì, di sicuro.”, ci pensò su De Bellis. “Quando Frontini è arrivato ha soffiato il posto di amministratore delegato a Riboni, che per anzianità avrebbe dovuto occuparsi in primis dello stabilimento. Io se fossi in voi gli farei due domandine.” Ancora. “Che facesse il suo di mestiere”, fece fra sé e sé Melissano. Ma ad alta voce aggiunse: “Che rapporti intercorrevano fra Frontini e sua moglie?” De Bellis si irrigidì. Tombola! Melissano aveva puntato il massimo. E forse stava per vincere. “Si conoscevano – disse De Bellis. Siamo usciti a cena insieme qualche volta, forse.”, ma ormai il grosso era fatto. Il medico era impietrito sulla sedia, si vedeva che qualcosa non andava. De Rosa stava per chiedere altro, ma il commissario la trattenne: “Bene, siamo soddisfatti. Rimanga a disposizione per le prossime ventiquattrore, poi, salvo controindicazioni, sarà libero di muoversi. Arrivederci, Dottore.” “Addio commissario. Ispettore.” I poliziotti fecero due passi verso l’uscita, ma Anna si voltò. “Mi scusi ancora una cosa, dottore.” Melissano la fulminò: se aveva deciso di andarsene, così doveva essere. Lei fece per ignorarlo e continuò. “Dove possiamo trovare lo studio di Aldo Frontini, qui allo stabilimento?” “Non lavorava qui – rispose il medico. Da quando aveva affittato il palazzo qui sopra si era creato uno spazio e teneva tutto a casa. Era un maniaco dell’ordine. Non voleva che nessuno gli toccasse la sua roba.” “Va bene, grazie.”, e si congedarono definitivamente. Melissano era contrariato dall’ultima uscita della collega, ma sapeva dentro di sé che aveva ragione: sarebbe stato fondamentale perlustrare lo studio. Si avviarono all’uscita e poi su verso il ristorante dove era previsto l’incontro con Renzi. Fecero la strada in silenzio: il clima era afoso, soffiava Tramontana e i morsi della fame cominciavano a farsi sentire. Erano in ritardo di dieci minuti. Allungarono il passo e raggiunsero La Torre.