CAPITOLO VII
“Commissario? De Rosa sono!”
“De Rosa. Dimmi. Scoperto qualcosa?”
“Dev’essere caduto dalla balconata!”
“Ma cosa stai dicendo?”
“C’è una balconata proprio a lato della piscina, saranno sì e no otto metri. Qualcuno deve averlo spinto giù!” Melissano tirò un’altra boccata dall’ennesima sigaretta con cui spezzava l’interrogatorio del dottore. Da cui, fra l’altro, non aveva cavato nulla, almeno fino ad ora.
“Va bene, De Rosa. E della Barbieri? Che mi dici?”
Anna ragguagliò alla meglio il superiore che, ascoltati i fatti, le disse di tornare in sede e riattaccò. Spense la sigaretta sotto il tacco della scarpa e rientrò. Era ormai quasi mezzogiorno. De Bellis non aveva ceduto, nonostante l’invito dell’avvocato stesso a patteggiare. Il medico continuava ad ammettere di aver fatto visita all’amministratore in piscina. Raccontò di uno scambio infelice di battute. Confessò lo sputo, confessò che avrebbe voluto vederlo morto per quanto aveva fatto con la moglie. Quindi sapeva. Ma altrettanto disse di non essere andato fino in fondo e, quando aveva lasciato il Frontini, il bastardo era ancora vivo. Non c’era ritegno nelle sue parole: si vedeva che l’odiava. Melissano insisteva, ma dall’altra parte nulla. Il commissario decise di ritirarsi nel suo studio a rivedere le carte. Richiamò Marangi e lo aggiornò sulla situazione. Il magistrato parve sollevato, più per il fatto che la cosa pareva conclusa che non per l’abilità dei suoi nel condurre il gioco. Erano ormai le diciassette quando la telefonata cessò. Il commissario si stiracchiò guardando l’orologio e decise di tornare a casa. De Bellis sarebbe rimasto in fermo fino a lunedì, fermo che sarebbe stato convalidato in arresto non appena Marangi avesse mandato un ennesimo maledettissimo foglio. Melissano salutò e, perso nei suoi pensieri, ritornò all’abitazione camminando sul lungomare nel tramonto.
CAPITOLO VIII
Domenica. Il sole era ben lungi dal sorgere che Melissano si rigirava già da ore nel letto, insonne e incapace di decidere ad alzarsi. Alla fine la sveglia suonò: le sette. Le diede un pugno secco per farla tacere e si mise seduto. Da quando era giunto ad Otranto non c’era stata notte in cui aveva dormito sereno, ma di così ne aveva trascorse davvero poche. Si alzò, si fermò al solito bar per far colazione e si soffermò ad aspirare a fondo il profumo del mare misto a quello di caffè e brioches appena sfornate proveniente dalla caffetteria. Fu lì che decise per qualcosa di alternativo: tornò indietro fino a casa, estrasse la piccola chiave del box che fungeva anche da rimessaggio per la barca del vicino che era pescatore ed, entrato, ne riemerse spingendo una vecchia vespa impolverata. L’aveva lasciata lì prima di partire, in affido a cugini che, appena vistolo tornare a casa, avevano proposto la restituzione. Melissano la spazzolò amorevolmente con la mano: destriero di infinite scorrerie con gli amici d’adolescenza, il motore, seppur tossendo, rispose immediatamente all’iniezione di benzina. L’uomo vi saltò a cavallo e via, lungo la costiera che aveva percorso con i colleghi solo un paio di giorni prima, giù, verso Leuca, verso casa. Attraversò Santa Cesarea, ignorando volontariamente il pensiero dell’omicidio, o almeno cercando di farlo. Trattenne tutti i profumi e i colori quasi autunnali che riuscì a imprigionare: mare, alberi, terra, fiori, mercato e poi ancora mare, mare, mare. Il vento gli scompigliava i capelli ormai grigi, gli si insinuava fra i peli della barba di due giorni facendolo sentire vivo. Vivo. Giunse a Leuca, ma prima di scendere in città fece una sosta al santuario, Santa Maria De Finibus Terrae. Lo riconobbe dal faro, ma decise di non raggiungerlo in scooter. Lo lasciò al porto e prese l’ampia scalinata che portava su, su quasi fino a toccare il cielo. La lenta ascesa gli diede tempo per riflettere e poi per liberare la mente in previsione della stupenda vista che, come al solito, lo lasciò senza fiato. La vista dei due mari, Adriatico e Ionio, ammaliava lo sguardo, lanciando riflessi di luce inebrianti. Il cielo era terso, pochissime nubi si rincorrevano al di sopra della cima del faro. Prima di ridiscendere entrò in chiesa attraversando l’ampio sagrato, pregò un poco per l’anima della madre e si prese un caffè al bar di fronte al santuario. Proprio mentre se ne stava lì, con il caffè fumante a mezz’aria e la sigaretta fra le labbra, scorse un baracchino insolito, appostato proprio appena dietro al colonnato che abbracciava il piazzale della chiesa. Visita le grotte, partenza ogni ora dal porto. Domenica inclusa. Gli ritornò in mente il caso, la questione della grotta e ancora una volta si disse quanto poco la soluzione trovata non lo convincesse. Fu lì che, più per intuito che per curiosità, ridiscese la scala: aveva 10 minuti e poi il tour alle grotte di mezzogiorno sarebbe partito senza di lui. Fece appena in tempo: era solo con altri quattro turisti. Prese posto in fondo alla barca e attese che la voce della guida iniziasse a parlare.
“Buongiorno a tutti, sono Natali. Sarò per oggi la vostra guida.” Era una ragazza giovane, sulla trentina, che, come disse, era speleologa per passione e lavorava nel gruppo di esperti che stava monitorizzando le coste e le grotte della zona. Spiegava ogni cosa con passione, chiamando le grotte per nome quasi fossero amici o parenti, figli suoi da accudire e coccolare, mostrandoli orgogliosa al pubblico. Nel viaggio di ritorno, mentre gli altri partecipanti scattavano le foto, fu proprio Natali ad avvicinarsi: “E tu? Come mai non scatti foto?”
“Mi sembra di portar via qualcosa che non mi spetta e nel contempo di perdere qualcosa che nessuna foto può catturare”, buttò lì Melissano, che semplicemente non aveva avuto l’intuizione di portare con sé una macchina fotografica.
“Ben detto. Queste grotte per me sono magiche. Contengono un universo inimmaginabile.”
“E che molti vorrebbero sfruttare solo per sé – ripensando involontariamente al caso.”
“Già – fece Natali, imbronciata. Qui le amministrazioni sono sorde a tutto se non al denaro. Non capiscono che qua sotto vive un tesoro creato migliaia di anni fa e che non esiste soldo che possa pagarne la distruzione. Sai, entrando in molte di esse noi rompiamo con la sola presenza un delicatissimo ecosistema! Per non parlare poi dei pipistrelli – disse tirando le gambe a se e poi appoggiando i pesanti stivali sul brodo della barca. Conosci la Zinzulusa, no?”
Era evidente che stesse parlando di un altra grotta. No, Melissano non sapeva. “Ci viveva la più antica e numerosa colonia di pipistrelli d’Italia. Poi qualcuno decise che i loro escrementi erano un ottimo concime. La distrussero. Ora di pipistrelli non ce ne sono praticamente più. Per fortuna che ci sono molte grotte inesplorate che li possono ancora accogliere. Un vero paradiso.” Intanto erano arrivati. Natali si alzò e porse la mano all’uomo: “E’ stato un piacere…”
“Oronzo. Piacere mio, Natali.”
“Arrivederci, Oronzo!”
“Arrivederci!”
Mentre le loro mani si separavano, il commissario non poté fare a meno di notare le unghie spezzate della giovane, che attribuì involontariamente al lavoro che la ragazza faceva. Ritornò allo scooter: erano quasi le quattordici e, seppur digiuno, si avviò sulla strada del ritorno.