Irene vive per leggere e sogna di leggere per vivere, Mira si sente una rockstar con e senza chitarra al collo e Davide è la stella della squadretta di calcio locale, ma trascorre i giorni nell’attesa di un provino da professionista. Vivono a Vallefiora, un borgo contadino ristrutturato da un pugno di intrepidi ecologisti, “il paradiso terrestre, o giù di lì”, dove in realtà c’è poco altro da fare se non inventarsi le giornate fra un centro ricreativo, un garage attrezzato a sala prove e la corriera che ogni giorno li porta a scuola. Ogni cosa per loro è routine, dagli orari ai divertimenti alle norme che regolano i rapporti sociali fra il gruppo dei calciatori, quello degli studenti delle superiori e i ragazzi delle medie. Finché un evento in apparenza insignificante mischia le carte, incrociando le vite di Irene, Mira, Davide e i loro amici, mentre la scuola finisce e l’estate è alle porte. Tutto comincia a cambiare, costringendo i tre ragazzi a rimettere in discussione idee, prospettive, aspirazioni e desideri
Giulia Blasi nata a Pordenone ma vive e lavora a Roma. Scrittrice…cosa possiamo aggiungere di te per farti conoscere meglio ai nostri lettori?
Qualunque cosa io dica potrà essere usata contro di me. Lasciamola così, via. Non c’è bisogno di dire troppo dell’autore perché uno si goda un libro (o lo scagli dall’altra parte della stanza, io su quello sono d’accordo con Dorothy Parker).
In tutte le librerie è possibile trovare, sfogliare, leggere “Il mondo prima che arrivassi tu” (mondadori).Ti va di parlarci di questo tuo nuovo romanzo?
Questa volta è più difficile delle altre volte, perché è un romanzo, e i romanzi a raccontarli perdono un po’ del loro sapore. È una storia di crescita, il racconto del momento inevitabile in quasi tutte le vite in cui l’equilibrio dei rapporti si spezza e si diventa adulti, guadagnandosi una fetta di indipendenza dai genitori e anche, a volte, dagli amici.
Leggendo il tuo blog ho trovato una notizia curiosa, faccio copia e incolla…
“…Non scrivevo un romanzo intero dal 2001. Non che non ci abbia provato, capiamoci: dal 2001 in qua ne avrò iniziati almeno quattro, forse sei, tutti rigorosamente abortiti, alcuni anche a svariate decine di pagine dall’inizio…Questo qui l’ho scritto in tre mesi, neanche il tempo di prendere fiato e pensarci. In realtà era lì da un paio d’anni, in attesa…”
Questa storia che ha riposato a lungo dentro di te, come è nata? Da quali idee, suggestioni, ricordi, incontri?
Ero sul tapis roulant, sudata come un camallo, e ascoltavo Save a Prayer dei Duran Duran. Non so da dove – forse dal delirio agonistico – è scaturita l’immagine di due ragazzini che si parlavano fra i mulini a vento. Il mio metodo, in questi casi, è lasciare che l’idea scorra via: se torna, era buona (o comunque mi tocca scriverla per liberarmene), se sparisce vuol dire che non mi apparteneva. E invece niente, questi erano sempre lì, giorno dopo giorno e chilometro dopo chilometro. Probabilmente i Duran Duran hanno influito, essendo la musica della mia adolescenza.
I personaggi sono vivi, mentre leggi il romanzo sembra di vederli, scorgerli e persino conoscerli. Su questo punto ti faccio due domande, la prima è come crei i tuoi personaggi, e la seconda che rapporti instauri con loro?
Non sono diversa dagli altri scrittori, nel senso che per me come per molti altri la scrittura è una forma di psicosi, in cui i personaggi diventano per te persone vere, le puoi annusare, toccare, le conosci perfettamente, hanno un volto, una voce, una forma di presenza fisica che percepisci solo tu. Anche ad anni di distanza sai che cosa fanno e dove vivono, e raramente li perdi di vista.
Irene e Davide sono i primi nati, ho solo dovuto cercare per loro dei nomi che fossero adatti, e credo che questi siano perfetti. Mira invece è nata dal suo nome, al contrario, come anche Pier (che però è nato dal suo soprannome). Poi li ho lasciati andare, il resto l’hanno fatto loro quasi spontaneamente.
Giulia adolescente ; cosa sognava, come trascorreva le sue giornate, cosa amava?
Giulia adolescente ha avuto un’adolescenza notevolmente brutta, solitaria e senza amici. Però vivevo in un paese piccolo che rispondeva a norme sociali molto stringenti, esattamente come Vallefiora.
Di Vallefiora cosa possiamo accennare?
Che è un microcosmo, e come tutti i microcosmi ha le sue regole. La regola fondante di Vallefiora è “Non inquinare”, e da questo scaturiscono parecchi snodi della trama.
Parliamo di Scrittura. Quando e come hai inziato a scrivere?
Se contiamo gli esperimenti giovanili, avevo circa quattordici anni. La prima volta che ho provato a pubblicare qualcosa avevo ventinove anni, e ci sono riuscita subito. Anche perché ho scelto un editore piccolo che ci ha creduto, e un direttore editoriale, Valerio Fiandra, che tuttora ci crede anche se non abbiamo più fatto niente insieme. Quando entro in crisi e mi blocco, spesso faccio ricorso a lui, che ha un rapporto con la narrativa viscerale quanto me.
Negli anni , che rapporto hai instaurato, nel quotidiano con la scrittura?
Scrivo tutti i giorni, principalmente perché di scrittura vivo ma anche perché è il mio mezzo espressivo preferenziale. Scrivere obbliga a organizzare i pensieri, il che è un esercizio utile.
A conclusione del romanzo si trova una Playlist. Ascolti musica mentre scrivi?
Sempre. Ho un mix di canzoni che uso a ripetizione, tirando scemo il mio fidanzato, che vive con me e ogni tanto mi infila delle canzoni nuove nella playlist.
Come vivi e gestisci il rapporto con i lettori. E con le critiche?
Sono due cose diverse. Quando metti fuori un libro sei molto vulnerabile, specialmente con i romanzi, che volenti o nolenti rappresentano una parte intima di te che scegli di raccontare, anche quando non parlano direttamente di cose tue. Io non faccio autobiografia, per cui a finire sulla pubblica piazza è la mia immaginazione, che volendo è ancora più intima della vita vera. L’immaginazione non ha altri testimoni che l’immaginante, e finché rimane tale è protetta e segreta. Quando scegli di farne storia, lì ti esponi moltissimo.
Con i lettori ho un rapporto direttissimo, nel senso che capita che le persone che leggono le mie cose (come del resto capita a tutti) mi dicano che si sono affezionate a un personaggio o l’altro, o che siano state commosse, toccate o irritate da qualcosa che ho scritto. Rispondo sempre a tutti. Sono convinta che sia importante lasciar andare un libro, dopo la pubblicazione: quando esce, non ti appartiene più, è di chi lo legge.
Con le critiche ho un rapporto spero equilibrato: quando sono motivate le accolgo volentieri, sono un mezzo di crescita. Quando non sono motivate magari mi feriscono perché sono sensibile, ma non ne tengo conto. In ogni caso, non rispondo mai in pubblico.
Se dico , citando il titolo di uno dei capitoli; sei un’assassina, e io complice della tua follia.
Mi tocca risponderti che bisogna arrivarci. Comunque è un verso dei Carpacho!, per l’interpretazione letterale bisogna chiedere a loro. A me serviva per raccontare un momento preciso della trama che non posso riportare qui.
Concludiamo con tre domande “leggere”:
Cosa mangerai sta sera per cena? Quale libro prossimamente hai intenzione di leggere? Credi nell’oroscopo…
Non lo so, spero qualcosa di buono visto che sono fuori casa per la BlogFest di Riva del Garda; “Devozione” di Antonella Lattanzi (consigliatissimo); no, ma mi fa molto ridere leggerlo, e ancora più ridere la gente che ci crede. Mi pregio di essere esente da scaramanzia, e infatti sono fortunatissima.
Grazie Giulia. Buona fortuna.
Hai proprio ragione Caterina, ma a volte anche il silenzio è utile.
è bello scrivere ascoltando la musica.