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«Cosa ci fa qui buon uomo?» furono invece le parole di Johnny, con una punta di dispiacere.
Esitai un attimo prima di rispondergli, levando gli occhi assonnati alla luce del sole. Era più alto nel cielo e la città cominciava a rumoreggiare.
«È una storia lunga…» farfugliai quando lo riconobbi, contento di rivederlo. I suoi occhi trasmettevano fiducia; una sensazione che il giorno precedente mi aveva aiutato a non sprofondare negli abissi di un oceano di lacrime.
Mi rizzai svelto in piedi e gli abbozzai un sorriso.
«Su, entra dentro. Ne parliamo bevendo un caffè» fece lui con la sua voce calma e rassicurante. Mi diede una pacca sul braccio invitandomi a entrare.
Spolverati gli abiti, seguii Johnny lungo un corridoio composto di file di lavatrici disposte in entrambi i lati delle pareti del locale.
Ci accomodammo su un divano sistemato di fronte a un distributore automatico di bevande calde. Johnny ne sfilò due bicchieri di carta fumanti. Il caffè era bollente. Lo bevvi a piccoli sorsi. Sentivo le lacrime agli occhi. E non a causa del caffè.
Parlammo di me e della mia vita. Avevo la voce incrinata dal pianto e dalla commozione.
Anche Johnny aprì il suo cuore. Il rispetto con cui mi trattava era disarmante.
Non gl’importava se io fossi un immigrato, un clandestino senza un tetto sulla testa. Se i guai mi piovevano addosso, e m’inseguivano da uno sperduto villaggio dell’Asia. Se avevo perso il posto di lavoro e le autorità cittadine mi avevano confiscato, come si fa con un oggetto qualunque, mia figlia. Se c’eravamo incontrati due volte e in entrambe le circostanze mi aveva raccolto da terra.
Johnny non aveva pregiudizi nei miei confronti. Vedeva semplicemente della luce buona in me e ciò gli bastava. Ecco tutto.
L’energia che si sprigionò tra di noi profumava di novità. E quando finimmo di bere il caffè più lungo che avessi mai bevuto, mi sorpresi nel constatare di aver trovato un amico.
Il mio primo amico.
Johnny era un uomo dal cuore buono. Credeva ancora nell’amore verso il prossimo malgrado le grandi sofferenze patite: aveva perso i genitori in un incidente aereo e poco tempo dopo, il suo unico fratello, più grande di un paio d’anni, si era ammalato di leucemia.
Per me “leucemia” non significava nulla, non ne avevo mai sentito parlare ma a vedere le lacrime che correvano sul viso di Johnny, si trattava di qualcosa da temere. Donando al fratello il midollo per il trapianto, Johnny si era convinto di sconfiggere la malattia e in tempi brevi, rivederlo in salute. Invece i medici unanimi si erano espressi con un’unica parola: incompatibile, il verdetto.
Non c’era più tempo per entrare nelle affollatissime liste di attesa per il trapianto, solo un miracolo poteva salvarlo. Non restò che sottoporlo ad una cura in via sperimentale. La malattia avanzò inesorabile e in poco più di un mese gli divorò il corpo, poi quando ogni resistenza venne meno anche l’anima.
Una mattina l’amato fratello si spense nel suo letto d’ospedale. Johnny lo vegliò durante la notte coricato in una seggiola, rassicurato nel vederlo dormire beato come non faceva da tanto tempo. Ma quello che lo avvolgeva era il sonno senza risveglio. E amare furono le lacrime di Johnny quando lo capì. Il cuore stritolato dal dolore.
Con la modesta eredità di famiglia Johnny aveva acquistato un monolocale ai piani bassi del Gustave Eiffel Building, andando a vivere proprio sopra il posto di lavoro, con la moglie e i due figlioli ancora piccoli. La casa era al massimo quaranta metri quadrati, al posto delle porte a dividere gli ambienti c’erano delle tendine, ma per Johnny quella casa era una reggia. Gli apparteneva e garantiva un tetto ai suoi bambini. Amava profondamente la sua famiglia per la quale si sacrificava volentieri.
Perciò Johnny mi capiva. Comprendeva quanto soffrissi nel tirare avanti da solo, deluso da mio padre e con il terrore di vivere un’intera esistenza senza mia figlia.
I primi giorni da “illegale” furono molto difficili.
Non possedevo nulla e dovendo sopravvivere, accettai dapprincipio la solidarietà che Johnny mi mostrò, deciso quanto prima a ingegnarmi in qualunque cosa, per evitare di gravare sul mio amico.
Mi diede la possibilità durante il suo turno di ripararmi dal vento e dalle frequenti piogge di inizio autunno e mi procurò persino qualcosa da mettere sotto i denti.
Ma se a dargli il cambio era la volta di Jeremy, mi conveniva stare alla larga, trovarmi un cantuccio al Green Park.
«Sporca bestia!» mi urlava, sputandomi addosso se gli ero a tiro. Quel Jeremy provava una sorta d’innato piacere nel trattare male le persone e in particolare quelli che vedeva più vulnerabili come me.
Johnny mi raccomandò di evitarlo. Era un tipo poco affidabile sebbene, a parte stupide discussioni di tanto, svolgeva bene il suo lavoro e nessuno dei clienti se n’era mai lagnato.
Cercai di ambientarmi alla nuova condizione. L’ultimatum era scaduto ed io ero diventato un clandestino, poco da dire. E quindi dovevo muovermi in modo discreto e con la massima prudenza, evitando di sollevare polveroni che potessero ostacolare il ricongiungimento con la mia bambina.
Nelle settimane successive, la frequentazione della “laundromat” dove Johnny lavorava, fece si che riordinassi le mie idee in attesa del momento giusto per agire.
Nhavita era sempre nei miei pensieri.
In quei giorni mi resi conto che la “Lavato e Profumato” non era semplicemente un luogo dove le famiglie portavano la biancheria sporca ma un vero e proprio centro di socializzazione.
La clientela tendeva a riunirsi in gruppi di due o tre persone, sempre lo stesso giorno della settimana, alla stessa ora, come se si trattasse di un appuntamento fisso. Sostavano di solito mezz’ora, tanto quanto durava in media un ciclo lava e asciuga, che gli restituiva un bucato profumatissimo all’essenza di talco e orchidea.
Tra i clienti, feci caso, c’erano parecchi immigrati. Approfittavano di quei minuti, forse i più belli della loro giornata, per starsene comodi a raccontarsi, a scambiare le proprie esperienze, bevendo qualcosa di caldo.
Mi ritrovai dunque, a tendere l’orecchio a delle conversazioni interessanti, reperendo delle informazioni utili, grazie alle quali mi augurai di mantenere le promesse scambiate con Masuri.
Parlavano di tutto: dal cibo alla musica, dal lavoro alla moda, ma affrontavano anche discorsi seri, con dovizia di particolari e degni di attendibilità.
Discutevano tra loro di leggi sull’immigrazione, di visti, e pure dell’ambitissima green card: un permesso per restare negli USA, senza scadenza.
Li ascoltavo. E anche Johnny mi dispensava a sommi capi una quantità notevole di notizie, affinché trovassi degli appigli utili per legalizzare la mia clandestinità e finalmente riprendere con me Nhavita.
Venni a conoscenza di decine e decine di storie di “fuoribordo” e non.
L’America era come una grande barca, mi diceva Johnny, dove chi arrivava voleva salire a bordo. All’inizio era sufficiente un visto turistico o un visto lavorativo per starci dentro, ma come era successo pure a me, bastava perdere il lavoro o far scadere il proprio visto per far parte dei fuoribordo: gli immigrati illegali.
Ce n’erano di storie finite male. “Out of boat” scoperti dagli agenti federali e ricacciati sul primo volo nel loro paese; e tanti altri sfruttati, stretti nella morsa del ricatto, della minaccia di una denuncia da delinquenti privi scrupoli. Numerosi di questi poveretti erano pakistani, vietnamiti, ebrei russi, cinesi.
Ma Johnny mi riferì anche di storie andate bene.
Di immigrati che sulla grande barca c’erano saliti. Erano quelli che avevano trovato il modo di aggirare la legge, contraendo un matrimonio con un residente americano. A loro lo Stato perdonava gli anni di illegalità e concedeva dopo qualche anno, la Green Card.
E c’era anche chi si era rivolto ai tanti truffatori di documenti falsi, soprattutto agli ispanici del Queens, a contrattare il prezzo di una carta d’identità, o il numero di previdenza sociale. Non è che questi immigrati ne fossero fieri, ma senza documenti era molto peggio. Senza, nessun datore di lavoro si sarebbe sognato di offrirgli un posto. Un posto che quantomeno durava un po’. Il tempo da parte del governo di capire che non ci fosse alcuna corrispondenza tra la carta d’identità e il numero di previdenza sociale del lavoratore in questione. A quel punto l’immigrato veniva licenziato dal datore, e ricominciava la ricerca del lavoro.
Le tante storie, e i ragionamenti sull’argomento mi fecero aprire gli occhi. A nutrire delle speranze per il futuro. Mi apparve come un gabbiano all’orizzonte il bisogno di una nuova identità. Per me e per Nhavita.
Non credo che Johnny avesse voluto darmi quel suggerimento. Ma mi convinsi della assoluta necessità di procedere in tale direzione.
Era fondamentale scongiurare una mia segnalazione agli uffici immigrazione, assai noti per la loro intransigenza. Se ciò fosse accaduto, non dovevo farmi cogliere alla sprovvista, ma munito di nuovi documenti.
Non mi sarei mai perdonato di vivere lontano da mia figlia.
Espulso dall’America.
Mi ripromisi di agire in fretta. Tirare fuori da quella prigione Nhavita e nasconderla a Kolpir, l’aguzzino che mio padre aveva spedito per riportarmi al villaggio.
Ma fu con la conoscenza di Bujarde, poche settimane dopo, che i pensieri affastellati nella mia testa presero forma in un vero piano d’azione.
Questo racconto è fantastico ! Ha la capacità di catapultarti nella storia narrata !
Grazie Francesca, sono contenta di sapere che il mio racconto ti sia piaciuto.
Grazie Marco per aver letto il mio racconto! Contenta che ti sia piaciuto.
Bellissimo racconto.Faccio i miei complimenti all’autrice perchè ricco di significato…
Semplicemente …Brava!…Hai toccato un argomento molto forte… e con molta delicatezza riesci a trascinare il lettore…nel racconto_metafora di riflessione…dove l’amore prevale su tutto! Solo chi scrive con il cuore…riesce ad arrivare al cuore di chi legge…trasmettendo emozioni!…Complimenti!
Carissima Tiziana, anche tu sei arrivata al mio cuore con le tue affermazioni. Credere nell’amore anche quando il mondo sembra avercela con noi, anche quando la cattiveria si abbatte come un’onda sulle nostre vite, spazzandole e trascinandole alla deriva. E’ difficile crederci, ma è l’amore il vero e unico sentimento che potrebbe cambiare le cose. Almeno questo è quello che amo pensare. Un bacio e grazie.
Una storia bellissima, che mi ha davvero colpito e commosso. Ha toccato le corde della mia sensibilità e mi ha fatto riflettere. Scritta benissimo, anche. Complimenti!
Carissima Alessandra, sono onorata dei tuoi complimenti, anche perché provengono da una donna che ama scrivere e leggere come me. Questa storia nasce dal periodo di crisi che tutta l’Italia sta attraversando. All’inizio desideravo semplicemente far notare come da un momento all’altro chiunque può perdere tutto: famiglia, amore e persino casa. Quindi a finire in mezzo alla strada, proprio come i “barboni” che certa gente disprezza, ci vuole poco purtroppo. Poi ho inserito degli argomenti che mi stavano a cuore e il mix ha dato vita a ” La capanna sul grattacielo”, un grido di speranza al cambiamento. Un grazie particolare, merita Moony Witcher, che io definisco la mia mamma-maestra, il suo corso ti aiuta a scavare nei meandri più nascosti di te stessa, ti da modo di riflettere e credimi, mi ha dato siringate di fiducia. Ne avevo bisogno. Nel titolo trovi sia la capanna che il grattacielo. La capanna rappresenta la vera casa, i legami affettivi, ma anche le tradizioni, siano esse positive e negative. Il grattacielo è il cambiamento, la libertà, ma anche la modernità, con il suo carico positivo e negativo. La capanna sul grattacielo vuole essere un compromesso, l’invito a non accettare le cose solo perché si è sempre fatto così. A confutare le tradizioni. Grazie ancora Alessandra del tempo che mi hai dedicato.
Un racconto molto bello,una storia intensa che ti avvicina,sin dalle prime righe,a culture molto lontane dalla nostra,ma per certi aspetti fatte della stessa pasta,quando specchi di sentimenti umani,validi universalmente.Paure,risentimenti,spirito di rivalsa,speranza,accettazione incondizionata,amore,amicizia ecc,ecc, sono espressi dall’autrice in maniera formidabile,dal cuore alla penna!Complimenti e al prossimo racconto.
Grazie per il commento cara Denise. Mi fa un immenso piacere che i sentimenti espressi nel racconto ti siano arrivati così pienamente e abbiano toccato il tuo cuore. Io ce l’ho messa tutta. L’aborto selettivo è un argomento purtroppo, che sta prendendo sempre più piede. Quando finirà questa violenza verso le donne? Quando vivremo con amore? Il mio è solo un grido di speranza. A presto Denise, mille grazie.
Una delle cose più belle di questo racconto, è che dopo solo poche righe ho dimenticato di stare leggendo una storia scritta da qualcuno. Mi sono ritrovato immerso nella vita di Rob, il protagonista di Una capanna sul grattacielo, e ho vissuto con lui le sue esperienze e sentito sulla mia pelle le sue emozioni. I miei migliori complimenti a Sonia.
Daniele, averti suscitato simili emozioni mi riempie il cuore di felicità. Ho vissuto diversi mesi con Rob, le sue angoscie erano le mie. E come lui, avevo paura di non rivedere mai più Nhavita. Come vivere un’intera esistenza senza la propria figlia? In effetti Rob non è mai stato un personaggio per me. E adesso, grazie a te Daniele e agli altri lettori, so di averlo reso reale. Mille grazie.
Una produzione di ottimo livello, che testimonia una ricerca attenta dei costumi di una civiltà diversa, utilizzati poi con naturalezza. Un soggetto attuale, trattato con sensibilità femminile nella tessitura e nel dénouement, che dà all’intera narrazione quasi il carattere di una fiaba. Complimenti, amica mia carissima!
Mia cara Raffaella, intanto volevo ringraziarti di aver dato la precedenza alla lettura de “La capanna sul grattacielo” rispetto ai tantissimi impegni di cui giornalmente ti occupi. Noi ci conosciamo da quattro anni, accomunate prima dalla passione per la danza, poi dall’amore per gli animali. Negli ultimi due anni ci siamo ritrovate con un altro punto in comune, l’essere vegetariane, e adesso anche i libri… Sei una donna buona e gentile. Semplicemente grazie. Meraviglioso il tuo commento, spero di meritarlo col tempo. Sonia.
è un racconto improntato su di una storia vera, con radici tradizioni di un umile villaggio, ancora radicato in certe credenze antiche che si tramandano tra padre e figlio. La scrittura è fluida, solida, reale, dà forti immagini e si carica di colori attorno ai quali ruota un piccolo villaggio, con una comunità radicalmente riversata in una vita quotidiana sempre la stessa che non accenna a cambiare man mano che gli anni vanno avanti. Affascina il lettore la visione di certi passaggi familiari, come la maternità di un figlio, ma in questo caso è in arrivo una figlia, e non porta nessuna prosperità in una credenza popolare umile dove i maschi sono ancora visti, fin dalla nascita,prosperità e benessere. Bene, io credo che questo racconto, che ho appena cominciato a leggere, sia destinato ad avere un ottimo successo, ne ha i requisiti. In bocca al lupo, giovane scrittrice. La tua scrittura mi ha incollata al tuo tracconto con notrevole interesse, vorrò leggerlo tutto, x poterne ancora parlare bene. Anna Scarpetta
Anna Scarpetta aspetto con ansia la tua lettura completa del racconto, anche se hai già dipinto un ritratto chiaro e professionale di quella che è la storia di cui narra il racconto. Desideravo sollevare il tanto discusso problema dell’aborto selettivo a scapito delle “femmine”, attraverso però il punto di vista di un uomo. Il protagonista cercherà di dare alla figlia e alla moglie, le sue due donne, un dono prezioso. Forse il più prezioso a cui un essere umano ambisce. La libertà. In tutti i suoi aspetti. Buona lettura Anna, aspetto notizie.
P.S. Grazie per il tempo che mi stai dedicando.
Ciao Sonia,il tuo racconto mi è piaciuto moltissimo e leggerlo è stato emozionante.E’ intriso di amore.Bella la narrazione del rapporto del protagonista con la madre perchè è da quel periodo che scaturiscono in lui l’amore e il rispetto per le donne. Mi è piaciuto molto il tuo stile,con poche parole sei riuscita a dare un profilo chiaro ai tuoi personaggi.Complimenti e spero di leggere presto un altro dei tuoi racconti
Cara Lucia56 dici bene riguardo al rapporto di Rob e sua madre. Lui la adora e soffre maledettamente quando Severius la maltratta. Per lei Rob piange e il suo pianto di uomo, la tenerezza e il rispetto che prova per le donne, rappresenta in qualche modo per la madre la sua rivalsa a quella società. La speranza di un cambiamento. Infinitamente grazie Lucia56.
ciao sonia quello ke pensavo quando ho letto le prime pagine lo confermo a fine racconto, davvero emozionante e commovente! mi è piaciuto molto e lo consiglierei agli amici. davvero brava mi sembrava di essere li e vivere le sensazioni del protagonista! non sono un’esperta, ma amo la buona lettura e i racconti ke ti rendono protagonista, ke sanno emozionare come il tuo!complimenti e auguri x il futuro!di sicuro mi avrai tra i tuoi lettori! un bacio!
Cara Maria, ti ringrazio di cuore. Le tue parole fanno emozionare me. Sono felicissima di averti tra i miei lettori e di averti fatto vivere questa storia da protagonista. Ti abbraccio e… al prossimo racconto!!
Scrivi molto bene e riesci a trasmettere efficacemente le immagini. Il racconto è sicuramente emozionante e drammaticamente vero. Mi ha colpito il tuo stile, fatto di brevi periodi… scrivi sempre così oppure è stata una scelta legata al particolare racconto?
Caro Roberto, intanto ti ringrazio di aver letto il racconto. So che scrivi libri e il tuo parere è per me motivo di gioia. Non ho ancora un mio stile, sto imparando e prendendo coscienza di me e delle mie potenzialità. Questo grazie al corso di Moony Witcher che mi sta permettendo di crescere e di lasciarmi andare al mio mondo interno. Le frasi brevi sono comunque legate al racconto, sono state una scelta piuttosto spontanea. Sai quello che mi ha più colpito è una frase che mi hai detto su FB: sei entrato nella storia non da spettatore ma da protagonista. Non sai quanto ci speravo. Roberto grazie di avermi dedicato del tempo, la tua opinione è per me preziosissima. Un grande abbraccio anche se non ci conosciamo.
Un racconto ben articolato e sapientemente costruito, ricco di colpi di scena e tenero nel suo insieme. Fervido esperimento narrativo di coscienze ricollegate, personaggi accuratamente dosati e situazioni ben calibrate. Bellissimo il finale con la riunione della famiglia e il colpo di scena di Mauri ancora in vita. Uno di quegli atti narrativi che divengono da idea forma narrativa e da forma narrativa letteratura; un immenso augurio all’autrice e ancora complimenti!
Cordialmente
Gianni
Grazie di cuore Gianni. Le tue spiegazioni tecniche mi lusingano. Ho ancora tantissimo da imparare e c’è la sto mettendo tutta. Ma la mia priorità maggiore è quella di trasmettere i sentimenti che pervadono il mio cuore attraverso i miei personaggi. Farli diventare vivi e farli vivere di vita propria. Accetto con immenso piacere i tuoi auguri e spero vorrai in futuro leggere qualcos’altro di mio. Mille, mille grazie.
Sa come emozionare Sonia…questa tua “creatura” è degna di un’attenta riflessione. Mi sono soffermata su questa frase”Contrariato, mio padre lo chiamava spreco di tempo e denaro. Io ripensandoci, lo chiamo amore.”L’amore ha tanti misteri ed è come un gioiello prezioso formato da mille pietre brillanti la cui lucentezza si mescola e si amalgama…Per amore l’essere umano attiva una grande quantità di energia, combatte, si sottopone a prove, corre dei rischi, supera le difficoltà più terribili, smuove le montagne, attraversa gli oceani e cambia le regole del gioco!”È Maschio o femmina? “E’ semplicemente “VITA”..da scoprire,da sperare,da amare!!! Complimenti all’autrice…l’inchiostro di cui si è servita profuma ancora di “cuore”!!!
Carissima Giada è meravigliosa la tua descrizione dell’amore. Mi ci ritrovo in pieno. Speravo di avere tra i lettori del mio racconto persone dolci e sensibili come te. Credo nell’amore, nella sua forza e in ciò che può scaturire da esso. Grazie Giada.
Questo racconto mi ha entusiasmato veramente tanto…..complimenti all’autrice !!!!!!!
Patrizia sono felice di aver toccato il tuo cuore ed essere riuscita a trasmettere dei sentimenti veri. Grazie per averlo letto.
Mi è piaciuto molto : bello ed emozionante !
Un racconto a lieto fine con la speranza di un futuro migliore. …ma che ci ricorda una tragica regola che negli ultimi anni (con l’aborto selettivo ) ha eliminato dieci milioni di bambine e altre semplicemente sono “scomparse” soppresse o vendute.
Alcuni passi molto significativi di questo racconto :
Fino a quando potei ricevere le carezze di mia madre, mantenni il cuore leggero e gli occhi sognanti di un bambino. Le sue attenzioni furono la mia gioia.
Per me le donne sono la ricchezza di una casa, la parte bella di una giornata. Un bene per l’intera comunità, non un male di cui disfarsi come pensa mio padre e gli altri uomini del villaggio. Senza le donne come possiamo costruire una famiglia? Ci infondono il coraggio per affrontare i problemi e ci spingono a credere nei sogni.
«Farai grandi cose, figlio mio» mi ripeteva difatti mia madre mentre distribuivamo insieme i piccoli animali in legno che intagliavo per i bambini più poveri. Lei amava quei sorrisi ingenui, e io amavo la luce brillante dei suoi occhi. Contrariato, mio padre lo chiamava spreco di tempo e denaro. Io ripensandoci, lo chiamo amore.
Si piegò e da terra prese un uccello di carta rosso: il nostro aquilone. Lo porse a Nhavita sorridendole. Sollevò il viso e mi lanciò un’occhiata di tenerezza, non gliel’avevo mai vista un’espressione del genere, li vidi rincorrersi sotto lo sguardo del villaggio.
Vidi il futuro.
È Maschio o femmina? Sorrido.
Chi lo sa e cosa importa.
Un’altra vita. Da amare.
Cara Maria, il tuo commento mi ha molto emozionata. Si vede che sei sensibile all’argomento proprio come me. Il fatto di citare alcune frasi del racconto che ti hanno colpito mi ha fatto sorridere, grazie mille. Tengo molto a questa storia e per rispondere anche a Sebastiano85, penso che un singolo uomo può cambiare le cose e essere la molla d’esempio anche per gli altri.
Bellissimo…mi ha emozionato tantissimo…l’amore il vero amore ci fa andare avanti nonostante tutto…:) complimenti all’autrice…
Grazie Alessandra per i complimenti, felice di averti emozionato con la mia storia. L’amore è la forza che può superare qualsiasi barriera…
Di solito non leggo questo genere di racconti ma stavolta non mi è dispiaciuto. Mi ha trascinato l’amore del padre per la figlia al punto da sacrificare la sua vita e il voler cambiare le cose, provare a cambiare delle regole antiche.
Questo racconto mi è piaciuto tantissimo.E’ molto significativo. Una creatura che nasce è una gioia immensa e non conta se sia di sesso maschile o femminile. E’ un bellissimo racconto che mi ha colpito tantissimo. Mi è sembrato di vivere ogni momento della vita del protagonista principale, insieme alle sue emozioni, gioie, dolori, speranze e attimi di sconforto. Fa riflettere molto perchè ancora oggi in alcune parti del mondo le donne non vengono trattate bene e continuano a subire maltrattamenti quotidiani da parte dell’uomo. Stupendo il finale perchè la famiglia si riunisce felicemente e sorprende il colpo di scena di Masuri che è ancora in vita. Severius donando l’aquilone alla nipotina fa comprendere che nella vita dev’essere sempre accesa la fiamma della speranza per un futuro migliore…Complimenti all’autrice. Il racconto che ho letto mi ha emozionato tantissimo.
Mi fa piacere che il racconto ti sia piaciuto. Io l’ho scritto col cuore. Grazie Stellina83, troppo gentile.
MI HAI COMMOSSA DOLCE SONYA WUAOWWW CI SONO DEI PASSAGGI TOCCANTI E MOLTO SIGNIFICATIVI SEI STATA MOLTO BRAVA SONO FIERA DI AVERE UN AMICA COME TE BRAVISSIMAAAAAAAAAAAAAAA
Cara Krizia, che bello!! Alla fine il racconto lo hai letto pure tu!! Anche se non ci conosciamo di persona, anch’io sono contenta della tua amicizia facebookiana. Grazie per i complimenti. Sei una donna speciale!