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Mi chiamo Robajongasaptura. Il mio nome è talmente lungo che a Tabù Nari il piccolo villaggio di capanne in legno e fango, costruito sulla sponda est del fiume Yutteh, nell’estremo sud del continente asiatico, hanno finito per chiamarmi soltanto Rob. Appartengo alla famiglia Pradesh. Figlio maschio di Severius Pradesh.
Maschio, pare non gl’importi d’altro.
Al villaggio siamo noi gli unici Pradesh da quando la malaria ha stroncato la vita dei miei parenti, e decimato le popolazioni anche nei villaggi circostanti.
Fino alo scorso anno abitavo da solo con mio padre. Questo prima di sposare Masuri, che come vuole la tradizione si è trasferita con noi nella capanna. Nel retro della quale, ricoprendolo con un tettuccio in canne di bambù, abbiamo ricavato la nostra bottega del legno.
Siamo infatti falegnami di generazione.
Da piccolo odiavo con tutte le mie forze lavorare in bottega, fianco a fianco a Severius. Cercavo mille scuse per correre dai bambini della mia età e giocare con loro. Mio padre invece mollava tutto per venirmi a riprendere e riempirmi la faccia di schiaffi. Botte e urla erano all’ordine del giorno. Le ricevevo senza batter ciglio come la giusta punizione alle mie birichinate. Del resto non avevo intenzione di smettere. Ma non mi spiegavo come, ad ogni mia scorribanda, sistematicamente comparivano dei lividi sulle braccia e sul viso delicato di mia madre.
Lo compresi una sera ritirata la mia solita razione di botte per una scappatella nel bosco. Appena misi naso fuori dalla capanna sentii le urla del mio babuji. Scostai la tenda che copriva l’ingresso del nostro rifugio e assistetti ammutolito ad una scena, che troppo spesso negli anni avrei visto ripetersi: Severius chinato sulla mamma la strattonava brusco sfuriando su di lei la sua collera.
La riteneva responsabile del fatto che preferissi giocare piuttosto che imparare il mestiere. La trascinava per i capelli, la malmenava, insultandola di essere la causa dei miei comportamenti infantili grazie alle sue smancerie: i baci della buonanotte, gli abbracci, e le carezze.
Le ordinò di finirla. Volevo prendere le sue difese. Non sopportavo la maltrattasse. Mi spinsi avanti, ma le gambe non obbedirono. Né la mia bocca emise alcun sibilo. Mi mancava il coraggio.
Strinsi forte i pugni ma null’altro feci se non inghiottire lacrime amare.
Da quel giorno smisi di giocare.
Avevo sette anni. E imparai a piangere. Piangevo per mia madre tutte le volte che lui la umiliava e la picchiava.
Nonostante i divieti di mio padre, mamma Bontasa mi coccolò di nascosto, e alla vista delle lacrime che regolarmente mi solcavano le guance, la vedevo sorridere e credo pure compiacersene.
All’epoca mi chiesi il perché senza riuscire a formulare una risposta. I maschi non piangono, per questo rideva? Rideva di me? Eppure mi sbagliavo. Qualche tempo dopo, al compimento dei miei dodici anni, lei aprì il suo cuore confidandomi cosa pensasse davvero. Ciò mi fece sentire onorato e anzitutto un ragazzo speciale.
Fino a quando potei ricevere le carezze di mia madre, mantenni il cuore leggero e gli occhi sognanti di un bambino. Le sue attenzioni furono la mia gioia.
Ma Severius Pradesh non poteva capirlo. Lui è un uomo duro, rigido, legato alle tradizioni e agli usi del posto in cui siamo nati. Convinto che se viene permesso di nascere a una donna è soltanto per ubbidire e per partorire figli maschi. Ritiene le figlie femmine un’ecatombe per l’intera famiglia d’origine, costretta a indebitarsi per procurarle una dote con cui darla in sposa.
Sebbene non condivido le sue idee, piuttosto direi che da ventisei anni, praticamente dai miei primi vagiti le ripudio con tutto me stesso, ho però ascoltato i consigli di mio padre nell’intagliare il legno diventandone un esperto.
Ho dunque onorato il dono ricevuto alla mia nascita: un cofanetto d’acero finemente intagliato, arricchito da scaglie di pietre con forme e colori diversi; custode di antichi arnesi che di generazione in generazione, da padre in figlio, i Pradesh si tramandano.
Lavoro difatti, dall’alba al tramonto con Severius. I clienti vengono a farci visita nella nostra bottega non solo da Tabù Nari e dai villaggi circostanti, ma anche dalla caotica città di Mongledoy. Ci commissionano in particolare mobili in teak su misura, ma pure sedie e tavolini bassi. E da quando è in funzione il porto di Tooday, a meno di quaranta kilometri dal villaggio, sono diventate frequenti anche le ordinazioni da parte dei forestieri. Severius s’innervosisce solo a sentirli parlare. Non li capisce e non si sforza di farlo, cedendoli volentieri a me. Mentre lui continua a picchiettare con lo scalpello in mano. Sfruttando la pazienza e i modi gentili ereditati da mia madre, concludo buoni affari, e ho imparato, in aggiunta all’hindi, a parlare altre lingue come l’americano. D’altro canto dacché il porto ha riaperto i battenti, i clienti giunti dall’America sono moltissimi. Uno tra loro, in particolare, mi ha lasciato un’impronta indelebile nel cuore pur se non saprei spiegarvi il perché.
Si presentò in bottega sei mesi addietro, quando Masuri non era ancora in dolce attesa. L’uomo apparve sulla soglia vestito di bianco, in giacca e cravatta nel caldo torrido dell’estate. Portava un cappello da cowboy che non lasciava adito a dubbi circa la sua provenienza.
Mio padre era fuori a bere con gli altri uomini del villaggio. Non era solito staccare prima dal lavoro, ma dopo numerose preghiere si era concesso quello stacco raccomandandomi alcuni oggetti da completare. Per accogliere il nuovo cliente chiesi a Masuri di preparare un buon the aromatizzato alla cannella.
Chi viene a trovarci è sempre il benvenuto! L’uomo pareva avere l’età di Severius, sui cinquantacinque, sorseggiò deliziato il chai, riponendo la tazzina vuota in terracotta su un ripiano del laboratorio. Mi osservava con occhi ammirati mentre davo gli ultimi ritocchi a un charpoy; un letto richiestomi da un ricco possidente di città. L’americano fu prodigo di lodi, si complimentò per la mia abilità di artigiano, e mi pose davanti agli occhi il suo biglietto da visita. Lo lessi. Diceva di chiamarsi Steve Renèe, di essere titolare di un gigantesco mobilificio a New York. Compariva tra l’altro, all’estremità del cartoncino, il suo numero di telefono e l’indirizzo dello stabilimento.
In breve, Steve Renèe mi stava proponendo di lavorare per lui.
Sono un Pradesh. Impossibile. L’offerta mi fece sorridere; scambiai un’occhiata fugace con mia moglie, che poco distante ricambiò con un risolino.
Il mio destino era quello di lavorare il legno a Tabù Nari con mio padre. Un giorno anche i miei figli avrebbero lavorato con me. Perlomeno questo andava ripetendo Severius: «siamo figli di questo lembo di terra, a essa dobbiamo ubbidire».
Presi lo stesso quel biglietto e lo nascosi, come se fosse un cimelio da stipare in un baule segreto e da ripescare quando l’avessi ritenuto la cosa più preziosa del mondo.
Lo conservai con cura. Forse presentimento, forse scaramanzia o semplicemente l’interesse dell’americano mi aveva inorgoglito.
Mio padre non seppe nulla né della visita di Steve né della sua proposta.
Nei mesi successivi mi resi conto che Severius detestava mia moglie e in quanto “femmina” la trattava come una serva e spesso la faceva piangere. Come aveva fatto con Bontasa. No, non glielo avrei permesso di nuovo. Né Masuri né tantomeno mia figlia avrebbero subito quella sorte.
Quegli atteggiamenti facevano riaffiorare tutta la rabbia che avevo sopito, nascosta in un angolo della mia anima. Volevo odiarlo, dirgli a raffica le cose peggiori che pensavo di lui. Non ci riuscivo. Era mio padre e in fondo, pareva volermi bene e tenerci a me, fosse solo perché ero il suo unico figlio, “maschio” ovviamente. Ma bruciavo ancora di rabbia. Avevo impressa nella memoria, come fosse un marchio a fuoco, l’immagine di mamma avvolta nell’oscurità, nell’ultima volta che asciugò le mie lacrime.
Andai con la mente a quella terribile sera.
L’inverno era alle porte, il vento fischiava sbatacchiando la tenda pesante dell’ingresso. Avevo appena compiuto dodici anni.
Ma per quanto si gelasse dal freddo mi sentivo un incendio dentro.
Guardavo il viso di mia madre, era rigato dalle lacrime, i capelli lunghi a coprirlo. I suoi occhi erano cupi, offuscati dal panico, come se stesse lottando con se stessa per chiedermi aiuto. Severius la stava aspettando.
«Femmine, femmine. Non sai fare niente di meglio? Mi porterai alla rovina!» le urlava contro. Mi misi davanti per fronteggiarlo e provai a ribattergli. A difendere Bontasa almeno una volta. L’aria divenne di tempesta. Ma l’occhiata torva e minacciosa che mi lanciò bastò a zittirmi in un lampo. Severius uscì dalla capanna, salì su un risciò diretto in città, e rimase lì ad attenderla.
Aspettava mia madre per portarla in clinica e farle perdere l’ennesimo bambino. Dopo aver partorito me, infatti, erano arrivate solo femmine e lui non ne aveva voluto sapere, obbligandola ogni volta all’aborto.
Mia madre chiusa in un silenzio di assoluta rassegnazione preparava una borsa consunta riempiendola con le sue cose. Non diceva una parola. La guardavo con gli occhi rossi e soffrivo per lei. Una sensazione di morte aleggiava in quel momento per la stanza. Ne avevo paura. Temevo per la sua salute. Da qualche tempo era pallida, sembrava debole, più lenta nei movimenti e tossiva di frequente.
Sollevata la testa Bontasa si accorse di me. Ero in piedi a pochi passi. Mi venne vicino, mi strofinò la sua mano calda sul viso e chiusi gli occhi perdendomi in quel tepore, respirando il suo profumo di mamma.
Feci perno a quanto di persuasivo avesse la mia voce e le chiesi di ribellarsi, di non andare con lui. Non volevo vederla soffrire ancora.
Cominciai a piangere.
Bontasa s’immobilizzò, fissando il mio volto E distese le sue labbra in un sorriso. Mi spiegò con dolcezza che non si sarebbe ribellata perché lei aveva trovato il senso della sua vita: nelle mie lacrime. Quelle lacrime che vedeva partorire dai miei occhi le dimostravano quanto fossi diverso dagli altri uomini di Tabù Nari. Perciò se ne sentiva appagata.
Era quello il segreto dei suoi sorrisi.
Poi si voltò e andò via. Udii le ruote del risciò strisciare in lontananza sul terreno polveroso.
La luce del giorno fece posto all’ombra della notte, e un giorno dopo l’altro si susseguirono, ma mia madre non fece ritorno.
Severius seguitò a lavorare in bottega come se nulla fosse. Mentre le mie proteste si fecero sempre più insistenti. Dov’era mia madre?
Severius mi giurò che presto l’avrei rivista. Di badare piuttosto al lavoro.
Capii la verità pochi giorni dopo, quando indossai per la prima volta il turbante, di solito ci coprivamo il capo per il caldo con una semplice stoffa in spugna.
Mia madre non sarebbe tornata.
Era morta.
Il tono spento, blu scuro del turbante ne era la conferma. Annunciava il lutto che aveva colpito la nostra famiglia. Mio padre ne era il colpevole. E con lui, l’intero villaggio, le tradizioni. L’idea diffusa che la donna non ha alcun diritto, nulla può decidere e nulla le appartiene. È l’uomo, il suo padrone. Che assurdità!!
Ultimamente, da quando una folta barba mi ricopre il mento, gli abitanti di Tabù Nari non fanno altro che farmi notare quanto rassomigli a mio padre. Fisicamente, lo ammetto. Abbiamo la stessa altezza e gli stessi occhi nocciola, incastonati tra le lunghe ciglia. La pelle di una calda tonalità color ruggine sbuca dalle fusciacche panna lunghe fino alle ginocchia, indossate sopra morbidi calzoni. Portiamo entrambi i capelli raccolti in una coda, neri e lucidi i miei, tratteggiati da bianche funi i suoi.
In realtà siamo agli antipodi. Per me le donne sono la ricchezza di una casa, la parte bella di una giornata. Un bene per l’intera comunità, non un male di cui disfarsi come pensa mio padre e gli altri uomini del villaggio. Senza le donne come possiamo costruire una famiglia? Ci infondono il coraggio per affrontare i problemi e ci spingono a credere nei sogni.
«Farai grandi cose, figlio mio» mi ripeteva difatti mia madre mentre distribuivamo insieme i piccoli animali in legno che intagliavo per i bambini più poveri. Lei amava quei sorrisi ingenui, e io amavo la luce brillante dei suoi occhi. Contrariato, mio padre lo chiamava spreco di tempo e denaro. Io ripensandoci, lo chiamo amore.
Questo racconto è fantastico ! Ha la capacità di catapultarti nella storia narrata !
Grazie Francesca, sono contenta di sapere che il mio racconto ti sia piaciuto.
Grazie Marco per aver letto il mio racconto! Contenta che ti sia piaciuto.
Bellissimo racconto.Faccio i miei complimenti all’autrice perchè ricco di significato…
Semplicemente …Brava!…Hai toccato un argomento molto forte… e con molta delicatezza riesci a trascinare il lettore…nel racconto_metafora di riflessione…dove l’amore prevale su tutto! Solo chi scrive con il cuore…riesce ad arrivare al cuore di chi legge…trasmettendo emozioni!…Complimenti!
Carissima Tiziana, anche tu sei arrivata al mio cuore con le tue affermazioni. Credere nell’amore anche quando il mondo sembra avercela con noi, anche quando la cattiveria si abbatte come un’onda sulle nostre vite, spazzandole e trascinandole alla deriva. E’ difficile crederci, ma è l’amore il vero e unico sentimento che potrebbe cambiare le cose. Almeno questo è quello che amo pensare. Un bacio e grazie.
Una storia bellissima, che mi ha davvero colpito e commosso. Ha toccato le corde della mia sensibilità e mi ha fatto riflettere. Scritta benissimo, anche. Complimenti!
Carissima Alessandra, sono onorata dei tuoi complimenti, anche perché provengono da una donna che ama scrivere e leggere come me. Questa storia nasce dal periodo di crisi che tutta l’Italia sta attraversando. All’inizio desideravo semplicemente far notare come da un momento all’altro chiunque può perdere tutto: famiglia, amore e persino casa. Quindi a finire in mezzo alla strada, proprio come i “barboni” che certa gente disprezza, ci vuole poco purtroppo. Poi ho inserito degli argomenti che mi stavano a cuore e il mix ha dato vita a ” La capanna sul grattacielo”, un grido di speranza al cambiamento. Un grazie particolare, merita Moony Witcher, che io definisco la mia mamma-maestra, il suo corso ti aiuta a scavare nei meandri più nascosti di te stessa, ti da modo di riflettere e credimi, mi ha dato siringate di fiducia. Ne avevo bisogno. Nel titolo trovi sia la capanna che il grattacielo. La capanna rappresenta la vera casa, i legami affettivi, ma anche le tradizioni, siano esse positive e negative. Il grattacielo è il cambiamento, la libertà, ma anche la modernità, con il suo carico positivo e negativo. La capanna sul grattacielo vuole essere un compromesso, l’invito a non accettare le cose solo perché si è sempre fatto così. A confutare le tradizioni. Grazie ancora Alessandra del tempo che mi hai dedicato.
Un racconto molto bello,una storia intensa che ti avvicina,sin dalle prime righe,a culture molto lontane dalla nostra,ma per certi aspetti fatte della stessa pasta,quando specchi di sentimenti umani,validi universalmente.Paure,risentimenti,spirito di rivalsa,speranza,accettazione incondizionata,amore,amicizia ecc,ecc, sono espressi dall’autrice in maniera formidabile,dal cuore alla penna!Complimenti e al prossimo racconto.
Grazie per il commento cara Denise. Mi fa un immenso piacere che i sentimenti espressi nel racconto ti siano arrivati così pienamente e abbiano toccato il tuo cuore. Io ce l’ho messa tutta. L’aborto selettivo è un argomento purtroppo, che sta prendendo sempre più piede. Quando finirà questa violenza verso le donne? Quando vivremo con amore? Il mio è solo un grido di speranza. A presto Denise, mille grazie.
Una delle cose più belle di questo racconto, è che dopo solo poche righe ho dimenticato di stare leggendo una storia scritta da qualcuno. Mi sono ritrovato immerso nella vita di Rob, il protagonista di Una capanna sul grattacielo, e ho vissuto con lui le sue esperienze e sentito sulla mia pelle le sue emozioni. I miei migliori complimenti a Sonia.
Daniele, averti suscitato simili emozioni mi riempie il cuore di felicità. Ho vissuto diversi mesi con Rob, le sue angoscie erano le mie. E come lui, avevo paura di non rivedere mai più Nhavita. Come vivere un’intera esistenza senza la propria figlia? In effetti Rob non è mai stato un personaggio per me. E adesso, grazie a te Daniele e agli altri lettori, so di averlo reso reale. Mille grazie.
Una produzione di ottimo livello, che testimonia una ricerca attenta dei costumi di una civiltà diversa, utilizzati poi con naturalezza. Un soggetto attuale, trattato con sensibilità femminile nella tessitura e nel dénouement, che dà all’intera narrazione quasi il carattere di una fiaba. Complimenti, amica mia carissima!
Mia cara Raffaella, intanto volevo ringraziarti di aver dato la precedenza alla lettura de “La capanna sul grattacielo” rispetto ai tantissimi impegni di cui giornalmente ti occupi. Noi ci conosciamo da quattro anni, accomunate prima dalla passione per la danza, poi dall’amore per gli animali. Negli ultimi due anni ci siamo ritrovate con un altro punto in comune, l’essere vegetariane, e adesso anche i libri… Sei una donna buona e gentile. Semplicemente grazie. Meraviglioso il tuo commento, spero di meritarlo col tempo. Sonia.
è un racconto improntato su di una storia vera, con radici tradizioni di un umile villaggio, ancora radicato in certe credenze antiche che si tramandano tra padre e figlio. La scrittura è fluida, solida, reale, dà forti immagini e si carica di colori attorno ai quali ruota un piccolo villaggio, con una comunità radicalmente riversata in una vita quotidiana sempre la stessa che non accenna a cambiare man mano che gli anni vanno avanti. Affascina il lettore la visione di certi passaggi familiari, come la maternità di un figlio, ma in questo caso è in arrivo una figlia, e non porta nessuna prosperità in una credenza popolare umile dove i maschi sono ancora visti, fin dalla nascita,prosperità e benessere. Bene, io credo che questo racconto, che ho appena cominciato a leggere, sia destinato ad avere un ottimo successo, ne ha i requisiti. In bocca al lupo, giovane scrittrice. La tua scrittura mi ha incollata al tuo tracconto con notrevole interesse, vorrò leggerlo tutto, x poterne ancora parlare bene. Anna Scarpetta
Anna Scarpetta aspetto con ansia la tua lettura completa del racconto, anche se hai già dipinto un ritratto chiaro e professionale di quella che è la storia di cui narra il racconto. Desideravo sollevare il tanto discusso problema dell’aborto selettivo a scapito delle “femmine”, attraverso però il punto di vista di un uomo. Il protagonista cercherà di dare alla figlia e alla moglie, le sue due donne, un dono prezioso. Forse il più prezioso a cui un essere umano ambisce. La libertà. In tutti i suoi aspetti. Buona lettura Anna, aspetto notizie.
P.S. Grazie per il tempo che mi stai dedicando.
Ciao Sonia,il tuo racconto mi è piaciuto moltissimo e leggerlo è stato emozionante.E’ intriso di amore.Bella la narrazione del rapporto del protagonista con la madre perchè è da quel periodo che scaturiscono in lui l’amore e il rispetto per le donne. Mi è piaciuto molto il tuo stile,con poche parole sei riuscita a dare un profilo chiaro ai tuoi personaggi.Complimenti e spero di leggere presto un altro dei tuoi racconti
Cara Lucia56 dici bene riguardo al rapporto di Rob e sua madre. Lui la adora e soffre maledettamente quando Severius la maltratta. Per lei Rob piange e il suo pianto di uomo, la tenerezza e il rispetto che prova per le donne, rappresenta in qualche modo per la madre la sua rivalsa a quella società. La speranza di un cambiamento. Infinitamente grazie Lucia56.
ciao sonia quello ke pensavo quando ho letto le prime pagine lo confermo a fine racconto, davvero emozionante e commovente! mi è piaciuto molto e lo consiglierei agli amici. davvero brava mi sembrava di essere li e vivere le sensazioni del protagonista! non sono un’esperta, ma amo la buona lettura e i racconti ke ti rendono protagonista, ke sanno emozionare come il tuo!complimenti e auguri x il futuro!di sicuro mi avrai tra i tuoi lettori! un bacio!
Cara Maria, ti ringrazio di cuore. Le tue parole fanno emozionare me. Sono felicissima di averti tra i miei lettori e di averti fatto vivere questa storia da protagonista. Ti abbraccio e… al prossimo racconto!!
Scrivi molto bene e riesci a trasmettere efficacemente le immagini. Il racconto è sicuramente emozionante e drammaticamente vero. Mi ha colpito il tuo stile, fatto di brevi periodi… scrivi sempre così oppure è stata una scelta legata al particolare racconto?
Caro Roberto, intanto ti ringrazio di aver letto il racconto. So che scrivi libri e il tuo parere è per me motivo di gioia. Non ho ancora un mio stile, sto imparando e prendendo coscienza di me e delle mie potenzialità. Questo grazie al corso di Moony Witcher che mi sta permettendo di crescere e di lasciarmi andare al mio mondo interno. Le frasi brevi sono comunque legate al racconto, sono state una scelta piuttosto spontanea. Sai quello che mi ha più colpito è una frase che mi hai detto su FB: sei entrato nella storia non da spettatore ma da protagonista. Non sai quanto ci speravo. Roberto grazie di avermi dedicato del tempo, la tua opinione è per me preziosissima. Un grande abbraccio anche se non ci conosciamo.
Un racconto ben articolato e sapientemente costruito, ricco di colpi di scena e tenero nel suo insieme. Fervido esperimento narrativo di coscienze ricollegate, personaggi accuratamente dosati e situazioni ben calibrate. Bellissimo il finale con la riunione della famiglia e il colpo di scena di Mauri ancora in vita. Uno di quegli atti narrativi che divengono da idea forma narrativa e da forma narrativa letteratura; un immenso augurio all’autrice e ancora complimenti!
Cordialmente
Gianni
Grazie di cuore Gianni. Le tue spiegazioni tecniche mi lusingano. Ho ancora tantissimo da imparare e c’è la sto mettendo tutta. Ma la mia priorità maggiore è quella di trasmettere i sentimenti che pervadono il mio cuore attraverso i miei personaggi. Farli diventare vivi e farli vivere di vita propria. Accetto con immenso piacere i tuoi auguri e spero vorrai in futuro leggere qualcos’altro di mio. Mille, mille grazie.
Sa come emozionare Sonia…questa tua “creatura” è degna di un’attenta riflessione. Mi sono soffermata su questa frase”Contrariato, mio padre lo chiamava spreco di tempo e denaro. Io ripensandoci, lo chiamo amore.”L’amore ha tanti misteri ed è come un gioiello prezioso formato da mille pietre brillanti la cui lucentezza si mescola e si amalgama…Per amore l’essere umano attiva una grande quantità di energia, combatte, si sottopone a prove, corre dei rischi, supera le difficoltà più terribili, smuove le montagne, attraversa gli oceani e cambia le regole del gioco!”È Maschio o femmina? “E’ semplicemente “VITA”..da scoprire,da sperare,da amare!!! Complimenti all’autrice…l’inchiostro di cui si è servita profuma ancora di “cuore”!!!
Carissima Giada è meravigliosa la tua descrizione dell’amore. Mi ci ritrovo in pieno. Speravo di avere tra i lettori del mio racconto persone dolci e sensibili come te. Credo nell’amore, nella sua forza e in ciò che può scaturire da esso. Grazie Giada.
Questo racconto mi ha entusiasmato veramente tanto…..complimenti all’autrice !!!!!!!
Patrizia sono felice di aver toccato il tuo cuore ed essere riuscita a trasmettere dei sentimenti veri. Grazie per averlo letto.
Mi è piaciuto molto : bello ed emozionante !
Un racconto a lieto fine con la speranza di un futuro migliore. …ma che ci ricorda una tragica regola che negli ultimi anni (con l’aborto selettivo ) ha eliminato dieci milioni di bambine e altre semplicemente sono “scomparse” soppresse o vendute.
Alcuni passi molto significativi di questo racconto :
Fino a quando potei ricevere le carezze di mia madre, mantenni il cuore leggero e gli occhi sognanti di un bambino. Le sue attenzioni furono la mia gioia.
Per me le donne sono la ricchezza di una casa, la parte bella di una giornata. Un bene per l’intera comunità, non un male di cui disfarsi come pensa mio padre e gli altri uomini del villaggio. Senza le donne come possiamo costruire una famiglia? Ci infondono il coraggio per affrontare i problemi e ci spingono a credere nei sogni.
«Farai grandi cose, figlio mio» mi ripeteva difatti mia madre mentre distribuivamo insieme i piccoli animali in legno che intagliavo per i bambini più poveri. Lei amava quei sorrisi ingenui, e io amavo la luce brillante dei suoi occhi. Contrariato, mio padre lo chiamava spreco di tempo e denaro. Io ripensandoci, lo chiamo amore.
Si piegò e da terra prese un uccello di carta rosso: il nostro aquilone. Lo porse a Nhavita sorridendole. Sollevò il viso e mi lanciò un’occhiata di tenerezza, non gliel’avevo mai vista un’espressione del genere, li vidi rincorrersi sotto lo sguardo del villaggio.
Vidi il futuro.
È Maschio o femmina? Sorrido.
Chi lo sa e cosa importa.
Un’altra vita. Da amare.
Cara Maria, il tuo commento mi ha molto emozionata. Si vede che sei sensibile all’argomento proprio come me. Il fatto di citare alcune frasi del racconto che ti hanno colpito mi ha fatto sorridere, grazie mille. Tengo molto a questa storia e per rispondere anche a Sebastiano85, penso che un singolo uomo può cambiare le cose e essere la molla d’esempio anche per gli altri.
Bellissimo…mi ha emozionato tantissimo…l’amore il vero amore ci fa andare avanti nonostante tutto…:) complimenti all’autrice…
Grazie Alessandra per i complimenti, felice di averti emozionato con la mia storia. L’amore è la forza che può superare qualsiasi barriera…
Di solito non leggo questo genere di racconti ma stavolta non mi è dispiaciuto. Mi ha trascinato l’amore del padre per la figlia al punto da sacrificare la sua vita e il voler cambiare le cose, provare a cambiare delle regole antiche.
Questo racconto mi è piaciuto tantissimo.E’ molto significativo. Una creatura che nasce è una gioia immensa e non conta se sia di sesso maschile o femminile. E’ un bellissimo racconto che mi ha colpito tantissimo. Mi è sembrato di vivere ogni momento della vita del protagonista principale, insieme alle sue emozioni, gioie, dolori, speranze e attimi di sconforto. Fa riflettere molto perchè ancora oggi in alcune parti del mondo le donne non vengono trattate bene e continuano a subire maltrattamenti quotidiani da parte dell’uomo. Stupendo il finale perchè la famiglia si riunisce felicemente e sorprende il colpo di scena di Masuri che è ancora in vita. Severius donando l’aquilone alla nipotina fa comprendere che nella vita dev’essere sempre accesa la fiamma della speranza per un futuro migliore…Complimenti all’autrice. Il racconto che ho letto mi ha emozionato tantissimo.
Mi fa piacere che il racconto ti sia piaciuto. Io l’ho scritto col cuore. Grazie Stellina83, troppo gentile.
MI HAI COMMOSSA DOLCE SONYA WUAOWWW CI SONO DEI PASSAGGI TOCCANTI E MOLTO SIGNIFICATIVI SEI STATA MOLTO BRAVA SONO FIERA DI AVERE UN AMICA COME TE BRAVISSIMAAAAAAAAAAAAAAA
Cara Krizia, che bello!! Alla fine il racconto lo hai letto pure tu!! Anche se non ci conosciamo di persona, anch’io sono contenta della tua amicizia facebookiana. Grazie per i complimenti. Sei una donna speciale!