“Che genere di sorpresa?” chiesi.
“Me e la mia famiglia.” prese la parola Paolo “dopo la morte del padre di Hugo di cui mia madre era la cugina, io ed i miei genitori ci trasferimmo alla villa, passata a mio padre dopo che Hugo fu dato per morto, nel 1900. A mia madre la casa non piaceva, sembrava avere paura di guardarsi allo specchio per scorgere un riflesso che non fosse il suo ed i nostri cani abbaiavano spesso al vuoto, specie durante la notte. Io avevo solo dieci anni, mi piacevano il teatro ed i libri, e i miei cugini mi consideravano un damerino privo di coraggio. Mi sforzavo di evitare di notare le tende che si muovevano anche quando non c’era il vento, i libri in biblioteca che cadevano dopo che li avevo appena rimessi a posto ed i sussurri che sentivo anche quando ero solo. Credevo di essere pazzo e mi sforzavo di nasconderlo, di celare a mio padre i tremiti che a volte mi scuotevano quando credevo di vedere delle persone attraversare i muri. Tutte le sere, prima di andare a dormire, mentre mio padre si tratteneva a leggere alcuni documenti accanto al focolare mia madre spargeva il sale in un cerchio attorno al letto e si coricava stringendo il crocifisso che portava al collo. Cercavamo di apparire normali quando c’erano gli ospiti, mia madre sorrideva ed era bella come una dea, io ero un ragazzo rispettoso e perfettamente istruito, mio padre sembrava rasentare la perfezione per un ricco borghese. Ma quando eravamo soli con la servitù…presto iniziarono ad andarsene, garzoni e cameriere, finché rimasero solo il maggiordomo, la governante e la cuoca. Una sera passeggiavo nel bosco qui vicino, alla ricerca del cucciolo della mia cagna preferita che si era perso e mi ritrovai davanti ad un Hugo affamato ed in fin di vita.”
“Avevo fame” prese la parola l’altro ragazzo “Tanta fame…qualcosa di incontenibile, una voracità che non avevo mai provato. Ma non potevo uccidere un essere umano…non me lo sarei mai perdonato. Quei secondi che avrei impiegato a nutrirmi furono persi e con loro anche le mie ultime forze. Vedevo solo rosso… non percepivo più niente, solo un grande dolore diffuso in tutto il corpo. Credevo di stare per morire.”
“Era a terra agonizzante” riprese Paolo “ed io non avevo idea di cosa fare… per uno strano caso, forse potrei chiamarlo addirittura miracolo, passava di lì una donna. Aveva lunghi capelli rossi, la pelle candida, le labbra grandi e rosee. Era scalza, ricordo. Sono una strega, mi disse, non disturbarmi mentre lo salvo.”
“Mi giudicò immensamente nobile e coraggioso, a quanto pare “Hugo sembrò quasi ironizzare” così mi salvò. Non avrei più avuto bisogno del sangue per vivere, solo di un po’ di calore umano, e potevo tornare alla luce del sole, ma ero quasi morto. Sarei diventato un fantasma, se non fosse arrivata. La trasformazione era già iniziata, per questo posso svanire nell’ombra, anche se attraversare i muri per me è davvero difficile. Per non rendermi praticamente invincibile la strega mi legò a questa casa. Non posso allontanarmi da qui a meno che il padrone non me lo ordini e non invecchio mai” sorrise amaramente “abbastanza ancorato a questo Mondo per non andare nell’Oltretomba ed abbastanza morto per non vivere come un uomo normale. Se la mia è vita.”
“Gli spiriti della casa mi volevano morto.” Paolo interruppe l’amico. Una mattina, dopo che mi fui svegliato come di consueto per andare a far visita a Hugo che viveva allora nel deposito degli attrezzi, quella piccola casetta a cui adesso manca un muro, mi diressi in soffitta per andare a leggere qualcosa.” Si interruppe, abbassando lo sguardo “Ero proprio su questa poltrona…ricordo che leggevo il fantasma di Canterville. Quella parte in cui Virginia riesce finalmente a far sì che inizi il suo eterno riposo, hai presente?” Annuì “Poi sentì delle voci…mani che mi sfioravano ma che non vedevo, labbra vicine al mio orecchio, sussurri, fruscii…mi dicevano che sarebbe stato bello, l’eterno silenzio, i giardini della morte…volevano convincermi che avrei dovuto lasciare questo mondo quella sera, che Hugo avrebbe dovuto bere tutto il mio sangue… che ero scampato ingiustamente alla vecchia signora con la falce. Non volevo morire… io volevo vivere” la sua voce si era fatta strozzata.
“Paolo…” Iniziò Hugo, l’espressione preoccupata.
” Non avevo fatto nulla… non avevo viaggiato, non avevo studiato abbastanza, non ero ancora cresciuto… volevo fare tante cose. Conoscere una ragazza, avere una famiglia, imparare ad andare a cavallo, studiare legge, trovare risposte alle mie domande sulla vita… volevo semplicemente vivere, perché mi sembrava solo di esistere, in questa casa. Ma i loro sussurri erano così convincenti, così immensamente tristi… poi quei sospiri divennero grida di rabbia e per quanto cercassi di scacciarli continuavano a girarmi attorno, in un vortice da cui non riuscivo ad uscire. Mi attraversarono… da parte a parte, più volte. Provai un dolore immenso… non ci vedevo più, non avevo più voce, non riuscivo a muovermi. Volevo solo che quelle grida cassassero, che quelle mani sparissero, che tutto quello finisse… poi, il buio. Una luce bianca ed infine mia madre che piangeva inginocchiata davanti al mio corpo seduto sulla poltrona. Non mi feci mai vedere dai miei genitori… sarebbe stato un colpo troppo duro per loro. Passai tutto il mio tempo con Hugo” sorrise “Dopo che i miei genitori lasciarono la villa, gli altri fantasmi smisero anche di tormentarmi ed iniziarono ad ignorarmi. Eravamo io e Hugh contro il resto della casa. Siamo io e lui contro il resto della casa.”
“Non c’è più nessun de Paris vivo” Hugo si era alzato ed avvicinato all’amico “E questo lo sanno bene anche gli altri fantasmi. Perseguitarono tutti i nuovi proprietari della villa, rendendoli pazzi o tentando di ucciderli.”
“Lo faranno anche con me e la mia famiglia…” sussurrai.
“No.” Disse Hugo deciso “li abbiamo convinti a non farlo.”
“Come?” Chiesi.
“C’è qualcosa che tiene tutti gli spiriti ancorati a questo mondo…rancori, desideri insoddisfatti, progetti mai realizzati… ma i fantasmi, di quella che i paesani chiamano casa dei misteri, sono impossibilitati a raggiungere la pace a causa dalla maledizione lanciata contro Dominic de Paris. Se lui non lascia questo Mondo neanche gli altri potranno. Abbiamo promesso loro che un vivo l’avrebbe aiutato a realizzare i suoi ultimi desideri e ad andarsene insieme alla morte a patto che nessuno lo disturbasse. Per questo staranno buoni.”
“Ed io sarei quel vivo?” Domandai.
“Eh già…” Mormorò Paolo “Probabilmente alcuni fantasmi resteranno al cimitero o qui nella casa, come me…”
“Assolutamente no!” Esclamò Hugo “Tu te ne andrai!”
“Non posso lasciarti qui da solo per l’eternità!” Rispose l’altro quasi urlando.
“Ed io non posso lasciare che tu resti una fantasma che si crogiola nel dolore di non aver vissuto, rifugiandosi nei suoi dannati libri e sforzandosi di fingere dei sorrisi per non farmi sentire in colpa!” Hugo stava gridando.
Scese il silenzio.
“Questi discorsi adesso sono inutili” Hugo voltò le spalle a me e a Paolo “se ancora non siamo sicuri che ci aiuterà.” Si girò verso di me. “Allora…aiuterete un povero diavolo come me a rendere finalmente libere le anime imprigionate in questa casa?”
Lo guardai, la camicia leggermente sbottonata, le maniche tirate sù fino ai gomiti, il corpo leggermente appoggiato alla chaise-longue, apparentemente rilassato. Mi soffermai sui pugni serrati, sulle labbra strette e il pacato umorismo che aveva ostentato in giardino che tentava di nascondere, la frustrazione nei suoi occhi azzurri.
Poi spostai lo sguardo su Paolo, ordinato, seduto compostamente, rigido, la preoccupazione completamente visibile mentre guardava il suo amico con aria impotente.
Guardai gli scaffali con i libri vecchi, la carta da parati a brandelli, i dipinti…ricordi di una vita passata che non si era completamente spenta.
Riflettei.
Se li avessi aiutati gli spiriti avrebbero sicuramente lasciato in pace la mia famiglia e avrebbero trovato la pace… sarebbe rimasto solo Hugo, che evidentemente era immortale. Osservai ancora Paolo, poi l’espressione di Hugo che si era fatta quasi implorante e la malinconia di un’esistenza non completamente vissuta investirmi. L’assenza di sentimenti, escluso quel dolore sordo e quella rabbia bruciante, perché le emozioni sono qualcosa che si può provare solo da vivi. Vedere i vivi cambiare, crescere, invecchiare, rimanendo sempre uguali, sempre sul confine tra la Vita e la Morte, senza avere altro a cui pensare se non quello che avresti voluto fare prima, quando ancora respiravi, tutti i sogni che avevi, tutte le risate che ti eri fatto e volevi ancora fare, gli affetti che forse non avresti più rivisto, la rabbia che spesso cede lo spazio al dolore perché tra i due è l’opzione migliore per passare i secoli, accettare di farsi divorare dall’ira e sfogarla sulle persone che si arrivano ad odiare, perché loro possono cambiare la musica, mentre tu sei obbligato a ballare seguendo sempre lo stesso ritmo, sempre gli stessi passi. Questo è essere un fantasma.
“Sì” dissi “vi aiuterò.”