LA CASA DEI MISTERI di Samuela Zella
Corso bambini – Primo Livello
N°534
Faceva freddo. Il mio pickup arrugginito camminava cigolando fra le siepi di una buia strada. Guidavo,pensando a quando sarei tornata a casa;casa dolce casa!Poi,il rombo della macchina si arrestò di colpo:avevo finito la benzina!Mi guardai intorno:mancavano circa 20 km da casa. Pensai di chiamare mia sorella e di farmi venire a prendere:presi il cellulare,mantenendo una finta calma e provai a chiamarla. La fortuna volle che non ci fosse campo. Mi rimaneva soltanto di citofonare e chiedere di usare il telefono. Alla mia destra notai una casa antica,a tre piani,con una luce rossa accesa e l’ombra di qualcuno. All’esterno c’era un albero di carrube. L’edera aveva coperto ogni traccia dell’abitazione,diventata un polmone verde. Il portone era di un legno rossiccio alla cui sommità c’era un leone,quasi avesse il compito di proteggere la palazzina. La figura che avevo visto prima mi diede la certezza di trovare qualcuno in casa e mi spinse a suonare il campanello. Mi venne ad aprire una ragazza bellissima,con una voce ammaliante,che mi chiese cosa volessi. Aveva i capelli neri e lisci,e gli occhi grandi e celesti. Le sue labbra,piccole ma carnose,erano di un rosso fuoco. Mi disse di accomodarmi. Entrai,imbarazzata,nell’atrio,e poi,ella mi condusse nel salone,una stanza dalle pareti di un giallo girasole,un caminetto che ardeva,un tavolo di ottone su cui c’era un vaso pieno di fiori. Era così accogliente! Mi voltai per chiederle dove fosse il telefono,ma la ragazza era scomparsa. Allora mi riguardai intorno:i fiori che prima erano di un fucsia acceso stavano appassendo,lentamente. La bellezza di quel salotto venne rovinata da questo macabro particolare che mi mise una certa inquietudine. Decisi che era il momento di andarmene,e mi avviai con decisione verso la porta. La spalancai e uscii,a testa bassa. Quando rialzai lo sguardo mi resi conto di non essere per strada. La stanza era di un rosa confetto,sovrastata da un grande carillon. I cavalli si muovevano,lentamente,dall’alto verso il basso. Su uno di essi era seduto un pagliaccio,tutto bianco con la bocca rossa. Mi invitò a salire sulla giostra. Aveva i capelli ricci e arancioni e il naso rosso fuoco. Sorrideva e aveva l’aria di divertirsi. Per un attimo mi sentii di nuovo bambina e salii su uno di quei cavallucci senza pensarci due volte. La canzone di sottofondo era romantica,dolce allegra. Guardavo il pagliaccio e ci ridevamo,quando,nel suo sorriso,notai una smorfia. Una smorfia che mi faceva paura.
Le note della canzone cambiarono. L’angoscia cresceva in me. Quando sentii piovere. Mi stavo bagnando. Per un attimo chiusi gli occhi e cercai di dimenticare tutto. Mi convinsi che fosse un sogno. Che tutto sarebbe finito,da un momento all’altro. Riaprii gli occhi ed ero ancora lì,tutta bagnata. Bagnata di rosso. Colava lentamente sul mio corpo,lentamente,quasi a farlo apposta. Alzai la testa:nero. E mi accorsi,lentamente che scendevo sempre più,nel baratro di quell’inferno. Il mio cavalluccio andava giù,e il pagliaccio mi salutava con il sorriso che prima mi aveva reso felice. Aggrappata al mio fidato cavalluccio,andavo sempre più giù. Tutto era buio. Arrivammo a terra. Appoggiai i piedi. Mi sentivo circondata. Voci mi sussurravano. Mi dicevano:-non ti fidare,Bella. Vieni con noi. Lasciati andare … – Poi un grido investì la stanza. Era un grido femminile. Cominciai a correre,in cerca di qualcuno o di qualcosa. Fino a quando mi ritrovai a casa mia:i miei genitori erano seduti intorno al tavolo. Il divano era al suo posto,la cucina anche. E il vaso di fiori si trovava anch’esso sul centrino ricamato da mia madre al centro del tavolo. Mi sentii sollevata,ma forse per la sorpresa,rimasi sull’uscio. Sorridevano. Poi,il pavimento cominciò ad abbassarsi soltanto per la porzione in cui erano seduti i miei genitori,che mi salutavano sorridenti. Una lacrima solcò il viso di mia madre,mentre lentamente scompariva davanti ai miei occhi. Ed in quel momento la soluzione mi sembrava ovvia. Tutti i conti tornavano e tutto mi apparve chiaro . Ogni cosa era al posto giusto. E mi parve ridicolo,in quel momento di disperazione,che anche quel fiore nel vaso stava lentamente appassendo. E chissà,forse,anche io stavo appassendo. La mia anima era lacerata da quel lugubre incubo. Le pareti diventarono lentamente nere. Tutto diventò nero. Ma non avevo più paura. Ormai non poteva spaventarmi più nulla. Ero troppo stanca. Camminai a passo veloce e aprii il cassetto della cucina. La vidi brillare e risplendere. La presi e l’ analizzai lentamente.Com’era bella. Se fossi stata al suo posto … sarei stata solo un mezzo,uno strumento. Parte della recita. Avrei potuto guardare con oggettività la faccenda. Avrei avuto il compito di porre fine a quell’incubo. Avrei avuto la parte della buona. Avrei spezzato le catene di chi era costretto a rimanere lì,in quella casa maledetta. Ma ormai era troppo tardi. Con una spudorata facilità premetti il grilletto.
N°535
Faceva freddo. La mia nuova e brillante Mercedes spiccava fra le siepi di quella strada. Guidavo,pensando a quando sarei tornata a casa,dove mi aspettavano mia moglie ed i miei due figli. Poi,la macchina si fermò,silenziosamente:avevo forato una ruota!Mi guardai intorno:mancavano 400 km per arrivare a destinazione. Pensai di chiamare il soccorso stradale e di farmi venire a prendere:presi il mio smartphone,mantenendo una finta calma e provai a chiamare. La fortuna volle che non ci fosse campo. Mi rimaneva soltanto di citofonare e chiedere di usare il telefono.