LA MORTE TI FA CANE di Daniela Bellandi Primo Livello- Corso Adulti

LA MORTE TI FA CANE

di Daniela Bellandi

Primo Livello- Corso Adulti

LA MORTE DI FA CANE

di Daniela Bellandi

Primo Livello- Corso Adulti

Da lassù poteva vedere tutta la città. Le luci colorate dei negozi che si accendevano una dopo l’altra con l’imbrunire. Era bello guardare dall’alto ciò che lo circondava. Dava un senso di potere. Era come se quel senso di inferiorità e frustrazione per un attimo lo avesse lasciato. Ma aveva deciso ormai, troppi anni aveva passato con questo disagio, troppe le umiliazioni che aveva dovuto superare ogni giorno. E’ vero, aveva solo 15 anni, presto avrebbe cambiato scuola, non avrebbe più visto quelli che sarebbero dovuti essere i suoi amici, ma non ce la faceva più a sostenere tutto e era certo, che come una calamita, avrebbe attirato a sé solo fallimenti, perciò era la decisione giusta. L’ultimo pensiero a sua madre Lisa.

Lei aveva messo al mondo Martino all’età di 19 anni. Nonostante la giovane età, dal momento che aveva stretto tra le braccia il suo bambino aveva acquisito la maturità e il senso di responsabilità di una vera mamma.

Di certo non si poteva dire lo stesso di suo padre Federico. Pochi mesi dopo la sua nascita aveva sposato sua madre, perché messo alle strette dai genitori, ma non aveva mai dimostrato realmente amore per Lisa e soprattutto per Martino, che considerava la causa della sua prigionia matrimoniale.

In casa stava pochissimo, probabilmente frequentava altre donne, e le poche volte che c’era, o litigava con la madre o si chiudeva nella sua stanza a strimpellare con la chitarra elettrica che aveva ricevuto il Natale prima proprio da Lisa.

Era molto giovane anche lui e questo lo poteva forse giustificare, ma lasciare sua moglie e suo figlio il giorno del suo quinto compleanno era imperdonabile. Martino era piccolo, ciò nonostante l’immagine di suo padre che usciva di casa con le valigie, senza degnarlo di uno sguardo, senza nemmeno avergli fatto un regalo di compleanno o meglio di addio, era vivida nei suoi pensieri. Ma ancora più viva e ancora più terribile era l’immagine di sua madre seduta in terra, in bagno, straziata dalle lacrime, e quella frase detta per dolore e rabbia «è tutta colpa tua». Martino sapeva che non lo pensava davvero ma il suo cuore non l’aveva mai accettato realmente. Era colpa sua se il loro amore era finito, colpa sua se suo padre li aveva abbandonati, colpa sua se da quel giorno sua madre dovette fare almeno due lavori al giorno per mantenerli, colpa sua se il sorriso della donna era sempre velato da un’amara tristezza.Era per tutto questo che si era convinto che togliersi la vita avrebbe risolto le cose. E poi a scuola, quello stupido di Davide. Non aveva mai odiato nessuno così tanto, nemmeno suo padre. Ogni giorno c’erano insulti, umiliazioni e talvolta anche schiaffi. Sua madre diceva che era lui che si estraniava senza darsi l’opportunità di avere degli amici. Diceva che anche ai suoi tempi c’erano i “bulletti” della classe e che stava a lui tenerli a debita distanza o magari diventarci addirittura amico. Ma lei non poteva capire e Martino non aveva intenzione di darle altre preoccupazioni.

Fu grazie a Davide che decise che quella fosse la giornata adatta per farla finalmente finita. La mattina in classe, non si sa perché avevano litigato e Davide con solo l’intento di ferirlo gli aveva detto ridendo che aveva fatto bene suo padre ad abbandonarlo, perché era solo un fastidio per tutti e che nemmeno lui evidentemente lo sopportava. Il cuore di Martino si riempì di quella convinzione e prima di diventare un fastidio anche per la sua adorata madre decise di sparire. Il vento tiepido primaverile gli accarezzava dolcemente i capelli. Non era più andato a tagliarli: «mamma si arrabbierà di nuovo», ma ormai sua madre non l’avrebbe più rivisto perciò non esisteva nemmeno più quello stupido problema. Chiuse gli occhi e si librò nell’aria. «Chissà se farà male?», fu l’ultima cosa che pensò e poi più nulla.

Si stava allacciando le scarpe quando un colpo di tosse attirò la sua attenzione. Non ricordava come fosse arrivato nella sua stanza, ricordava soltanto di trovarsi sul tetto della scuola. E soprattutto non si ricordava minimamente del ragazzo che seduto sul suo letto lo guardava con un sorrisetto maligno e sarcastico. Aveva pressappoco la sua età ma fisicamente non si assomigliavano per niente. Martino non era molto alto e piuttosto magro. I suoi capelli erano perennemente spettinati e all’altezza delle spalle, brillavano di un rosso carota, ovviamente naturale. Nonostante il colore dei capelli e due grandi occhi verdi la carnagione di Martino non era poi così chiara. Quella dell’estraneo davanti a lui invece era del colore del latte. Era inquietante, soprattutto perché metteva in risalto due occhi azzurro ghiaccio e dei lunghi capelli biondi. L’altezza poi già notevole era accompagnata da una longilineità innaturale.

Continuando a sorridere quest’ultimo porse la sua mano a Martino in attesa che lui gliela stringesse. «Morriss» si presentò. Martino non fece in tempo a rispondere che lo sconosciuto lo interruppe «si so chi sei e mi stupisco di scoprire che sei dannatamente stupido, visto che non hai ancora capito chi sono. Come ci chiamate voi? Dei della morte? Angeli sterminatori? O quel termine giapponese che amate tanto voi adoranti dei manga, Shinigami? Beh più o meno è così, ovviamente non abbiamo un nome così stupido: chi ci conosce davvero ci chiama tramiti. Coloro che guidano le persone che… beh… si, sono finite.. oops… morte, all’entrata del a) paradiso b) inferno a/b) purgatorio. Una sorta di hostess ma senza quel noioso giochetto con le mani per spiegare le uscite di sicurezza. Ahimè qui non ce ne sono. Anche se…» ma si interruppe velocemente. «Parlami di te piuttosto, perché mai hai deciso di splash! Tuffarti sbadatamente senza acqua?» Martino era confuso, intimorito e poi non avrebbe mai pensato che un Dio della morte, o quello che era si presentasse vestito in giacca e cravatta…bianchi! Non riuscì a rispondere così Morriss incalzo’ «tremendamente noioso… Eppure non sembravi così male da vivo. Sai di anime in pena come te ne ho accompagnate tante, si lo ammetto mai come Peter del “reparto over 70”, ma anche io me la cavo. Si…devi sapere che ogni Tramite ha una fascia di età. E a me sono toccati gli adolescenti, per la mia apparente giovane età, anche se in realtà ho superato da poco la novantina. Anche io sono morto alla tua età, ma di morbillo. Erano altri tempi, c’era la guerra e avrei pagato qualsiasi cosa per ritornare a casa con i miei genitori. Invece ho chiuso gli occhi per sempre in ospedale. Ma ero in gamba e presto sono stato promosso Tramite.» nel suo viso un velo di assoluta tristezza l’aveva reso più umano che mai. Martino ebbe un sussulto: «ma che ho fatto? Suicidarmi a 15 anni! Ma come ho potuto fare una cosa simile? E mia madre? Come l’avrà presa? Sarà distrutta! Io ero l’unico nella sua vita. L’ho uccisa con me..» Il ragazzo non riusciva a calmarsi, a nastro dalla sua bocca frasi che spesso diventavano prive di senso logico. Si era finalmente reso conto di quanto fosse importante quello che aveva, ma era troppo tardi. «Morriss ti prego riportami indietro!» il Tramite perse totalmente il suo sorriso sarcastico. «tutti me lo chiedono, sai, e a tutti do la stessa risposta. Spiacente non si può’ tornare indietro! Ma vedi tu mi piaci particolarmente e io non amo per niente le regole. Ci sono cose della tua vita ormai passata che devi ancora capire. Persone che devi rincontrare e conoscere più a fondo. Non posso riportarti indietro ma posso darti la possibilità di vivere un anno, ma nei panni..beh…di un cane. Un cucciolo randagio in cerca di risposte e della sua strada. Che ne dici accetti?» Martino rimase attonito, la confusione che prima regnava nella sua testa si trasformò in caos totale. Un cane? Aveva capito bene? Era uno scherzo! Morriss lo osservava impaziente, finché non ruppe il silenzio «Hey! Non ho tutto il giorno…perfetto, deciderò io per te. Vedrai che da randagio ti divertirai tantissimo e ridendo a squarciagola sparì». Rimasto solo sentì l’esigenza di uscire di casa, intanto sua madre non sarebbe ritornata fino alla sera o fino a che qualcuno l’avesse informata di quello che era accaduto a suo figlio. Attraversò velocemente il piccolo giardino che separava la strada dalla porta di casa. Camminava senza una meta vera e propria e fu durante questo sconosciuto itinerario che cominciò a percepire i primi cambiamenti. I colori attorno a lui perdevano la solita luminosità era come se un pittore avesse ripassato tutto con scale di grigio. Non serviva strofinarsi gli occhi incredulo, l’effetto non cambiava. Improvvisamente il profumo di sua madre lo fece fermare e incredulo si trovò ad annusare il muretto che costeggiava il marciapiede. Lei era stata qui. Nel frattempo altre decine di odori lo attiravano e piano piano si catalogavano nella sua testa. Non sapeva come reagire. Capiva perfettamente che non c’era niente di normale nell’alzare la gamba su un muro e farsi prontamente pipì nei pantaloni, ma era un istinto incontrollabile che doveva assecondare ad ogni costo. Era nella piazza centrale davanti al suo negozio di videogiochi preferito quando di punto in bianco si trovò accasciato in terra. Sentiva di non avere più le scarpe ma soprattutto sentiva il terreno sotto di lui in modo diverso, come se sotto ai piedi ci fossero dei veri e propri cuscini. Ma presto capì che non era nulla di tutto ciò, bensì le zampe e i polpastrelli tipici dei cani. Non fece in tempo a stupirsi che d’impulso cominciò a grattarsi ripetutamente il collo. In un attimo scoprì che i suoi capelli erano stati sostituiti da del pelo corto ma morbido e che le sue orecchie adesso erano sporgenti e dritte sulla sua testa, con la parte più alta piegata verso il basso.

Il suo corpo si era completamente trasformato in quello di un cane, ora restava l’ultima prova da fare: la voce! Provò a dire il suo nome scandendo lentamente le lettere ma invece di una parola uscì un guaito davvero ridicolo. Si poteva dire che non aveva certo un abbaio molto virile, tanto da pensare che pure da cane era un cosiddetto “sfigato”. Questo pensiero, non sapeva perché, lo metteva di buon umore. Morriss gli aveva anticipato che sarebbe stato un randagio e per prima cosa un vagabondo doveva trovarsi da mangiare anche perché così affamato non era mai stato.

Girava per le strade con il naso per aria in cerca dell’odore di qualcosa di commestibile e vicino, ma tutto sembrava inutile finché non capitò davanti al panificio dove era solita comprare il pane sua madre. Il profumo del pane appena sfornato non fu l’unica cosa che attirò la sua attenzione dalla vetrina riuscì per la prima volta a vedere la sua nuova immagine. Era palesemente ancora un cucciolo, sembrava un batuffolo di cotone tutto bianco, a parte una mascherina nera sul muso e nell’estremità più alta delle orecchie. Stava ancora guardando la sua immagine riflessa quando dalla porta di fianco a lui un giovane ragazzo uscì sorridendo. L’unica persona che non avrebbe mai voluto incontrare: Davide!

D’istinto a Martino si drizzò il pelo e gli ringhiò minaccioso. Finalmente poteva vendicarsi. Ma più cercava di essere minaccioso più gli uscivano dei suoni ridicoli e dolcissimi come un peluche che veniva schiacciato.

Davide non solo non fu intimorito ma si dimostrò completamente impazzito di gioia e di affetto per quel cucciolo. « Sei affamato piccolo?» Martino provò ad intimorirlo in qualche modo ma improvvisamente il suo stomaco “rispose” alla domanda del ragazzo.

Un panino caldo e soffice gli si presentò davanti al muso e Martino non seppe resistere. Senza nemmeno accorgersene si trovò in braccio al ragazzo. Era davvero stanco, gli occhi gli si chiudevano da soli. Cercava di combattere il sonno per pianificare una via di fuga ma l’abbraccio di Davide era caldo e in men che non si dica Martino si era già addormentato tra le braccia del suo nemico.

Si svegliò dopo un paio d’ore e notò che era su un enorme cuscino morbidissimo posto su un letto singolo. Doveva essere la camera di Davide. Lo aveva intuito dai poster di personaggi sportivi alle pareti e dalle decine di fumetti che riempivano la libreria. Guardando i titoli scoprì che erano davvero molti quelli che anche lui aveva amato quando era ancora un ragazzo. Gli sembrò di ridere, ma uscì prontamente un buffo guaito. Sentì arrivare di corsa Davide. « ti sei svegliato Casper?»

Aveva sentito bene il suo nuovo nome? Era Casper? Come il fantasmino dei cartoni. Era uno scherzo? O il destino era stato così sadico e ironico da farlo chiamare in quel modo? Ahimè, anche questa volta fu Davide a decidere e Casper sia!!

Le giornate con il suo nuovo padrone passavano inaspettatamente bene, nonostante cercasse ripetutamente di morderlo “Martino/Casper” si stava affezionando davvero. Gli aveva insegnato un sacco di giochi, passavano tutto il tempo libero insieme e quando Davide non poteva giocare con lui, magari per lo studio Casper si appallottolava sulle sue gambe e dormiva felice. Spesso aveva malinconia di sua madre ma le cure del ragazzo celavano prontamente quel dolore. Della sua vita si occupava esclusivamente lui con amore e responsabilità, dalla pappa ai bisogni fuori, dal bagnetto alle cure veterinarie, tutte detratte dalla sua paghetta. Casper o meglio Martino cominciava seriamente a domandarsi se fosse stato lo stesso ragazzo che a scuola lo umiliava e spesso lo picchiava.

Ma solo una mattina capì davvero che dietro alla maschera di durezza di Davide c’era una persona molto sensibile e buona. Stavano facendo colazione, quando sua madre esordì: «ho visto la madre di Martino ieri pomeriggio. Pensano seriamente che si sia suicidato. E’ una cosa terribile!» il ragazzo subito non aprì bocca, ma poi rispose in un modo davvero inaspettato: «pensa come doveva stare male, mamma. Pensa cosa doveva sentire dentro di lui per fare una cosa del genere. Sai spesso lo prendevo in giro pesantemente, non avrei mai dovuto.» la madre lo interruppe rassicurandolo e spiegandogli che Martino sapeva che erano scherzi tra ragazzi e che purtroppo ci sarà stata una motivazione ben più seria. Ed ecco che Davide fece rimanere di sasso il giovane cane che lo stava osservando attentamente: «A volte mi manca davvero molto». Ma non ebbe il tempo di elaborare il valore di quest’ultima frase che dalla porta d’ingresso entrò un uomo molto alto e robusto. Doveva essere suo padre. Era la prima volta che Casper lo vedeva. Nemmeno a scuola si era mai fatto vivo. Nonostante fossero parecchi giorni che l’uomo non si presentava a casa il figlio e la moglie lo salutarono come se fosse rientrato dopo essere stato via solo cinque minuti. E ancora più strano fu il repentino cambio di argomento in modo quasi imbarazzato se non spaventato. Solo più avanti Casper avrebbe capito che la sensibilità di Davide non sarebbe di sicuro stata capita dal padre. Dopo la scuola Davide si chiuse in camera sua per studiare come ogni giorno, ma questa volta a distrarlo c’erano le urla dei suoi genitori che litigavano nella camera a fianco. « La tradisce continuamente e vuole pure avere ragione» la faccia di Davide si era trasformata, sembrava come deformata da una rabbia accecante. «non lo sopporto più, sono stanco» con le lacrime agli occhi strinse tra i pugni la matita, spezzandola. Il cane gli portò il guinzaglio con l’intento di farlo scappare un attimo da quella casa. E quando, come ogni volta, suo padre cominciò a insultare la moglie per aver cresciuto un inetto di figlio, un buono a nulla, Davide raccolse l’invito del suo amico a 4 zampe. Casper cominciava a capire molte cose. Erano davvero simili loro due e quell’atteggiamento superiore e strafottente che aveva sempre avuto verso di lui era il suo modo per nascondere tutto il suo dolore. «Dove stai andando? Devi finire i compiti! vedi di diplomarti se non vuoi che ti cacci a calci nel sedere insieme al tuo cane. Cerca di prendere esempio da tuo padre che alla tua età era già caporeparto di un’officina. Prendi esempio e cerca di diventare come il tuo vecchio!» Era un monologo. Il figlio non poteva e non voleva rispondere. Chiuse la porta di casa con foga e morsicandosi le labbra disse rivolto al cielo: «io non sarò mai come te. Io lotterò e sarò migliore di te! Lo giuro!» Casper gli leccò le mani, avrebbe voluto stringerlo e dirgli che ce l’avrebbe fatta, che ne era sicuro. Erano molto simili, ma la forza di Davide che era mancata a Martino. Chissà dove sarebbero arrivati se fossero diventati amici?

Ormai aveva dimostrato a Davide che nonostante la giovane età sapeva tornare a casa solo e spesso saltando la staccionata del giardino lo andava a prendere a scuola, con in cuor suo la speranza di vedere sua madre. E fu proprio in questo modo che la rivide dopo quasi due mesi dalla sua morte. Stavano proprio tornando da scuola, quando incrociò il suo sguardo. «ciao Davide, che bel cagnolino» Casper cominciò a tirare verso la donna voleva saltarle in braccio, baciarla e piangere con lei. «Le piace particolarmente signora, guardi come tira per venire da lei». Con un debole sorriso ammise di essere terrorizzata dai cani declinando cosi l’invito del cucciolo e cambiando strada salutando il ragazzo. Casper era deluso ma convinto che per un attimo gli occhi di sua madre avessero visto dentro di lui dentro il vero Martino.

Ma del vero Martino ogni giorno rimaneva sempre meno. I ricordi di ragazzo sembravano piano piano dissolversi lasciando posto a quelli della sua nuova vita da cane e questo non gli dispiaceva affatto. Ma era tutto troppo bello.

…La piazza era gremita di gente, un rumore assordante, e poi un altro, e un altro ancora…Gli venne in mente la prima volta che, ancora bambino, lo portarono a vedere i fuochi d’artificio nel paese vicino al suo. Ne era affascinato e non ne era per niente spaventato. Invece adesso gli sembrava d’impazzire. Era terrorizzato. A guidarlo solo l’istinto di scappare, tornare a casa o almeno nascondersi in un posto sicuro al riparo da quei rumori terrificanti. Il collare gli stringeva la gola, si sentiva soffocare ma era più forte di lui, doveva scappare! Uno strattone più forte e il guinzaglio scivolò via dalle mani di Davide. Invano il suo tentativo di fermarlo, Martino era già lontano. Correva disperato tra la folla che incantata, dai giochi pirotecnici non lo aveva nemmeno notato. La sua corsa continuò fino a una piccola baracca abbandonata ai bordi della spiaggia. I pescatori la utilizzavano in passato per tenerci le esche le canne e tutto il necessario per la pesca. Non gli era del tutto sconosciuta ma era buio era spaventato e non riusciva a capire dove potesse trovarsi. L’unico pensiero: Davide! Lui non l’avrebbe mai lasciato da solo, l’avrebbe cercato fino in capo al mondo. D’altronde era il suo migliore amico. Decise cosi di riposarsi un po’ nell’attesa che arrivasse Davide. Rannicchiato vicino alla porta della baracca con il muso sulle zampe anteriori si addormentò sognando di abbracciare presto il suo padrone. Dormiva ancora ma come sempre vigile e attento quando si sentì tirare la coda con forza. La bocca spalancata nel finto tentativo di morsicare il colpevole. Girò il muso all’attacco e vide Morriss che si divertiva beato. Il gelo gli trapasso tutto il corpo. «sono morto di nuovo? Che ho combinato questa volta?» così ruppe il silenzio il ragazzo/cane davvero spaventato. « Sei vivo come non lo sei mai stato mio caro Martino! Perdonami, Casper! Solo che è passato un anno proprio oggi e sono venuto a riscuotere il mio premio.. » « Tu sapevi che sarebbe andata a finire così, che Davide sarebbe diventato il mio padrone che proprio oggi sarei scappato da lui» mentre Martino parlava le sue sembianze umane riprendevano possesso del suo corpo, ma il ragazzo non si sentiva per niente a suo agio. «modestamente ho conoscenze importanti “ai piani alti” e qualcosa mi era stato anticipato» rispose Morriss con fare ironico. «Prima di portarti via con me voglio farti vedere due cose». Davanti a lui si materializzò uno schermo che proiettava degli ologrammi. «La prima immagine che vedi è tua madre nel momento stesso in cui ha appreso la notizia della tua morte.» Davanti a lui una visione terrificante: sua madre si dimenava tra le braccia di alcuni medici, con il viso straziato dal dolore e dalle lacrime, tremava convulsamente, finché all’improvviso stramazzò a terra svenuta. A seguire alcune immagini della quotidianità della donna. Non c’era un momento dove lei fosse serena o non piangesse, il velo di malinconia e di tristezza che aveva da quando suo marito l’aveva lasciata era diventato una maschera di dolore che le aveva plasmato totalmente i lineamenti. Spesso si chiudeva nella stanza di Martino e stringendo il suo cuscino implorava il figlio di perdonarla. Martino urlò al vento che non era colpa di sua madre che…no, lei non centrava. Si sentì lacerare il cuore, si buttò in terra e cominciò a prendere a pugni la sabbia. Morriss voleva abbracciarlo ma si limitò a sfiorargli la testa con la mano. Aveva sbagliato tutto, l’aveva resa ancora più infelice dandole un dolore che non l’avrebbe mai abbandonata. Ma Morriss gli aveva detto che c’era un’altra visione da mostrargli.

Questa volta davanti a lui le lacrime strazianti di Davide, la sua ansia, il suo correre a perdifiato per cercarlo. Il gridare che era il suo unico amico e per nulla al mondo avrebbe potuto fare a meno di lui. Questa volta Martino reagì violentemente. Velocemente strinse la sua mano destra al collo di Morriss conscio del fatto che non gli avrebbe fatto niente visto chi era in realtà, ma era stata una reazione spontanea. «cosa vuoi dimostrarmi Morriss? Forse che sono solo capace di fare soffrire le persone, che sono la causa di tutti i mali? Beh…questa volta ti sbagli di grosso, ho sbagliato tutto con mia madre ma ho coltivato la possibilità che mi hai dato con amore e intelligenza e mai e poi mai avrei fatto soffrire Davide. Lui ha bisogno di me, come ne aveva la mia mamma ma non posso tornare indietro perciò darò a lui tutto quello che avrei dovuto dare a lei. Nessuno soffrirà più per causa mia! » Morriss lo guardò soddisfatto. « e cosi ci sono riuscito.. Hai capito che non era questo che volevano coloro che ti amavano. Che Davide è solo un ragazzo con tanto dolore nel cuore. Che suo padre non l’ha abbandonato ma è come se lo facesse ogni volta che si vergogna di lui. Che tua madre si sentiva viva solo quando tornava a casa e vedeva il tuo viso anche se spesso imbronciato. E soprattutto hai capito che la vita è un bene troppo grande. Guarda me, dall’alto della mia posizione invidio te che puoi vivere ancora nelle sembianze di un cane. Ma proprio per questo la scelta è tua: vieni via con me, con il tuo bagaglio di ricordi sbiaditi, con ciò che hai imparato, sapendo che vicino a te c’erano davvero molte persone che ti amavano; oppure decidi di restare con Davide ma cancellando tutti i tuoi ricordi; sarà come se non fossi mai stato Martino». Morriss lo abbracciò affettuosamente.

…Era la sera dell’ultimo dell’anno, le persone erano in fibrillazione per i fuochi d’artificio. Davide teneva forte il guinzaglio nonostante avesse il cane in braccio stretto stretto a lui. Cominciarono i botti che stranamente a Casper piacevano, era divertito e a ogni esplosione leccava la faccia del suo padrone e ululava alla luna. Finiti i giochi pirotecnici si liberò dall’abbraccio del padrone e cominciò ad annusare i vestiti delle persone accanto a lui. Finché un odore strano acre fastidioso attirò la sua attenzione. In un attimo davanti a lui la sua vecchia vita di cui fino a quel momento non ricordava più nulla. Una piccola ferita si aprì nel suo cuore e poi Morriss. Casper fu terrorizzato «tranquillo sono qui solo per un salutino» con un cenno del capo gli indicò una donna tra la folla. Sua madre! Con coraggio le si buttò tra le braccia cominciando a leccarle il viso. Lei incredula ma per niente spaventata rispondeva alle coccole del cucciolo. Poi un istante i suoi occhi dentro quelli del cane… Martino! Solo un nome sospirato e una lacrima a rigarle il viso. Poi il mondo tornò alla normalità, il cane disorientato ritrovò Davide, ora potevano tornare a casa.

Daniela Bellandi

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