LO SCONOSCIUTO di Francesca Arcangeli
Corso Bambini- Secondo Livello
Era una sgargiante serata di fine ottobre. Il cielo aveva sfumature rosso cremisi e gli ultimi uccelli svolazzavano allegri verso il proprio nido. Passeggiavo per una vecchia strada di campagna fatta di sporco e consunto asfalto, per una destinazione a cui non dovevo neanche pensare. I miei piedi l’avevano percorsa così tante volte nell’estate che ormai ci avevo fatto l’abitudine. Un leggero ma gelato vento scompigliava i miei capelli gettandoli all’aria e il mio naso iniziava a congelare, ma ero troppo presa dai miei pensieri per badarci, pensieri così complicati che avrebbero mandato in tilt chiunque. La scorsa notte infatti avevo fatto il solito sogno ricorrente, ormai era un abitudine ma mi colpiva lo stesso e nel frattempo mi irritava, si mi irritava perché tutte le volte che lo facevo avevo la sensazione di essere vicina a scoprire qualcosa e che, all’ ultimo momento, mi sfuggiva. Nel sogno mi trovavo in una stanza, aveva le pareti strette e dal soffitto proveniva un illuminazione a luce violetta, senza però bisogno di un lampadario o delle lampadine per estenderla. Il pavimento era di sabbia e non c’erano finestre o porte, a eccezione di una piccola porticina fatta di marmo bianco. Nel sogno mi avvicinavo alla porta e la spalancavo. Dietro la porta trovavo un’ altra stanza, la pareti coperte di antichi ritratti di dame e cavalieri in armatura ma non era lì che dovevo andare, avevo la sensazione di dover andare urgentemente avanti. Passavo un’altra porta, questa volta di legno laccato, e giungevo in un’altra stanza, questa volta rotonda e guardavo su, sul soffitto, dove era raffigurato un sole dorato e rifinito perfettamente congiunto con una mezza luna di un bianco splendente che emanava come un magico bagliore e, dopo questa scena, il sogno finiva. Il bello era che quel simbolo mi ricordava qualcosa ma ogni volta che cercavo di ricordare c’era come una foschia nel mio cervello, come un buco vuoto. Avevo cercato quel simbolo da tutte la parti, su tutti i libri di miti e leggende su cui riuscivo a mettere le mani e tutti quelli che i miei genitori non mi confiscavano. Ma dopotutto loro non erano i miei veri genitori. Avevo vissuto per un anno insieme a mia nonna, l’unica mia parente ancora in vita e quando anche lei morì mi trasferì dal fratello di mio papà, non che non avessi potuto andarci anche prima ma la nonna voleva tenermi con se, diceva che loro non capivano quanto ero importante. Anche solo la parola suonava strana, importante come no, i miei zii neanche mi guardavano. Tutti mi trattavano come se non esistessi e io non mi sono mai lamentata, anzi, a me faceva piacere. L’unica che mi considerava, purtroppo, era la figlia dell’ amica-vicina di casa di mia zia, che non la smetteva mai di prendermi in giro perché non avevo i genitori. In realtà della mia vera madre e del mio vero padre non sapevo veramente nulla, erano scomparsi così senza lasciare traccia o almeno era quello che mi diceva sempre la nonna, eppure vedevo una strana luce nei suoi occhi quando ne parlava, una luce di nostalgia. Avevo camminato per metri e metri senza accorgermene, come sempre. Erano quasi le sette e decisi di svoltare per tornare a casa, la zia si sarebbe arrabbiata ancora di più se avessi fatto tardi per la cena. Tornavo in dietro lentamente come sperando che più tempo rimanevo su quella vecchia strada meno ne passavo nella villetta dei miei zii. Una speranza inutile, lo sapevo già, tanto avrei dovuto passarci una vita intera! Svoltai all’angolo sbagliato e mi trovai in vicolo cieco. In fondo c’era una figura bassa e incappucciata, si avvicinò zoppicando vistosamente e riuscì ad intravedere appena il suo volto alla luce del tramonto. Era un uomo anziano, una cicatrice gli partiva dall’occhio destro fino ad arrivare alla piccola bocca storta e sottile. Aveva la pelle rovinata dal tempo e mi fissava con due piccoli occhi rotondi e neri come la pece. Solo quando fece un altro passo zoppicante in avanti mi accorsi che era vestito in maniera alquanto strana: portava un cappello a bombetta rosso acceso che non si intonava molto ai suoi capelli di un biondo sporco lunghi fino alle spalle. Le sua maglia era piena di strappi e cuciture, di un verde foresta e era abbinata malamente a dei pantaloni lunghi e neri rattoppati con stoffe di diversi colori come verde acido o blu notte. Qualunque persona normale di testa sarebbe scappata via urlando, ma non io, io rimasi lì a fissare quell’uomo dall’aspetto spaventoso, guardando il suo volto duro e solcato dalle rughe e dal tempo ma che, dietro a quegli occhi, nascondeva ancora qualcosa di umano. All’improvviso parlò con una voce dura e rauca: << Allora ragazza tu sai perché sono qui vero?>> mentre parlava si avvicinò ancora di qualche passo.
<>, sinceramente non ne avevo proprio idea. Non l’avevo mai visto, figuriamoci se sapevo che cosa ci faceva lì. Magari era un vecchio parente? Impossibile, me lo sarei ricordato: guarda com’era vestito! Frugai nella memoria ma alla fine mi arresi al fatto che per me era un perfetto sconosciuto e che non sapevo per quale assurda ragione si trovasse in un vicolo buio, di notte e per giunta stesse parlando con me.
A quanto pare interpretò il mio silenzio come un no perché aggiunse un po’ spazientito: << Bene, allora mi toccherà spiegarti tutto dall’inizio. Sai almeno chi sei?>>
A questo punto ero un po’ confusa, forse aveva preso una botta in testa o quella stupida bombetta gli bloccava la circolazione? Certo che sapevo chi ero! Stavo per rispondergli ma mi interruppe: <> disse con un tono di voce che sfiorava l’esasperato.
<< Tu sei un lupo.>>.
Si, a questo punto era chiaro che aveva preso una bella botta in testa. Prima che potessi dire qualcosa, però, mi interruppe di nuovo e disse: <> si frugò nella tasca dei pantaloni e ne estrasse un amuleto. Quasi urlai dall’eccitazione: attaccata a un piccolo filo d’argento c’era l’immagine dei miei sogni, un sole dorato congiunto con una luna brillante. Notai poi che anche lui aveva lo stesso medaglione, ma cosa significava? Forse aveva veramente ragione, ero davvero un lupo? Ormai tutto era possibile. Lo presi tra le mie dita tremanti e me lo infilai al collo, l’effetto fu immediato. Di colpo mi sentì forte e non più fragile come ero prima. Una bellissima sensazione di libertà mi invase da capo a piedi.
<> all’improvviso si trasformò in un grosso lupo marrone e sparì correndo per la strada ormai illuminata solo dal chiaro della luna. Il giorno dopo lo rincontrai e il giorno dopo ancora e, dopo una serie di dettagliate istruzioni, decisi che la sera del giorno seguente avrei provato a trasformarmi.
Così, a mezzanotte di sabato, corsi fuori e andai in un bosco lì vicino. La luce della luna si risplendeva nei miei occhi preoccupati. Magari era stato tutto uno scherzo, impossibile, lui si era trasformato no? Mi concentrai, come aveva detto lui, su un ricordo sereno, il più bello che avessi mai concepito. Pensa, pensa e poi un’ immagine mi venne in mente: la foto dei miei genitori nel salotto della nonna tanti anni prima, sorridenti e felici. Un istante prima ero lì a pensare e un istante dopo correvo. Le mie zampe grandi e bianche come la neve solcavano il terreno veloci e sicure, i tagli dei rovi si rimarginavano subito e sentivo delle voci nella mia testa, dei sussurri. Dopo un po’ che gli ascoltavo capì che erano pensieri, pensieri di persone vicine e lontane da me. Quindi riuscivo a leggere nella mente, ecco il mio potere unico. Mentre provavo a concentrarmi su un singolo pensiero per ascoltarlo scorsi il mio riflesso in un laghetto lì vicino: una grande, bellissima lupa bianca come la luna mi restituiva lo sguardo fiero e poi un ululato lacerò la notte, il mio ululato, un urlo di trionfo per il fatto che finalmente non mi sentivo più fuori posto, che finalmente ero libera. Nelle settimane seguenti appresi che esisteva un posto dove tutti i muta-forma vivevano insieme. Lasciai la mia vecchia e odiata casa per raggiungere quel luogo, un luogo in cui c’erano persone che mi accolsero come un’amica. Il vecchio che avevo conosciuto mi seguì, restammo amici per sempre perché lui mi aveva dato una mano, lui mi aveva portato in un mondo dove finalmente mi sentivo a casa, il mio mondo, il mondo da dove non sarei mai uscita.
Francesca Arcangeli
E’ un racconto bellissimo, anzi stupendo, complimenti!!!