Ho un ricordo nitido della mia infanzia. Anche dei primissimi anni.
Scene, rumori e profumi che ancor oggi mi tengono compagnia.
Dieci brevi racconti che ora dedico a tutti coloro
che nel “Tempo del Coronavirus” possono leggere in pochi minuti.
Le pentole per terra, in mano un mestolo di legno e sotto il sedere un cartone come cuscino. Alle soglie del 1960 avevo poco più di 2 anni e accanto a me c’era sempre Laika, una dolcissima cagnetta di razza Spinone. Pelo marrone, coda in movimento, muso bianco e occhi che parlavano di sentimenti incondizionati. Lei era la mia guardia. Non potevo arrampicarmi sulle sedie, Laika arrivava con il suo scodinzolare e bastava la sua presenza per farmi desistere. E se cadevo potevo contare sul morbido appoggio della sua pancia rotonda.
Tutto succedeva in cucina, anche perché erano solo due le stanze utilizzabili, oltre al minuscolo bagno con doccia e piastrelle verdi pisello. L’altra stanza vivibile era la camera da letto, dove, accanto a quello matrimoniale, dondolava una larga culla dentro la quale mi addormentavo rannicchiata. Sono stata sempre piccolina per la mia età e dunque la culla andava ancora benissimo.
Mia madre aveva sempre il sorriso che illuminava il volto nonostante la scarsità di mobilio e mancanza di ciò che ora mi pare indispensabile. Eppure la donna che mi ha donato la vita appese sulla porta d’ingresso un pezzo di legno sul quale aveva inciso “Casa dolce casa”. Lo aveva fatto sicuramente perché era ottimista e forte dell’amore che la legava allo sposo barbuto, scelto dopo un lungo fidanzamento.
Eravamo finiti in quel minuscolo appartamento a pianoterra. Lo volle mio padre. Infatti ci aveva traslocato temporaneamente dall’Isola della Giudecca a Dolo, nell’entroterra lagunare. Doveva fare comizi e vivere almeno un anno per organizzare riunioni mirate all’elezione del sindaco. Questo lo ricordo abbastanza bene perché le frequentazioni dei miei genitori avvenivano sempre in contesti dove il vociare di uomini e donne si alternava a risate e promesse per costruire un mondo migliore.
Di giochi non ne avevo molti anche se la famiglia che abitava al piano di sopra ci aveva fatto un regalo: la radio! Mia madre l’ascoltava intonando canzoni melodiche e la musica accompagnava il borbottio del sugo al pomodoro.
La cucina era dunque il luogo dove tutto diventava possibile, anche giocare.
Un vecchio mestolo di legno, pentole sbeccate , coperchi ammaccati e un colino storto. Picchiare a ritmo sul pentolame bastava per divertirmi.
Laika sopportava il trambusto standosene accucciata con gli occhi chiusi. Per me quelle pentole rappresentavano non solo oggetti per fare rumore ma diventavano elmi luminosi, cavalli sui quali viaggiare lontano brandendo il mestolo come una lancia altissima e colorata. Tinte di un arcobaleno che sognavo di avere