Ho un ricordo nitido della mia infanzia. Anche dei primissimi anni.
Scene, rumori e profumi che ancor oggi mi tengono compagnia.
Dieci brevi racconti che ora dedico a tutti coloro
che nel “Tempo del Coronavirus” possono leggere in pochi minuti.
Non andavo in chiesa. Non avevo una fede religiosa. Non vestivo con la nuvola di velo quando era il tempo delle Comunioni e delle Cresime. Niente coroncina in testa, niente festa.
Insomma, non ero una piccola sposa come tutte le mie amiche che camminavano verso la chiesa del Santissimo Redentore, alla Giudecca, per partecipare al sacro rito.
La madre di mia mamma, nonna Tisana (sì, si chiamava proprio così), ebbe un’idea per allietare quel giorno per me buio e triste. Mi comprò un bellissimo vestito bianco e blu con tanti fiorellini in evidenza. La sottogonna in velo mi gonfiava come un palloncino e così, anch’io, mi sentii un po’ come le altre. Presa per mano andai in famoso ristorante di Rialto per festeggiare la non-festa. Apprezzai molto nonna Tisana e a pranzo mangiai avidamente tutto quello che il cameriere portava. Eppure, nei giorni successivi, rimasi con il dubbio che dentro la chiesa succedesse qualcosa di straordinario. Un segreto che le altre bambine scoprivano ed io, invece, ne rimanevo all’oscuro.
Cosa mai accadeva in quella grande costruzione con i crocifissi e la scalinata che portava al portone della fede?
La curiosità mordeva lo stomaco e con una banale scusa uscii di casa e attraversai tutta la fondamenta delle Zitelle, scalai il ponte e arrivai con il fiatone davanti alla chiesa. Era un pomeriggio assolato e la scalinata era deserta. Con un certo timore varcai il portone e subito mi avvolse un profumo d’incenso. Enorme, potente, maestosa, la chiesa mi accolse nel silenzio. Nessuno stava pregando e le panche di legno erano vuote. Davanti a me solo l’altare. Ai lati tanti quadri di santi con sguardi estatici. M’incamminai lenta e il rumore dei passi rimbombò facendo sentire la mia anomala presenza. Fui attratta da una statua che s’innalzava alla mia destra, poco prima dell’altare. Raffigurava una donna velata e vestita d’azzurro, totalmente illuminata da lunghe candele bianche. Le fiammelle danzavano nell’aria e quell’immagine fu per me un richiamo fortissimo. Era la Madonna, e lo capii perché tante donne e molte mie amiche, avevano una medaglietta d’oro appesa al collo che raffigurava proprio quella donna.
Con una certa apprensione mi posizionai davanti alla statua. Lo sguardo dolce e fisso di quella donna era un po’ inquietante ma anche invitante. In piedi e con le mani dietro la schiena, la osservai per alcuni minuti. Poi, di getto, le parlai: “Se davvero esisti, rispondimi. Muoviti! Solo se lo farai io ti crederò”.
Le lasciai il tempo per vedere se reagiva. Se davvero poteva spiegarmi il mistero della fede. Se era così sbagliato non indossare il vestito da sposa per la Comunione e se era così grave non conoscere le preghiere.
La statua, ovviamente, rimase immobile. Solo le fiammelle delle candele continuarono a danzare. Abbassai gli occhi e pensai che la risposta non arrivava poiché non lo meritavo. Io ero quella diversa. Ero sbagliata. Ero la bambina che stava fuori dalla porta nell’ora di religione. Ero fuori dalla convenzione delle regole, fuori dalla grazia e della compassione.
Me ne andai a testa china, convinta che nella vita avrei dovuto cercare la quiete e la speranza solo dentro di me. Bambina senza velo ma con la forza di correre su un sentiero impervio, unico e reale.