Ed ora era lì, solo coi suoi pensieri, svuotato da mesi di ossessione per quella sola ed unica donna marmorea che ora era tornata a casa. Sapeva che la sensazione era assurda, in fondo era fiero di quello che era riuscito ad ottenere, ma l’idea di aver esaurito la sua ragione di vita per tutto quel tempo lo rattristava.
Ripensò al suo rapporto col lavoro, al coinvolgimento che provava, all’emozione e al sentimento che ci metteva.
Mise a fuoco l’immagine dell’amico Alberto che ridendo diceva: “Di lavoro si può morire, sai?” e, sorridendo a sua volta, fece per stiracchiarsi le gambe ormai fredde per tornare a casa.
Forse il movimento fu troppo brusco, forse che l’inatteso venuto era perso nei suoi pensieri più di quanto lui stesso volesse ammettere, qualcuno inciampò a piè pari nelle sue gambe allungate e atterrò un metro più avanti fra le foglie ormai ingiallite cadute dagli alberi.
Omobono saltò su come una freccia:
“Ehi, ma cosa fai?! Va tutto bene?”, disse avvicinandosi al mucchietto di vestiti e capelli che cercava di rialzarsi.
“Ohi, ohi…”, fece la povera vittima scuotendosi di dosso le ultime foglie mentre il poliziotto l’aiutava a rimettersi in sesto.
E aggiunse:
“Scusami, era sovra pensiero… è il primo giorno che vengo qui a correre…”
Il viso di quella che si era rivelata una giovane donna era arrossato più dalla vergogna che dal freddo della sera che stava calando e le lentiggini erano diventate più evidenti, ad aumentare l’imbarazzo per quanto era appena accaduto.
Una grossa goccia stava scivolando giù dal naso della nuova venuta, che lei prontamente si asciugò con la manica.
Omobono rimase interdetto, convinto che quello che avrebbe dovuto scusarsi era lui, spiazzato dalla mossa della ragazza e in fondo divertito per quell’atteggiamento inaspettato.
Livia, tale era il nome dello scricciolo in cui il giovane era incappato (o meglio, che era incappata in lui!), interpretò quel silenzio esitante come i prodromi di un astio ancora per poco represso e tornò a dire, senza guardare in faccia lo sconosciuto:
“Mi scusi, davvero, io non volevo…”
Fu allora che Omobono cominciò a ridere di cuore.
La ragazza alzò i grandi occhi verdi, percorsi prima da stupore e poi da irritazione:
“Ah be’! E io che pensavo di averle fatto male! Va bene, se le cose stanno così, buona sera!”
E si voltò per andare via. “Aspetta. Aspetta solo un momento!”.
Il ragazzo si asciugò le lacrime.
“Non volevo offenderti! Ma è stato tutto così buffo!”
Fu allora che, guardandolo, Livia fu contagiata dalla sua ilarità e ripresero entrambi a ridere.