RITORNO A CASA di Giulia Acquistapace – Secondo Livello Adulti. Corso di Scrittura Online

Era il 16 gennaio 2006, mancavano dieci giorni al compleanno di Omobono che guardava insistentemente fuori dal finestrino con i folti sopraccigli ancora scuri calati a incorniciare gli occhi verdi, conferendogli uno sguardo francamente torvo.
Le labbra, strettissime, si aprivano talvolta quasi a voler rompere quell’ostinato silenzio che li
accompagnava da ormai settantacinque chilometri, senza mai concludere tuttavia l’iniziale proposito e richiudendosi secche mentre l’uomo di dedicava a rincorrere il pensiero successivo.
Cercava di rivivere i casi che aveva vissuto da quando aveva iniziato a lavorare in Polizia ad oggi: come sempre, il lavoro costituiva anche quel giorno una via di fuga, un rifugio da quello che sta fuori, da quello che l’attende.
La giacca pesante avvolgeva il suo corpo ben piazzato allungato sul sedile del passeggero: Livia lo guardava con la coda dell’occhio e constatava fra sé come quegli ultimi eventi lo stessero invecchiando.
I capelli, scurissimi quando l’aveva conosciuto, erano ora qua e là brizzolati, la qual cosa gli conferiva un aspetto addirittura più attraente di quanto non avesse fatto il corpo perfetto, su cui recentemente si erano andati ad assommare quei chili tanto odiati da Omobono, ma che conferivano una morbidezza ai tratti duri dell’uomo che amava che Livia non poteva non ammirare.
La dolcezza incondizionata dei primi tempi che faceva pari con il desiderio di proteggerla che
aveva caratterizzato i primi anni del loro rapporto aveva costituito un muro per la ragazza apparentemente invalicabile che aveva posto dei paletti nella conoscenza reciproca.
Solo con pazienza, Livia era riuscita a penetrare nei lati più reconditi della personalità del convivente, scoprendo le sue incertezze, ma senza mai metterle a nudo, nel timore di ferirlo.
Fu così che Livia capì come reinterpretare i racconti che faceva sulla sua infanzia, sugli anni delle Scuole Medie e del Liceo Scientifico a Cremona, sulle varie trasferte e infine sulla scelta della vita in Polizia.
Fu così che Livia capì che nulla poteva rompere il silenzio di quel viaggio segnato dalla consapevolezza di quel passo fondamentale che Omobono doveva compiere: il ritorno a casa.
Tuttavia all’arrivo le aspettative di Livia da una parte e le pause del ragazzo dall’altra non trovarono realizzazione: i cinquanta chilometri furono l’equivalente dei seicento che separavano Roma da Cremona. La loro esistenza continuò tranquilla fra soddisfazioni e delusioni, fra alti e bassi, segnata dallo stesso amore di sempre e dalla presenza costante del solo amico Alberto che li frequentava ora con più assiduità. Finché un fatidico giorno non segnò indelebilmente le vite di tutti e tre.
Omobono si aggirava per la stanza, irrequieto.
Si sedeva, ma all’improvviso un’idea lo distraeva: così balzava in piedi, quasi a voler rincorrere quel pensiero fugace che sembrava illuminare l’umore cupo in cui i fatti degli ultimi giorni l’avevano precipitato. Ma poi nulla. Faceva una giravolta e a lunghe falcate riconquistava la poltrona, lasciandosi stancamente cadere di nuovo. Era la sua preferita: comoda, accogliente. Il
suo verde ormai sbiadito gli dava un senso di vissuto. Il suo sedile ribassato e il morbido schienale lo avvolgevano quasi a volerselo coccolare. La teneva nello studio che gli avevano assegnato in Questura, a mo’ di pensatoio. Ma stavolta non c’era abbraccio che potesse distrarlo dall’irrefrenabile flusso di pensieri misti a ricordi che lo travolgevano.

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