RITORNO A CASA di Giulia Acquistapace – Secondo Livello Adulti. Corso di Scrittura Online

Alberto due settimane prima: com’era? Aveva notato qualcosa lui, l’infallibile poliziotto? Nulla di particolare in realtà: forse solo l’approfondirsi un poco più marcato di quella ruga fra le sopracciglia curate dell’amico. Forse solo la ritrosità di quell’ultima telefonata in cui aveva detto di non sentirsi bene e di preferire un rinvio per la consueta pizza del venerdì sera da Omobono e Livia.
Si sedette di nuovo: perché la cosa lo sconvolgeva così dal di dentro?
Non aveva alcun pregiudizio nei confronti dell’omosessualità. Nonostante fosse cresciuto in una di quelle solide famiglie campagnole per cui l’amore per un essere vivente dello stesso sesso era da sempre un vero e proprio delitto, non aveva mai avuto alcuna remora sull’omosessualità di per sé. Livia aveva un paio di cari amici che condividevano da tempo una casa e nulla li aveva mai
trattenuti dal frequentarli fraternamente mentre si trovavano a Roma. E allora perché tanta rabbia verso questa rivelazione?
Perché tanto stupore prima e tanto astio poi verso quel compagno di vita che non aveva fatto né più né meno di quello che gli consigliava il suo cuore? Per un unico, imperdonabile motivo: non gliene aveva mai parlato. Il ragazzo si sentiva deluso, tradito da quella che viveva come una mancanza di fiducia di Alberto, che non aveva voluto condividere con lui quel dettaglio che da sempre segnava la sua vita.
Omobono spulciava con forza ogni singolo istante vissuto insieme, stupendosi di come non avesse mai sospettato nulla, di come l’amico si fosse sempre barricato dietro una montagna di bugie. O di non detti? Scavava nel passato ripensando alla scuola, alle lunghe telefonate, ai viaggi, alle mail.
Nulla. Non ci trovava nulla.
Il sospetto che Alberto fosse colpevole non l’aveva fino ad allora mai sfiorato. Da quando quella mattina era stato dichiarato lo stato di fermo, il poliziotto si era rinchiuso nello studio, incapace di trovare la forza di guardare negli occhi chi l’aveva tanto mortificato. Aveva chiesto di essere allontanato dalle indagini perché conoscente del principale indagato e si essere assegnato ad una
nuova missione. Era distrutto. E in questa nuova fase di dubbio cosmico, anche l’ultima certezza cadde: e se fosse stato lui? Come gli aveva sottaciuto tutto il resto, poteva benissimo essere che volesse mentirgli anche su quello. Che attore! Che spettacolo! E lui… che ingenuo! Come aveva potuto accadere? Come? Come? Come?
Basta. Così non poteva continuare.

Proprio in quel momento squillò il telefono: “Ispettore Bodini?”
“Sì..?”
“C’è una persona che la cerca all’ingresso. Una certa Livia.”
Livia in Questura? Non era mai capitato. Quella giornata infame aveva già teso i suoi nervi oltre misura: una ennesima sorpresa non avrebbe promesso nulla di piacevole, sicuro.
Riattaccò senza salutare.
Si alzò di scatto, afferrò la giacca e uscì come un fulmine. Fece i gradini a due a due, urtando contro un paio di sconosciuti che facevano le scale in salita. Giunto dinnanzi all’ingresso, colse immediatamente lo sguardo della donna che, dopo un attimo di esitazione, lo abbracciò.
“Amore, ero preoccupata… Ho letto fra le notizie di prima pagina del Cittadino on-line. Alberto. Ma com’è potuto accadere?”
Omobono la prese per le spalle. Sapeva che Livia capiva il suo stato.
“Livia, non qui. Vieni.”
Salutò con un cenno il picchetto e si diresse al bar dinnanzi. Si accomodarono.
“Non devi per forza tenerti tutto dentro! Sei il solito testone. Perché non mi hai chiamata? Da quando lo sai?”
“Lo so da stamattina. Non c’è nulla da dire. Non è affare mio, ho chiesto di essere allontanato dal caso.”
“Non è affar tuo?!”, Livia era sconvolta. “Ma se Alberto è sempre stato come un fratello per te?! E ora mi dici che non è affar tuo! Non ti riconosco più.”
Calò il silenzio.
“Penserai mica che sia colpevole?”, fece la donna dubbiosa.
“Sì, colpevole. Verso di me non c’è dubbio.”
Livia sobbalzò. “E tu cosa c’entri? Verso di te? Oh, Omobono, sveglia! Cosa ti ha fatto ora?”
“Non sapevo che fosse omosessuale.”, Omobono teneva gli occhi bassi.
Livia era sconvolta, non sapeva se ridere o piangere. “Non lo sapevi? Ma sei cieco?”
L’uomo sobbalzò. “Come come? Tu. Tu lo sapevi?”
“Se pensi che ci siamo seduti ad un tavolo e abbiamo cominciato a confidarci ti sbagli di grosso! Era evidente! Non vedevi i suoi modi? Non ti rendevi conto dei suoi atteggiamenti? Bono, tu sei cieco. Posto che non c’è nessun cieco peggiore di quello che non vuole vedere.”
Il poliziotto, colpito, ci pensò su. Livia aveva capito. Perché lui no? Si sentì stupido, soffocato forse da un substrato culturale che, per quanto l’avesse avversato, gli aveva chiuso gli occhi. Si diede del gretto. Forse era vero.
“E dimmi!”, continuò Livia. “Cosa ti aspettavi? Che venisse lì e ti dicesse: amico mio, sono gay? Ma ci sei? Tu che lo conoscevi meglio di chiunque altro, tu che dovresti essergli vicino, ora sei qui a fare il broncio? Ma che uomo sei?”
Aveva ragione. Livia era arrabbiata. E aveva ragione. Alzò gli occhi e incrociò quelli di lei che lo fissavano con aria mista di rimprovero e compassione, delusa per tanta stoltezza. Proprio lei, l’unica donna che non voleva deludere. Ora era lì e lo squadrava da cima a fondo.

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