IMPRONTE DI PARADISO
di Giulia Acquistapace
Primo Livello – Corso Adulti
Il sole morente aveva concluso da pochi istanti l’ennesimo ciclo quotidiano tuffandosi nel mare sul versante della Grecia e le prime luci artificiali cominciavano a punteggiare la costa fino a Santa Maria di Leuca, disegnando una calda linea che delimitava ad occhio nudo nella notte il confine fra terra e mare.
Un uomo, accovacciato, dava gli ultimi ritocchi ai preparativi per la serata: due bicchieri, una bottiglia di champagne in fresca, due sedie a sdraio e tutto lo splendore della piscina solfurea di Santa Cesarea Terme erano un ottimo presupposto per il buon esito dei propri intenti. La Tramontana aveva spazzato per tutta la giornata il mare e il cielo, allontanando le nubi scure e la cappa d’afa che da giorni gravavano il respiro e facevano appiccicare addosso gli abiti leggeri di un fine Settembre che ancora sapeva d’estate. Il cellulare dell’uomo squillò: dall’ingresso qualcuno annunciava visite. L’uomo non attese, riattaccò la conversazione e riprese la posizione eretta. “Grazie al cielo”, pensò fra sé mentre si allontanava per ricevere l’ospite. Fece a due a due i gradini che lo riportavano a livello della strada e sfoderò prima dell’ultimo balzo il miglior sorriso, che andò tuttavia a spegnersi non appena scorse di spalle il venuto. “Ci mancava solo questa. Devo liberarmene al più presto o andrà tutto a monte prima ancora di cominciare, maledizione!”. Intanto il nuovo venuto si voltò senza entusiasmo al gesto del bagnino che indicava l’arrivo della persona richiesta. “Buonasera, dottore.”
“Buonasera a lei. A cosa devo il piacere della visita?”, mentre i tratti del volto tradivano il fastidio e l’impazienza.
“Ma prego, accomodatevi.” Il visitatore guardò dal sotto in su l’uomo che era venuto a cercare: “Spero di non aver interrotto nulla.” “Non vi preoccupate, mi preparavo alla mia consueta nuotata. A causa di impegni per oggi è stata posticipata e non saranno certo altri cinque minuti di attesa a rovinarla”, disse, sottolineando quei cinque minuti come a voler indicare il tempo massimo concesso per qualsiasi rimostranza (e ne era certo: se lo sgradito ospite si era preso al briga di venir fin lì, si sarebbe trattato sicuramente di una questione spinosa). Fece quindi strada facendo un cenno di congedo al bagnino che, sollevato, tirò giù con uno strattone la saracinesca del suo baracchino e si diresse con passo svelto verso casa.
*
CAPITOLO I
“In questo campo ci starebbe a meraviglia un gregge di pecore.” L’ispettore Anna De Rosa era così: se ne usciva all’improvviso con i commenti più improbabili senza una connessione logica col resto del dialogo. E suonavano ancora più assurdi se calati nel silenzio astioso di una deviazione tanto inattesa quanto inopportuna nella campagna salentina arsa dal sole. Il commissario sbuffò, guardando di sottecchi dallo specchietto retrovisore la collega abbandonata sul sedile posteriore dell’auto che, con sguardo svogliato, perlustrava il paesaggio senza prestare grande attenzione e soprattutto senza dare un sostanziale contributo nel raggiungere la meta. La cartina giaceva senza vita sulle gambe della donna, che teneva fisso il dito in un punto imprecisato della Puglia, mentre con l’altra mano si aggrappava alla maniglia del passeggero per evitare gli scossoni dati dalle buche della strada secondaria. “De Rosa, questo non è il presepio: un gregge qua, due pastori lì. A meno che non ci sia anche una stella cometa che ci conduca a destinazione!”. Nicola Renzi, al volante, sogghignò sotto i baffi. “E tu, Renzi, che ti vanti di essere del luogo! Invece di ridere: dove siamo? Non dirmi ancora che ci siamo persi! Se andiamo avanti così quel morto farà in tempo a diventar polvere prima del nostro arrivo!”. Renzi tornò serio: “Dotto’, non si preoccupasse! E’ qui, è qui! Siamo già a Porto Badisco: sa, qui mi ci portava sempre la mia nonna in bicicletta. Sapesse che mare! Anzi, se solo avessimo tempo, magari di ritorno…” “Renzi, guida e non fare programmi! E sbrigati, o persino il magistrato sarà lì prima di noi!”. “Comandi, commissario!”. Il silenzio tornò sull’auto che sfrecciava ora più decisa lungo la strada costiera che collegava Otranto a Santa Cesarea Terme, costeggiando ora la costa ora la campagna brulla, interrotta ora qui ora lì da qualche raggruppamento d’alberi selvaggi resistenti all’arsura. Le poche case di Porto Badisco passarono rapide al di là del finestrino e così il pezzo di discesa che ancora separava la Polizia dal luogo del ritrovamento. Arrivati in città, Renzi accostò parcheggiando con difficoltà l’auto al bordo del marciapiede della strada secondaria affollata che conduceva allo stabilimento termale. Il commissario saltò giù prima della fine della manovra, allontanandosi ma non abbastanza in fretta per non vedere gli ultimi dettagli dell’operazione: un colpo dietro ed uno davanti avevano concesso al pilota, con disappunto del superiore, di piazzarsi a puntino fra l’ambulanza e quella che ad occhio e croce poteva essere la macchina del medico legale: una punto anni Novanta da cui la dottoressa Malabarba, per motivi ignoti, non voleva separarsi.
“Commissario Melissano, prego per di qua.”, gli si fece incontro un uomo sulla cinquantina, verosimilmente il responsabile in seconda delle terme, dal momento che l’amministratore delegato, scesi alcuni scalini, giaceva su una sdraio al bordo della piscina sulfurea, evidentemente morto. “Dottor Riboni.”, fece Melissano. “Com’è successo? Avete qualche sospetto?” Il commissario già sapeva dalla recente telefonata intercorsa col medico legale che molti parlavano di suicidio. Riboni confermò quanto anticipato: “L’ha trovato qui il bagnino, il Vito (sottolineando con l’anteposizione dell’articolo al nome quanto le sue origini fossero lontane dal luogo del delitto). C’era una bottiglietta marrone con della polverina lì ai piedi della sdraio e lui era lì”, fece indicando con l’indice, “ proprio come lo vedete adesso. E poi c’erano i bicchieri, la bottiglia di champagne intatta… Sa, il Vito non l’ha voluto toccare! Che se poi la jella…” “Basta così”, fece Melissano, interrompendo quei commenti molto meno lombardi della dizione del nuovo facente funzioni. “Qualche problema? Qualcosa che secondo lei possa giustificare un gesto estremo come questo?” “Bha, non saprei. Lo stabilimento andava a gonfie vele. Anzi, Aldo aveva in mente qualcosa che proprio in questi giorni avrebbe fatto fare il salto di qualità alla struttura. Era un segreto, voleva parlarcene solo ad affare concluso, ma si vedeva che era al settimo cielo. Forse, ma non so… sa… il paese è piccolo… i pettegolezzi…”. Era evidente che Riboni voleva parlarne. “Vada avanti”, fece Melissano. “Bhe, sa… dicono che Aldo da qualche tempo si frequentasse con la Nina, la moglie del dottor De Bellis, il medico qui dello stabilimento. Lo sapevano in pochi, né! Fatto sta che il dottore aveva vinto un posto a Viterbo, in clinica, ed era intenzionato a lasciare Santa Cesarea con la moglie. Che so, magari non sopportava di essere lasciato… Sì perchè le donne fanno così, dicono dicono, ma quando si tratta poi di fare…” “Va bene, basta così.” Senza aspettare altro, il commissario andò verso il cadavere. “Fermò lì!” Melissano inchiodò. Scocciato, si voltò lentamente a vedere da dove la voce provenisse. Di lì a pochi metri c’era un omone appoggiato alla cinta di recinzione della piscina, imponente nella divisa arancione sormontata dalla chiara scritta: 118. “Prego?”, scocciato il commissario. “Sta’ a inquina’ la scena.” L’accento era romano, forse più di acquisizione che di nascita. Fumava un sigaro corto, depositando con cura la cenere nel piccolo contenitore ormai vuoto, attento a non disperdere tracce di tabacco bruciato. “La scena?” “L’ho delimitata, non vede?” Melissano si voltò: in effetti, di lì a poco il suolo circostante al cadavere era delimitato da nastro fluorescente. Gli oggetti entro il perimetro erano a loro volta etichettati con piccoli numeri e delimitati da stretti circoli di indelebile nero. “Bene, bene. Giochiamo al piccolo investigatore pure!” “Io non gioco. Ho delimitato la scena.” ribadì scocciato. Melissano si arrese. “Ho il piacere di parlare con il dottor…’” “Ulisse Lellis. Sono infermiere.” Non si preoccupò di stringere la mano che il commissario gli tendeva. Spense nella scatoletta definitivamente il sigaro. “Ho sentito tutte le stronzate che quello là – indicando con un cenno di sufficienza del capo Riboni – le ha raccontato. I bicchieri sono due. Uno è finito là, dietro la sedia a sdraio. E a me ‘sta storia non piace. E poi là c’è un’impronta. Ho isolata anche quella.” Il commissario rimase perplesso: non si fidava per usuale diffidenza, ma non si sentiva di bollare come stupidaggini le affermazioni di quell’infermiere che in fondo sembrava saperla lunga. E non solo a parole. Si limitò quindi a un cenno e procedette, aggirando la scena. Il medico legale era già lì. “Nella.” “Oronzo.” Si erano conosciuti ad una prima visita alla questura di Bari pochi mesi prima del trasferimento di Melissano dalla questura di Lodi. La dottoressa, bassa e rotonda, gli aveva subito ispirato simpatia. “Ti aspettavo. Sei invecchiato. Quanto ci hai messo?” Il commissario si passò la mano fra i capelli grigi che gli arrivavano alle spalle, abbassando gli occhi scuri sulla pancia un poco prominente al di sotto della camicia rigata azzurra e bianca. “Lasciamo perdere. Tu invece? Cosa mi dici?” “Ritengo improbabile il suicidio, se lo vuoi sapere. Troppo gonfio. Non ti so dire altro. Appena possibile, prenderò il tutto e lo porterò in laboratorio per l’analisi.” “Bene. E dell’impronta?”, aggiunse di malavoglia. “Uh, uh! Hai conosciuto il nostro Ulisse!”, fece Malabarba. Il commissariò fece un basso rumore gutturale in risposta, con una vaga cadenza interrogativa. “E’ un ottimo infermiere legale, lavora al 118 nella sede di Gallipoli. Abbiamo già lavorato insieme. E risolto alcuni casi grazie alla sua competenza. Non lo giudicare: lui è così. Ma ti potrà essere di aiuto, fidati. E’ in gamba. Comunque – dopo una breve pausa – non mi dice nulla l’impronta. Fra poco arriveranno i RIS, fagliela notare. Appena so qualcosa ti chiamo. Arrivederci, Oronzo!” “Arrivederci, Nella.” Si separarono, il medico legale verso la sua borsa e il commissario verso i suoi che nel frattempo l’avevano raggiunto. “De Rosa, con me.” Si allontanarono aggirando la piscina e si accomodarono per guardare in distanza la scena. Anna estrasse il block-notes. “Abbiamo un cadavere, Aldo Frontini, amministratore delegato dello stabilimento termale. Abbiamo due bicchieri e una confezione dal contenuto ignoto. Abbiamo un amante, Nina Cova, e un marito cornuto, tale medico del centro termale, dottor…” “Livio De Bellis, titolare di un posto a Viterbo, in partenza nei prossimi giorni.” “Brava! Vedo che hai seguito.” Anna si limitò a scuotere i capelli ricci raccolti un una corta coda di cavallo. Gli occhioni verdi guizzavano sulle parole annotate. “Abbiamo un probabile futuro amministratore delegato, Giacomo Riboni. Abbiamo un bagnino, Vito Russo, l’ultimo dei presenti a vedere la vittima viva e il primo a ritrovarlo cadavere. E’ lì, nell’angolo. Se poi vuole interrogarlo…” “Vedo che hai già provveduto. Che ti ha detto?” “Niente di più di quello che ho riportato ora. Era sconvolto e spaventato. Ed ha un alibi: stanotte ha dormito dalla fidanzata, tale Grazia.” “Va bene, ci preoccuperemo poi di verificare.” Nel frattempo giunsero i RIS e con loro giunge anche il magistrato. “Dottor Marangi.” “Dottor Melissano – si salutarono. Novità?” “Per ora nulla, ma stiamo indagando. A quanto pare ognuno dei coinvolti ha una propria versione dei fatti.” “Bene. Cioè, male. Smobilitiamo il prima possibile. L’aspetto fra due ore qui in comune nell’ufficio dei Vigili per il punto della situazione. E mi raccomando Melissano, discrezione. Discrezione!”, e si separarono.
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