TASSO ZERO
Anna Maria Lisci
Primo Livello – Corso Adulti
Lia correva, infagottata nel pesante capotto nero fuori moda, correva a perdifiato sul marciapiede. Ogni tanto scartava un passante , dribblava un bambino e allo stesso tempo tentava di non perdere di vista l’uomo alto e dinoccolato che correva davanti a lei. Lia lo stava inseguendo.
Erano le otto mezzo, le strade erano affollate di persone che si recavano a lavoro e di mamme che accompagnavano i bambini a scuola, il traffico era intenso, faceva stranamente caldo per essere una mattinata di fine primavera. La nuova stagione non era ancora veramente iniziata.
Anche l’uomo correva, le lunghe gambe da ragno sembravano quasi saltare, tanto ampie erano le falcate con cui avanzava, ogni tanto controllava con la coda dell’occhio a che distanza si trovasse la donna che lo inseguiva. Alla fine, girò l’angolo e subito quello successivo, urtò un passante che non gli badò, e quando gli sembrò di avere finalmente distanziato Lia, prese un’andatura più normale, si guardò intorno con circospezione ed entrò in un vecchio palazzo maestoso.
Lia pensò che per essere un uomo di mezza età aveva davvero un’energia invidiabile. Non aveva rallentato un attimo, lei invece stava ansimando, era stanca e le faceva male un fianco, non era abituata a correre e quel dolore le ricordò che era lievemente sovrappeso e che era di mettersi a dieta. Si stupì dei pensieri semplici che le venivano in mente in quel momento. Cercò di non farsi distrarre da divagazioni inutili e cercò l’uomo con lo sguardo.
Per un attimo temette di averlo perso e si sentì mancare il fiato, invece riuscì ad individuarlo mentre svoltava in una via laterale, lo vide entrare in un vecchio palazzo e uscì dal suo nascondiglio.
La pensilina alla fermata dell’autobus, l’aveva riparata dallo sguardo dell’uomo ma non le aveva impedito di individuare la sua destinazione.
Riprese a correre per fermare il pesante portone di legno che si stava richiudendo lentamente alle spalle dell’uomo, lui aveva già preso a salire le scale e non si era reso conto di avere Lia alle calcagna. Cautamente la donna si sporse nell’androne verso le scale, il cuore le batteva così forte che per un attimo temette che qualcuno potesse sentirlo, poi quasi si mise a ridere e si diede della sciocca per avere avuto un pensiero così assurdo.
Contò i passi di lui e poi sentì un campanello.
Nascosta nel vano della scala, vide quella che sembrava una segretaria occhialuta e di mezza età aprire la porta.
La donna vedendolo così trafelato gli chiese se era tutto a posto. “Si, si. Lasci perdere… un’avventura… Non può neanche immaginare cosa mi è successo…” rispose lui.
Appena la porta si chiuse alle loro spalle, Lia percorse gli ultimi gradini di marmo consumato del pianerottolo. Cercò di ricomporsi, non si era resa conto che facesse così caldo, sbottonò il cappotto, cercò di allisciare i lunghi capelli neri alla bell’è meglio e suonò il campanello.
La stessa segretaria aprì di nuovo la porta e sgranò gli occhi con un’espressione sorpresa quando la riconobbe, Lia approfittò del suo momento di confusione per spingerla di lato e spalancare la porta, entrò decisa e la guardò con aria di sfida.
“Cosa ci fa qui signora? Guardi che era stata convocata dall’altra sede… Non può stare qui… Deve andare via subito!” le disse la segretaria.
“NO! Io non me ne vado. Voglio vederlo subito!” rispose Lia agitatissima.
In quella che sembrava una sala d’aspetto sedevano diverse persone in attesa del loro turno. A sentire tutto quel chiasso, alcune di loro, uscirono nel corridoio per vedere cosa stava succedendo.
La segretaria si rese conto che stavano facendo una scenata di fronte a tutti e tentò di mandarla via spingendola delicatamente fuori della porta. “Non si può! Avanti signora si calmi….”
“Io non muovo da qui! Ha capito? Non me ne vado! Non mi muovo da qui se non parlo con qualcuno… Mi tolga le mani di dosso e lo chiami… SUBITO!” Urlò Lia.
Attirato dal fracasso, l’uomo uscì finalmente dal suo ufficio per vedere a cosa era dovuto quel baccano. “Insomma..” le parole gli morirono in gola non appena riconobbe Lia, valutò rapidamente la situazione, fece tornare i curiosi in sala d’aspetto, rimandò la segretaria alla sua scrivania non prima di averla rassicurata, prese Lia per un braccio e la guidò verso il suo ufficio.
Lia si era calmata e si lasciò portare dolcemente verso la sedia, si accomodò e restò in attesa senza dire nulla, prese tempo per guardarsi intorno, apprezzò le librerie di legno massiccio appoggiate alle pareti e stracolme di tomi e libri antichi, ammirò il marmo del pavimento, le finestre altissime e le tende di broccato pesante, infine, concentrò lo sguardo sulla scrivania antica e bellissima.
Si chiese come mai non ci fosse un computer, fissò lo sguardo su una pila ordinata di cartelle e sulla stilografica che era posata li sopra e rimase in attesa.
L’uomo chiuse la porta alle sue spalle, e sedette dall’altra parte della scrivania, Lia interruppe le sue osservazioni e alzò gli occhi su di lui. L’espressione dell’uomo era seria e severa ma si addolcì un poco notando i capelli scarmigliati e lo sguardo della donna che altalenava tra sfida e paura.
“Dunque – esordì – mi dispiace, ma non posso aiutarla, non so come abbia fatto a trovarmi, ma vede, lei era stata convocata dall’altra sede ed era lì che doveva andare, anzi che deve andare…. La stanno aspettando.”
“NO! -lo interruppe Lia – Voglio una dilazione, non posso saldare adesso… Lei deve aiutarmi. Non me ne vado se non mi concedete un rinvio.”
L’uomo cercò di farla ragionare: “Mi dispiace, ma non è possibile, è contro le regole”
“Non è vero, – insistette Lia – io so che l’avete fatto altre volte… ho bisogno di un proroga! Non è giusto, ci sono tante cose che devo fare, ho bisogno che mi concediate una posticipazione, per favore, la prego…. Mi aiuti, perché ad altri si e a me no, non è giusto! Li ho visti quelli che stanno spettando. Sono sicura che a loro sarà concessa una proroga. Io non me ne vado, ecco! Non mi muovo da questa sedia! Dovrete darmi retta per forza”
“Mi dispiace, – le rispose l’uomo – non cambia niente, anche se lei rimanesse qui cent’anni non cambierebbe niente, e per quel che riguarda gli altri, se la può consolare saperlo, le proroghe erano già previste dal contratto. Non si fanno trattamenti di favore a nessuno.”
Rimasero a fissarsi per un lunghissimo istante, lo squillo del telefono nero interruppe quel silenzioso duello tra volontà. Un dolore al petto l’avvertì che si era dimenticata di respirare nell’ansia di spiegare le sue ragioni.
L’uomo alzò la cornetta e rispose alla telefonata. Va bene, – disse – d’accordo, glielo dico io” si voltò verso Lia e le confermò ancora una volta che non potevano concederle proroghe.
Il tono dell’uomo aveva una nota così definitiva che finalmente fece comprendere a Lia che non c’era davvero nessuna possibilità di avere un rinvio.
Alzò lo sguardo verso il cielo e fissò le nubi che passavano, all’improvviso fu conscia di essere supina, l’asfalto era duro sotto la schiena e non sentiva più le gambe. Qualcuno le teneva la mano e le parlava, ma non riusciva a capire cosa le stesse dicendo, altri visi ansiosi e preoccupati erano chini su di lei, voleva chiedergli di spostarsi perché non riusciva a vedere bene, ma si accorse di non averne la forza, il respiro le usciva di bocca in rantoli spezzati.
Senti in lontananza l’ululato della sirena di un’ambulanza.
Ricordò all’improvviso l’auto che le piombava addosso mentre attraversava le strisce pedonali, ricordò l’urto, il volo e l’atterraggio brusco in mezzo alla strada e poi, si era ritrovata a correre.
Le veniva quasi da ridere ripensando a quell’inseguimento inutile. Si rese conto che davvero per lei non era previsto nessun rinvio, in qualche modo confuso si accorse che erano venuti a prenderla, piegò la testa di lato e pensò che era davvero un peccato che fosse già tutto terminato.
Smosse dal vento, due file di Jacarande ai lati della strada, gettavano fiori e petali lilla sul suo corpo immobile, dando alla sua fine un senso quasi poetico.